Non mancarono visite approfondite a scuole e ambienti ducativi, per un opportuno confronto con l’opera ormai affermata a Valdocco. Prima si recò all’Ospizio di “Tata Giovanni” (papà Giovanni) fondato alla fine del ‘700 dal muratore Giovanni Burgi per alleviare le sofferenze dei tanti orfani romani e dar loro una istruzione elementare e la possibilità d’imparare un mestiere.
Visitò inoltre le scuole di Carità a Santa Maria dei Monti, promosse dalla Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.
I laboratori
Note
È questa una visita molto interessata da parte di un Don Bosco che aveva anche lui, a Torino, avviato le scuole professionali. Di altra impostazione, però, dal momento che le sue erano rivolte all’accoglienza dei figli del popolo, con l’intenzione di procurare loro un mestiere che potesse consentire una onorevole sopravvivenza. La seconda annotazione di rilievo è lo stile educativo che Don Bosco coglie in quell’Ospizio. In quello del San Michele è piuttosto repressivo, il suo invece è preventivo, basato sull’amorevolezza.
La mattina del 6 marzo, accompagnato dal ch. Rua e dalla Famiglia De Maistre, si recò all’Ospizio San Michele in Ripa, atteso dal card. Tosti, che ne era il presidente.
Allora il Cardinale ebbe la degnazione di accompagnarli per ogni piano e sala dell’Ospizio, seguito da uno dei direttori. Quivi i giovani apprendevano le arti meccaniche e le arti liberali.
Quelli che si occupavano nelle prime avevano i loro opificii per calzolai, sarti, fabbri ferrai, falegnami, tintori, cappellai, sellai, ebanisti.
Molti lavoravano in una tipografia e in una legatoria di libri. Pio IX, a fine di beneficare questo Ospizio, avevagli concesso il privilegio, in forza del quale soltanto colà potevansi stampare i libri scolastici, che si usavano in tutti gli stati Pontificii.
Quelli che accudivano alle arti liberali, sotto la direzione di abili maestri, ed erano il maggior numero, davano opera alla fabbricazione dei tappeti ed arazzi del genere di quelli dei gobelins, come pure all’intaglio in legno, alla pittura, alla scultura, all’incisione in camei, in rame e di medaglie. D. Bosco passava di laboratorio in laboratorio. Era già stato fatto consapevole dell’andamento di quella casa dal conte De-Maistre e da vari signori romani laici ed ecclesiastici, i quali si lamentavano che gli amministratori avevano alquanto eluso lo scopo di quella fondazione.
Infatti l’Ospizio, invece di ricoverare giovani tutti poveri, manteneva fanciulli anche di famiglie benestanti coi redditi della carità, e figli e nipoti d’impiegati e di personaggi molto autorevoli qui ricevevano la loro educazione. Perciò inevitabili le preferenze e le gelosie.
Il vitto giornaliero della comunità era abbondante di carne e di vino, e i prudenti facevano osservare che la maggior parte degli alunni non avrebbero potuto onestamente procurarsi tale imbandigione quando fossero usciti dall’Ospizio.
Alle arti meccaniche, trascurate perché umili e che avrebbero dovuto assicurare il pane alla gran maggioranza dei ricoverati, erano preferite le arti liberali, perché recavano più lustro allo stabilimento specie gli arazzi ed i tappeti che ornavano i palazzi dei vari principi.
Dava causa eziandio a lamentanze il sistema repressivo adoperato per mantenere la disciplina fra i giovani; e si infliggevano punizioni corporali antiquate, non troppo severe, ma che avvilivano il trasgressore dei regolamenti. (M.B. V,842-843)
Una lezione educativa
Note
Don Bosco non lasciò trattati di Pedagogia Educativa, ma la sua vita è costellata di esempi in cui il suo Sistema Educativo trova pratica applicazione. A quegli educatori romani non tiene una dotta conferenza, ma una dimostrazione di come trattare i ragazzi e guadagnarsi il loro cuore. È questo uno degli episodi più luminosi dell’applicazione diretta del suo stile educativo. Il Cardinale e il Conte possono averne un’idea applicata ad una circostanza che sembra casuale.
Vide intanto pareti e pavimenti tersi come specchi: fiorente la sanità degli alunni, assidua la vigilanza degli assistenti, insegnata con amore la scienza del catechismo, fissati i giorni per i sacramenti della Confessione
e della Comunione.
Egli adunque constatò che un gran bene ne risultava a vantaggio dei figli del popolo. Non però tutto quello che poteva aspettarsi; infatti non gli sfuggiva l’impaccio e l’evidente timore che manifestavasi in molti alunni, quando i superiori comparivano in mezzo a loro, oppure quand’essi dovevano recarsi a render conti negli uffici della direzione.
Ciò faceva male a D. Bosco, perchè l’indole dei fanciulli romani era espansiva ed affettuosa; quindi pensava al modo di dare una lezione pratica a que’ superiori, del suo sistema nell’educare; e il destro gli venne agevole.
Mentre D. Bosco si aggirava per que’ immensi locali, si udì zufolare e poi cantare. Ed ecco un giovanetto che discendeva lo scalone, e che ad uno svolto si trovò all’improvviso alla presenza del Cardinale, del suo Direttore e di D. Bosco. Il canto gli morì subito in bocca e stette col berretto in mano e colla testa bassa. – È questo, dissegli il Direttore, il profitto degli avvisi e delle lezioni che vi sono date? Screanzato che siete! Andate al vostro laboratorio ed aspettatemi per ricevere la meritata punizione. E lei sig. D. Bosco, scusi… -
- Che cosa? replicò D. Bosco mentre quel giovane si era allontanato. Io non ho nulla da scusare, e non saprei in che
abbia mancato quel poveretto.
- E quel zufolare villano non le sembra un’irriverenza?
- Involontaria però; e lei, mio buon signore, sa meglio di me che S. Filippo Neri era solito a dire ai giovani che frequentavano i suoi Oratorii: – State fermi se potete! E se non potete, gridate, saltate, purchè non facciate peccati.
Io pure esigo, in certi tempi della giornata, il silenzio; ma non bado a certe piccole trasgressioni cagionate dall’ irriflessione; del resto lascio a’ miei figliuoli tutta la libertà di gridare e cantare nel cortile, su e giù per le scale: soglio raccomandarmi soltanto che mi rispettino almeno le muraglie. Meglio un po’ di rumore che un silenzio rabbioso o sospetto… Ma ciò che ora mi fa pena è che quel povero figliuolo sarà in grave fastidio per la sua sgridata… nutrirà qualche risentimento… Non le sembra che sia meglio che lo andiamo a consolare nel suo laboratorio?
Quel Direttore fu tanto cortese da aderire al suo desiderio, e come furono nel laboratorio, D. Bosco chiamò a sè quel giovane, che dispettoso e avvilito cercava di nascondersi, e – Amico, gli disse, ho una cosa da dirti. Vieni qui che il tuo buon superiore te lo permette. -
Il giovane si avvicinò e D. Bosco proseguì:
- Ho accomodato tutto sai; ma con un patto che d’ora in avanti sii sempre buono, e che siamo amici. Prendi questa medaglia e per compenso dirai un’Ave Maria alla Madonna per me.
Il giovane vivamente commosso baciò la mano che gli presentava la medaglia e disse:
- Me la metterò al collo, e la terrò sempre per sua memoria.
I suoi compagni, che già sapevano il caso succeduto, sorridevano, e salutavano D. Bosco che attraversava quella vasta sala, mentre il Direttore faceva il proponimento, di non più rimproverare alcuno tanto forte per un nonnulla; e ammirava l’arte di D. Bosco per guadagnarsi i cuori. (M.B. V,845-846)