Mentre così D. Bosco terminava in Roma gli affari per i quali era venuto e dava impulso in Torino alle sue opere, gli scrittori della Civiltà Cattolica, che abitavano in piazza Borgo Nuovo n. 66, gli mandavano il seguente biglietto:
Al M. Rev.do Sig. Don Bosco in casa di Sua Ecc. il conte De Maistre, Quirinale in faccia a S. Carlino.
Roma, 8 aprile 1858. D. Bosco veneratissimo, P. X.
I padri della Civiltà Cattolica potrebbero la Domenica in Albis averlo a consolare la nostra povera mensa? Oh sì, l’ultimo ovo di Pasqua bisogna mangiarlo con noi.
Caro D. Bosco, mi presenti alla generosa famiglia De – Maistre, e dica a tutti per carità che mi perdonino le gravi mancanze che mi pesano sulla coscienza. Non esser venuto per Pasqua, non aver ancora visitato Maria! Ed è mia figliuola specialissima, perchè l’ho apparecchiata io alla prima comunione. Sono in vero un vecchio rimbambito: poco cammino; quel Quirinale è per me il finimondo. Ma ci verrò. Anche alla signora Contessa di Fherai e a Celina tanti doveri.
Ma poi preghi pel suo aff.mo e dev.mo servitore ANTONIO BRESCIANI D. C. D. G.
D. Bosco non mancò all’invito e passò una giornata veramente gradevole. Quelle dottissime persone che lo circondavano sembravano fanciulli per la semplicità e famigliarità dei loro modi.
Trovandosi presente eziandio il Preposito generale dei Gesuiti ed essendo sopravvenuti alcuni Domenicani, non si tardò a fare cadere il discorso sopra alcune antiche controversie sorte fra i due Ordini. D. Bosco taceva. Il Preposito dei Gesuiti scorgendo che la tranquilla discussione poteva finire in vera disputa:
- Olà, disse, rimettiamo la lite ad un giudice. Vi è qui D. Bosco. Egli decida. D. Bosco si schermì; ma tutti essendosi rivolti verso di lui, dissero che assolutamente volevano la sua decisione.
D. Bosco allora, dopo qualche preambolo, finì con dire.
- Mia opinione si è esser meglio che non vi sieno questioni.
Questa risposta tornava poco gradita ai contendenti, ma ottenne l’effetto desiderato. D. Bosco conosceva benissimo tutti quei fatti storici sui quali si aggirava la controversia; ma quale altra risposta avrebbe egli potuto dare? in questa occasione D. Bosco, sulle mosse per ritornare a Torino, aveva preso congedo da’ buoni Padri e nei giorni seguenti recavasi a fare atto di ossequio ed a ringraziare tante ragguardevoli persone che lo avevano colmato di benevolenza. Visitò anche il sig. Filippo Canori Foccardi, del quale conservò sempre l’amicizia, e ritornato in Torino alle persone sue conoscenti che andavano a Roma dava cartellini stampati coll’indirizzo de’ negozi di Foccardi, scrivendovi sopra di suo pugno: Coi saluti dell’amico Sac. Bosco.
E non dimenticò i giovani dell’Oratorio di S. Maria della Quercia, e quelli dell’Assunta diretti dall’Abate Biondi.
La mattina di Pasqua erasi recato fra loro per disporli alla Santa Comunione, e la Domenica in Albis accompagnato dal Marchese Patrizi ritornò a S. Maria della Quercia, vi celebrò la Santa Messa e fece la predica ai giovani salutandoli per l’ultima volta. Fra i Cardinali che passò ad ossequiare vi fu l’Eminentissimo Tosti, per invito del quale aveva altra volta indirizzate alcune parole ai giovani dell’Ospizio di San Michele. Il Cardinale, soddisfatto della cortesia di Don Bosco, essendo l’ora della sua passeggiata, palesò il desiderio di averlo per compagno, ed ambedue salirono in carrozza. Si incominciò a parlare del sistema più adatto all’educazione dei giovani. Don Bosco erasi sempre meglio persuaso che gli alunni di quell’Ospizio non avevano famigliarità coi superiori, anzi li temevano: cosa poco piacevole, comandando ivi i preti.
Perciò diceva:
- Veda, Eminentissimo, è impossibile poter bene educare i giovani se questi non hanno confidenza nei superiori.
- Ma come, replicava il Cardinale, si può guadagnare questa confidenza?
- Col cercare che essi si avvicinino a noi, togliendo ogni causa che da noi li allontani.
- E come si può fare per avvicinarli a noi?
- Avvicinandoci noi ad essi, cercando di adattarci ai loro gusti, facendoci simili a loro. Vuole che facciamo una prova? Mi dica: in qual punto di Roma si può trovare un bel numero di ragazzi?
- In Piazza Termini, in Piazza del Popolo; rispose il Cardinale.
- Ebbene: andiamo dunque in Piazza del Popolo.
Il Cardinale diede ordine al carrozziere, e si andò. D. Bosco scese di carrozza, e il Cardinale rimase osservando.
Don Bosco, visto un crocchio di giovanetti che giuocavano, si avvicinò, ma i biricchini fuggirono. Allora li chiamò colle buone maniere e i giovani dopo qualche esitanza ritornarono.
D. Bosco li regalò di qualche cosuccia, domandò notizia delle loro famiglie, chiese a qual giuoco si divertissero, li invitò a ripigliarlo, si fermò a presiedere al loro trastullo, ed egli stesso vi prese parte.
Allora altri giovani che stavano guardando in lontananza corsero numerosissimi dai quattro angoli della piazza intorno al prete, che tutti li accoglieva amorevolmente ed aveva per tutti una buona parola ed uno regaluccio; loro chiedeva se fossero buoni, se dicessero le orazioni, se andassero a confessarsi.
Quando volle allontanarsi, lo seguirono per un buon tratto, e solo lo lasciarono allorchè risalì in carrozza. Il Cardinale era meravigliato.
- Ha visto? gli disse D. Bosco.
- Avevate ragione; esclamò il Cardinale.
Ma questa ragione parve che non lo distogliesse dal riguardare necessario il sistema adoperato nel reggere l’Ospizio di S. Michele. Sua Em. era autoritario; per lui doveva essere un assioma che la confidenza fa perdere la riverenza. Pio IX infatti, dopo che ebbe parlato con D. Bosco, convocati presso di sè alcuni dei capi dell’Ospizio e udite le loro rimostranze, si persuase di dover rimediare a qualcuno dei più gravi inconvenienti. Ma il Cardinale Tosti si oppose a qualunque riforma. Fu come un muro di bronzo e a nulla si potè rimediare, benché egli dirigesse con amore e zelo quell’ammirabile istituzione.