CHI SONO IO VERAMENTE?
Con questa domanda ci siamo lasciati alla fine del ritiro di inizio anno, partendo da qui per arrivare a capire dove siamo in questo momento storico.
Domandarci chi siamo ci fa mettere in discussione, ci spinge a cercare il nostro vero io, la parte più profonda di noi stessi: eppure se ciascuno di noi dovesse scrivere su di un foglio la risposta a questa domanda in tre parole, scriverebbe quasi sicuramente degli aggettivi, che indicano in realtà cosa siamo ma non chi siamo. Ma questi aggettivi sono davvero ciò che ci contraddistingue? Cioè mi devo identificare con qualcosa per dire chi sono io veramente?
Se per esempio scoprissimo che noi non siamo quello che abbiamo scritto? Che non siamo aggettivi, non siamo qualcosa ma qualcuno? Proviamo a rifletterci su con l’aiuto di due personaggi molto conosciuti, Davide e Zaccheo.
Davide prima del suo incontro con Dio poteva dire di essere un pastore, il figlio meno valoroso di Iesse, il più insignificante: eppure proprio nel più piccolo degli uomini Dio sceglie il re del suo popolo perchè come dice a Samuele “ non guardare al suo aspetto ne all’imponenza della sua statura… L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore.“
La chiamata di Dio, la sua scelta, Egli la rivolge su tutti gli uomini singolarmente. Così rivela che nessuno è dimenticato da lui, che tutti davanti a lui sono unici, che ognuno è scelto per la sua unicità in definitiva che la sua scelta è in virtù di un progetto, disegno, volontà che ha per ciascuno. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” Gv 15,16.
A prima vista potrebbe sembrare che Davide arrivi al trono per il suo coraggio e la sua astuzia; ma nella sua vita notiamo che l’atteggiamento dell’uomo di fede è di guardare alla vita, in tutte le sue dimensioni, con una prospettiva nuova: quella che ci è data da Dio.
Davide guardando la sua vita, le scelte operate da Dio su di lui, sa che è molto di più di un pastore, di un fratello, anche di un re. Guardando alla sua vita sa che è qualcuno per Dio. Sa che Dio ha guardato a lui non come re, ma come Davide, come appunto amato da Dio, che è il significato del suo nome.
Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, è un uomo, che molto probabilmente si sarebbe definito come un peccatore, esattamente come veniva considerato dagli ebrei per il lavoro che svolgeva e come egli era pronto ad ammettere. Zaccheo però non vuole perdere l’occasione di vedere Gesù e quando Gesù passa da Gerico, essendo egli di piccola statura decide di salire su di un sicomoro. Gesù lo chiama, gli dice di scendere dall’albero, cioè di ritornare alla sua condizione di uomo, alla sua piccolezza e gli dice di volere dimorare a casa sua. Il perdono di Dio, di Gesù Cristo precede la conversione; non è la conversione che causa il perdono da parte di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione. La reazione di Zaccheo è quella di scendere in fretta, è la gioia di essere salvato, comprende di dovere cambiare radicalmente la sua vita, è un discepolo che non lascia tutto ma rimane nella propria casa, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto ma la condivisione e la giustizia. Gesù si rivolge a Zaccheo dicendo: oggi la salvezza è avvenuta in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”, cioè non è solo un uomo, ma è “zaccheo” degno di essere chiamato in questo modo, cioè puro, innocente.
Sia Zaccheo che Davide grazie all’incontro con Dio hanno scoperto una nuova parola per loro. Hanno scoperto di non essere qualcosa, ma qualcuno agli occhi di Dio.
L’incontro con Dio non distrugge la natura della persona che ne fa esperienza, ma costruisce sulla realtà che trova, purificandola e facendola crescere.
Non dobbiamo tanto concentrarci sulla risposta a questa domanda, quanto domandarci sotto quale lente ci stiamo ponendo la domanda.
Quindi ricominciamo: CHI SONO IO VERAMENTE?