Il lunedì, dopo la Pasqua, nella Basilica Vaticana pontificava la messa il Cardinale Ludovico Altieri e il
martedì il Cardinale Carlo Reisach. D. Bosco non volle trascurare alcuna di queste meravigliose funzioni che lo trasportavano alla meditazione del Paradiso; e noi le ricordiamo anche perchè la maggior parte dei Cardinali nominati furono protettori ed amici del nostro buon padre.
Frattanto in uno di questi giorni il Conte Rodolfo De – Maistre, volendo dar testimonianza della grande stima che aveva per D. Bosco, lo invitò ad un pranzo diplomatico.
Intervennero tutti i vari personaggi accreditati dalle varie corti di Europa presso la santa Sede. Fra costoro è massima gloria per chi sa parlare il maggior numero di lingue, ed il Conte De – Maistre ad uno indirizzava il discorso in francese, ad un altro in tedesco, a quello in ispagnuolo.
Finalmente si volse a D. Bosco che stava silenzioso in mezzo a persone che parlavano tutte le lingue, eccettuata l’italiana. D. Bosco sedeva in faccia al Conte, il quale lo interrogò in buon piemontese se avesse in quel mattino udita la musica della cappella pontificia, quale giudizio si dovesse dare sull’abilità dei cantori romani, se fossero a lui piaciuti gli strilli di qualche soprano, e certe voci squarciate di alcuni bassi. D. Bosco, disinvolto ad alta voce, gli rispondeva nel linguaggio di Gianduja con frasi, proverbi, frizzi, paragoni in proposito. E ambedue proseguirono alquanto di questo piede snocciolando le parole più strane, e le meno intelligibili per gli stranieri, nel proprio dialetto.
I convitati stavano attenti con occhi sbarrati e orecchie tese, e siccome nessuno conosceva questa lingua, domandarono al Conte da qual nazione fosse parlata.
- Il Sanscrito! – rispose solennemente.
Tutti sulle prime rimasero stupiti a tale risposta; poi risero, si congratularono e applaudirono ad una lingua nuova in diplomazia.