Di fronte alla tua fragilità Dio risponde sempre con un incontro, Lui per primo fissa gli occhi su di te e ti dona tutto il suo amore, ti perdona, ti libera, ti riabilita. Ma spesso capita che, proprio dopo aver sperimentato una grande gioia, iniziamo a camminare e presi dalla mania del fare fare fare, iniziamo a plasmarci un dio che ci possa andar bene o a cui possa piacere quello che faccio, allontanandoci sempre di più dalla verità, per sopravvivere di fronte alle difficoltà. E poi arriva il punto in cui la gioia che ti ha animato lentamente si spegne, fai contatto con un’inconsistenza di fondo o di senso che non riesci più a trovare, con un’apatia, con una sensazione di inadeguatezza, di incapacità, di inutilità. Ti senti sgonfio. E allora Dio che fine fa? Con tutte quelle belle cose che hai fatto ti senti soddisfatto? Hai un desiderio di pienezza che però si scontra nella realtà con un vuoto incolmabile? Che cosa stai cercando? Vuoi essere terra fertile? Ma allora come si fa a fare contatto con la Verità nella nostra vita? Come si fa a scrollarsi di dosso la tristezza o l’insoddisfazione? Come si fa a guardare la croce? Come si fa a capire se la strada che stai percorrendo è quella giusta?
C’è uno strumento a nostra disposizione che è quello della contemplazione. Cosa vuol dire contemplare? Vuol dire “guardarsi intorno”. Guardare fuori. Guardare tutto. Ti devi fermare e aprire gli occhi. È impossibile riconoscere Dio nella tua vita se al centro della tua visuale hai la parola IO. Perché contemplare significa proprio togliere se stessi dal centro dei propri pensieri per poter guardare tutto quello che c’è con occhi diversi, evitando i filtri, o evitando di guardare solo la parte che ci interessa perché l’altra ci disturba o fa troppo male, come la croce…ma tu non vedi tutto e tu non hai in te tutta la verità: per questo è necessario aprire gli occhi e farsi da parte, mollare la presa che pretendiamo di avere sulla nostra vita, pensando che quello che vogliamo sia la cosa migliore.
Il 90% delle cose che abbiamo intorno non dipendono da noi ma sono tutte cose che si ricevono: luogo di nascita, genitori, voce, indole, metabolismo, i fratelli incontrati sul cammino, come pure il nostro passo nella vita, la nostra forma per far felici gli altri. Posso invidiare quelle degli altri, oppure accogliere quelle che mi sono state donate, valorizzare il verso della vita. Non remargli contro, ma in qualche modo deglutire il reale. Accettarlo. La stessa cosa vale per le mie priorità: non si scelgono, si accolgono, come un dono: infatti esse sono firmamento, sono punti fermi limpidi donati da Dio nella vita di ognuno, da non scambiare per le emergenze incombenti. Devi aspettare. Non si prendono scelte in tempo di desolazione ma nella consolazione. E quand’è che sei consolato? Quando hai visto tutto e quel tutto non ti fa schifo, perché ti sei fermato, hai sospeso il tuo giudizio, hai aperto gli occhi, hai tolto te di mezzo e non lo stai guardando più con il tuo sguardo limitato ma lo fai con un’intuizione diversa: ossia che ci deve essere qualcos’altro, un Altro nella tua vita, dietro alla tua vita. A volte lo intuisci, senza sapere che lì dietro c’è Lui, proprio a partire dalle cose belle che ci sono intorno a te: questo è stato il caso di Bakhita, una suora che prima di convertirsi è stata schiava in Sudan, sua terra d’origine. Durante la sua schiavitù non vedeva solo le catene, vedeva tutto, tanto che diceva guardando le piante e le stelle:”chi sarà mai il padrone di queste meraviglie? Vorrei conoscerlo e rendergli omaggio.” Fino al momento della morte in cui lei continua a benedire la sua storia, affermando: “Tutta la mia vita è stata un dono suo”.
Allora l’intuire, il conoscere col cuore non solo con la testa che Dio è dietro a tutta la tua storia, il riconoscere le impronte che Lui ha lasciato, ti dà una gioia tale che sarai portato a vedere tutta la tua vita con occhi diversi, a prendere anche scelte in maniera diversa, perché contemplare si trasforma da obiettivo, da atto ad atteggiamento…come un “combattimento” che siamo chiamati a fare quotidianamente, uno sforzo continuo, per essere quotidianamente in relazione intima con Dio e per camminare con Lui, andando dove lui indica, senza costringerlo a rincorrerci per le nostre strade.
Contemplare è vedere tutto, dalle meraviglie a ciò che fa male: spesso vedi Dio chiaramente in un momento di morte, perché Lui tira fuori la vita dalla tua morte, perché è nella miseria che hai trovato misericordia: è in quel bersaglio mancato che Lui entra per amarti, per prendere quella cosa che ti fa schifo e renderla feconda, non buttarla, per prendere tutto il castello che hai costruito fin qui e farci qualcosa di buono. La croce non è mai definitiva e diventa “feconda” se la guardi con gli occhi suoi perché Lui la vede inserita in un contesto, non vede solo quella. Se non la accogli, impazzisci, oppure se ce la fai, per quanto puoi le eviti. Ma che senso ha? Ogni cosa sta lì per un motivo che spesso noi non capiamo e non capiremo mai, ma contemplare è sapere, anzi intuire che una trama sotto c’è. Contemplare: prendere atto della Verità e la verità per noi è una persona: Cristo.
La Pasqua è ciò che per eccellenza Dio fa che non è nei nostri calcoli, è la festa che rimuove le pietre dei sepolcri, che ti dice:”vieni, non sarà vana questa tua preghiera, questa tua ricerca della verità!”, come è stato per Maria di Màgdala quando ha visto Gesù risorto (Gv 20, 11-18). Maria si era messa a piangere lì fuori: non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, perché è più facile rimanere soli nelle stanze buie del cuore, nei limiti e nelle paure che aprirci al Signore. Lei vede due angeli: la reazione più ovvia sarebbe dovuta essere lo spavento. Ma Maria di Magdala è solo concentrata sull’assenza del Suo Signore. Quando si è disperati non si riesce a vedere nient’altro che il motivo della nostra disperazione piegando quella che è la Verità a ciò che si vuole vedere. Delle volte siamo così disperati che non riusciamo nemmeno ad accorgerci che quello che stavamo cercando è davanti ai nostri occhi, perché Gesù era lì: quel Gesù da cui era stata salvata, lei lo scambia per un giardiniere, per uno sconosciuto. Eppure Gesù glielo aveva detto che sarebbe risorto ma lei lo aveva dimenticato. È necessario che Lui le ri-cordi quella cosa, ossia la riporti al cuore…è il cuore che deve essere illuminato, che deve vedere! Prima però lei deve domandarsi sul serio perché sta soffrendo e che cosa sta veramente cercando: “«Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ma c’è solo una cosa che può tirarla fuori da quei ragionamenti, da quel dolore, da quella confusione: è sentirsi chiamata per nome. “Gesù le disse: «Maria!».
La resurrezione è l’incontro con chi ti ricorda chi sei. Maria magari avrebbe voluto stare lì a guardare, ad adorare il suo Signore che due giorni prima aveva visto in croce. Invece si sente dire “non mi trattenere”, ossia: Marì, fermati! Non mi sono fatto vedere da te così che tu mi possa incapsulare nelle tue idee: non sei tu che devi integrare me nella tua sintesi personale, ma sono io che voglio integrare te nel mio progetto! Allora fermati, prendi atto del fatto che sei troppo concentrato sul fare e passa dal fare al contemplare, lasciandoti amare da Dio…come?
Guardando e affidandoti a Lui e alle persone che hai accanto, in cui Lui si mostra.
Da soli non possiamo contemplare nulla realmente. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci ricordi chi siamo, abbiamo bisogno di qualcuno per togliere noi dal centro, che ci aiuti a fare luce su quello che abbiamo realmente intorno. Per fare luce è necessario che ci siano una relazione intima con Dio e una con i fratelli. Una relazione unica con Dio infatti ci porterebbe a formarci un’idea distorta di lui; e il rischio di una unica con i fratelli è che siano gli altri a darci la nostra identità. I fratelli, questi che ti ritrovi e che non ti sei scelto (perché questa è la differenza con gli amici che ti scegli) dovrebbero avere la funzione di uno specchio. Perciò sono indispensabili entrambi, una relazione intima con Dio e la Chiesa, nella figura di una comunità e di un padre spirituale che ci aiuti a leggere la nostra storia. In essi Dio ti chiama per nome, ti ricorda chi sei e ti aiuta a rialzarti.
Ricordati che sei figlio di un Re, che ti vuole libero! E contemplare è il massimo atto di libertà: sono così libero che posso accogliere quello che mi arriva senza metterci idee mie, filtri, o piegature!
“Dio ci chiede di guardare la vita come la guarda Lui, che vede sempre in ciascuno di noi un nucleo insopprimibile di bellezza. […] Chiediamoci: nella vita dove guardo? Contemplo ambienti sepolcrali o cerco il Vivente?” Papa Francesco.