Ogni opera d’arte riesce a suscitare, attraverso immagini, suoni, colori, emozioni che conservano inevitabilmente qualcosa di noi, della nostra storia e del nostro passato. Questo significa che ogni volta che ci soffermiamo a guardare un’immagine o quando ascoltiamo una canzone, ciò che ci viene in mente è legato ai nostri trascorsi, a ciò che conosciamo, a come concepiamo la vita, ai nostri sogni e ai nostri ideali.
C’è quindi una sostanziale differenza tra “guardare” e “vedere”, e “guardare” non presuppone che si riesca anche a “vedere”. Guardare è un’attività che fa parte dell’esperienza quotidiana, attraverso cui avviene il nostro primo contatto con il mondo circostante: è il mezzo più immediato, spontaneo ed efficace per entrare in possesso di informazioni, cogliere particolari di ciò che ci sta intorno.
Vedere invece ha una finalità, un’intenzionalità: una persona che osserva ha un preciso obiettivo, che consiste nella conoscenza e nella descrizione, il più possibile oggettiva, di un determinato fenomeno, situazione, azione, considerato rilevante e significativo. Non solo è orientata alla lettura di una situazione, ma soprattutto alla sua comprensione.
“Un buon osservatore ha ben chiaro l’obiettivo della propria attività conoscitiva ed il proprio quadro di riferimento, e accosta la realtà da osservare con la capacità di astenersi dal pregiudizio, evitando che i propri riferimenti valoriali, le proprie idee preconcette diventino l’unico metro di analisi dell’intera realtà”. Un abile osservatore è consapevole che l’osservazione non riguarda solo fatti ed eventi visibili ma anche la loro assenza, quindi non si ferma all’apparenza delle cose ma “guarda oltre”.
Vedere allora non è poi così banale. Siamo condizionati inconsapevolmente dal nostro back-ground, dal nostro vissuto e questo ci fa come da filtro; in più ci sono i filtri esterni a noi: basti pensare a come una notizia ci viene posta dal telegiornale, da un politico…tutto ciò ci condiziona a volte anche inconsapevolmente. È quindi fondamentale essere educati a vedere, perché altrimenti si corre il rischio di perdere pezzi, essere condizionati o spesso non guardare proprio, rimanendo a un livello molto superficiale.
Qual è il presupposto per aprire gli occhi? Accettare di avere gli occhi chiusi. “Vedere vuol dire guardare con rispetto, che viene dal latino re-spicere: guardare più volte (avere ri-guardo), con attenzione, rispettando appunto l’essenza di quello che si guarda, ciò che realmente è. Il contrario è dispetto, da de-spicere, guardare dall’alto in basso, disprezzare. Lo sguardo non è mai neutro: o «rispetta» o «dispetta»” (A. D’Avenia). Nel primo caso genera incontro, la vita viene arricchita da ciò che accoglie, lo sguardo diventa l’interruttore che accende le cose che così si e ci illuminano. Possiamo così anche accorgerci di ciò che manca, di vedere oltre, di andare oltre. Questo vale per noi stessi, per le cose che ci circondano e per chi ci circonda. Nel secondo caso c’è solo scontro: sia le cose sia noi rimaniamo al buio, indifferenti. Tocchiamo tante cose senza essere toccati e invece di essere gravidi, siamo soltanto gonfi…sentendoci tuttavia profondamente sgonfi in profondità. Ci sono dei nemici che ci impediscono di vedere, che spengono la vista e quindi la vita. Ai primi posti ci sono le nostre idee e i pregiudizi; ma anche l’abitudine, l’indifferenza, la pienezza di sé.
L’ostacolo più grande però è senza dubbio la paura: in realtà non esistono persone superficiali; esistono persone che hanno paura di vedere. Per esempio “guardarsi” può significare anche preservarsi e difendersi (es. guardati alle spalle). Quando si tratta di vedere invece, si abbandonano i muri e le difese, per penetrare in profondità; si va oltre l’apparenza e la superficialità. Si resta, invece di scappare. Guardiamo con rispetto la realtà perché solo se apriamo gli occhi, ricordandoci di avere dei filtri, possiamo arricchirci! Solo vedendo, entriamo in relazione, entriamo nella realtà e nella vita. Solo aprendo gli occhi possiamo contraddire le nostre paure ed evitare la noia della quotidianità o di qualcosa di incomprensibile (quanto è noiosa la messa per esempio se non apprezzi il significato di quello che accade); solo se siamo disposti ad aprirci, ci arricchiamo e non siamo frustrati perché le cose non sono andate come volevamo noi; solo aprendo gli occhi entriamo in relazione veramente con le persone intorno a noi, eliminiamo la solitudine e gli altri saranno una scoperta continua e un tesoro per la nostra vita.
Molto spesso ci concentriamo sul puntino nero che è sulla nostra pagina bianca, senza vedere tutti i puntini bianchi che lo circondano.
Tuttavia per riconoscere un filtro è necessario un esame profondo e accurato di se stessi, con l’imprescindibile disponibilità a mettersi a nudo. E questo non si può fare da soli: la nostra forza infatti è quella di camminare insieme ai fratelli in comunità, senza dimenticare che laddove i filtri sono così spessi da renderci “ciechi”, c’è una Persona che ci aiuta ad andare oltre e il nostro oltre è Gesù Cristo.
• E tu “come” vedi?
• Riesci a individuare quale filtro ti rende “cieco”?