“Il verbo si fece carne”! Così Giovanni nel prologo del suo Vangelo, ci annuncia Dio chi è. Ma non è strano? Finora noi abbiamo ragionato su “chi siamo”, e ci sono sempre venute in mente le nostre qualità, i nostri “talenti”… poi arriva Dio, e per farci vedere chi è…. e lui fa! Non “è” qualcosa o qualcuno, ma “fa”: si fa carne. Si fa carne perché farsi carne non lo toglie da ciò che Lui è, ma lo esalta. E noi allora? Se Dio è il nostro parametro, dobbiamo provare seguire il suo schema. Dio non “è”, ma “fa”: fa cosa?
Prima opzione: opere grandiose, opere del Suo ingegno. Facciamo una visita in un museo, per esempio; in un reparto di archeologia, classica o industriale, magari; vediamo tante opere frutto dell’ingegno umano, sempre alla ricerca di qualcosa che vada oltre. Spesso queste opere, come tutte quelle che l’uomo è stato in grado di creare nei vari secoli, costituiscono l’emblema del successo da un punto di vista scientifico, professionale o artistico ed il lustro che deriva e derivava dalle invenzioni era tale che l’opera finiva per identificarsi con il suo creatore: io sono tal dei tali che ha fatto l’opera tal dei tali. Ma poi? Dante diceva che siamo “nani sulle spalle dei giganti”, cioè che siamo persone limitate se prese da sole, ma che possiamo fare grandi cose se ci appoggiamo a chi ci ha preceduto. Ma la domanda è: oltre ai libri di storia o agli addetti ai lavori, chi porta memoria di queste persone geniali o semplicemente di grandi qualità? Perché noi ci rendiamo conto di una cosa: all’inizio abbiamo stima, ma poi la memoria, come tanto altro, svanisce. Il libro del Qoelet (Qo 1, 9) ci spiega perché:
Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole”.
Sembra un po’ deprimente detto così (in realtà il Qoelet non è un libro che va preso “a pezzi”, ma è un ragionamento che si sviluppa e si chiarifica leggendo il libro per intero), però se ci pensiamo bene la sensazione di cose che vanno e vengono ce l’abbiamo un po’ tutti, se ragioniamo dal punto di vista del nostro “ingegno”.
Seconda opzione: non fare opere, ma dare. Dare se stessi. Un tizio disse una volta “La vera meraviglia non è che l’uomo sia andato sulla Luna, ma che Dio sia sceso sulla terra” (cit.) Allora per aiutarci in questo ragionamento, prendiamo una santa romana, già che ci siamo, anzi la patrona di Roma: Francesca Romana. Tralasciando le notizie storiche, ci soffermiamo solo su alcuni punti: voleva diventare suora, ma fu costretta a essere moglie e madre. Il sogno e il desiderio della sua vita non coincidono con la vita che vive, anzi. Talmente forte fu il combattimento che si lasciò quasi morire, finchè le sorse una domanda: “cosa farebbe in questa situazione la sposa di Cristo?” Da lì la ripartenza e, se vogliamo, la rinascita.
Non è più il suo ruolo che le da l’identità, ma la sua identità che dà significato al ruolo che man mano assume. Moglie, madre, assistente ai poveri di Roma, fino a fondare un ordine (le “Oblate Regolari di Maria”, il cui monastero è ancora oggi a Tor dè specchi, vicino al Teatro Marcello) di cui però all’inizio non diventa la superiora; lo diventerà alla morte del marito. Senza dubbio Francesca ha percorso una strada che non si aspettava ma lei ha trovato una chiave: “cosa farebbe la sposa di Cristo?”. E’ entrata in una storia, la sua storia e quella storia le ha dato identità, e in quella storia è stata capace di imprimere la sua impronta. Noi ci ricordiamo di lei, così come se pensiamo bene a tante persone che abbiamo conosciuto e sentito nel tempo, non tanto per le qualità che hanno avuto ma perché si sono donate! San Paolo nel suo inno alla carità ce l’ha detto: “solo la carità non avrà mai fine”. I santi hanno trovato il modo di vedere nell’inferno delle loro realtà ciò che inferno non è e gli danno spazio e lo fanno durare. Loro smettono di piangersi addosso e iniziano a fare qualcosa. Spesso l’inferno delle nostre vite è semplicemente che non sono come ce le saremmo aspettate, e cerchiamo una soluzione all’interno di noi stessi. Attenzione: questo processo non avviene da soli. C’è sempre un’accompagnamento intorno (nel suo caso il padre spirituale, insieme al marito e alla famiglia), perchè altrimenti si gira a vuoto.
Di S. Francesca Romana, noi ci ricordiamo il suo “essere per”: le sue qualità taumaturgiche, organizzative, gestionali, contabili, vanno in secondo piano. Esattamente come ha fatto Dio duemila anni fa e di cui noi facciamo memoria: non ci ricordiamo quanto potente Egli è, o quante cose sapeva fare: ci ricordiamo che è PER NOI!
Allora, in occasione di questo Natale, cambiamo domanda: