La parte principale della liturgia della parola è costituita dalle letture bibliche con i canti che le accompagnano. Alle letture seguono l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o dei fedeli. Nelle letture , che vengono spiegate nell’omelia, Dio parla al popolo; il popolo fa propria la parola divina con il silenzio e i canti, vi aderisce con la professione di fede e prega per le necessità della Chiesa e la salvezza del mondo.
Le letture
Le letture devono essere tratte sempre dalla Sacra Scrittura. In esse viene preparata ai fedeli la mensa della Parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia. E’ messa in luce l’unità dei due Testamenti e della storia della salvezza. Le letture proposte per la liturgia della parola sono tre più un salmo nei giorni festivi, e due più un salmo in quelli feriali.
Nei giorni festivi le letture variano secondo un ciclo triennale, durante il quale i Vangeli dell’anno A sono secondo Matteo, quelli dell’anno B, secondo Marco, e i Vangeli dell’anno C, secondo Luca; la prima lettura è ricavata normalmente dall’Antico Testamento, eccetto che nel Tempo Pasquale, quando è tratta dagli Atti degli Apostoli, e la seconda proviene dagli Scritti del Nuovo Testamento. Il Vangelo di Giovanni viene letto come gli altri, non però in un anno specifico, ma nelle domeniche di Quaresima, di Pasqua e in particolari solennità e circostanze.
Nelle 34 settimane del periodo ordinario dei giorni feriali le letture sono suddivise in due cicli, secondo gli anni pari e dispari. I Vangeli sono tratti per nove settimane da Marco, per dodici da Matteo e per tredici da Luca; le prime letture sono dell’Antico o del Nuovo Testamento. Negli altri tempi la scelta delle letture è fatta secondo le caratteristiche del periodo liturgico.
Le letture vengono proclamate dall’ambone. Le prime due da un lettore, il Vangelo da un diacono o da un sacerdote. Al termine della prima e della seconda lettura chi legge pronunzia l’acclamazione “Parola di Dio”, intendendo dire che è stata proclamata una parola ispirata da Dio, infatti, come dice Paolo: “tutta la Scrittura è… ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia” (2 Tm 3, 16). Non è esatto sostituire l’acclamazione con: “E’ parola di Dio”, che non traduce esattamente il latino: “Verbum Domini”. L’assemblea dà onore alla Parola di Dio, accolta con fede e con animo grato rispondendo: “Rendiamo grazie a Dio”. Al termine del vangelo l’acclamazione è: “Parola del Signore” e intende asserire che si tratta di parola di Gesù e la risposta è: “Lode a te, o Cristo “. Chi proclama le letture bibliche deve farlo con dignità e proprietà, in maniera che tutti possano udire; la dizione va fatta in modo che la voce renda viva la parola e ne favorisca la comprensione, prestando attenzione a non diventare teatrale.
Prima e seconda lettura
Nei giorni festivi la prima lettura è in sintonia col tema principale del brano evangelico. La seconda è tratta da un libro della Bibbia, i cui brani vengono proposti in lettura semicontinua per alcune domeniche di seguito. In tempi particolari dell’anno e nelle solennità anche la seconda lettura è in sintonia col tema principale del Vangelo.
Nei giorni feriali le due letture concordano nel tema durante i periodi forti, mentre nelle 34 settimane del tempo ordinario vengono proposti in lettura semicontinua i Vangeli di Marco. Matteo e Luca e brani di vari libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Salmo responsoriale
Tra la prima e la seconda lettura si colloca il Salmo responsoriale. Si chiama “salmo”, perché è ricavato da uno dei 150 Salmi della Bibbia, responsoriale” (dal latino “responsorium” = risposta) perché rappresenta la risposta della comunità alla Parola di Dio ascoltata nella prima lettura. E’ una preghiera, anch’essa parola di Dio, che vuol essere il commento-risposta all’argomento trattato nella prima lettura. Ha una lunga tradizione; anche gli ebrei usavano alternare nelle loro sinagoghe la lettura col canto dei salmi. Normalmente il Salmo responsoriale viene recitato alternativamente dal lettore e dal popolo, ma sarebbe meglio cantarlo, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo.
Vangelo
La proclamazione del Vangelo è preceduta da un’acclamazione, con la quale l’assemblea accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e manifesta la propria fede. E’ costituita normalmente da un versetto che si trova nel lezionario e dall’alleluia. L’alleluia (dall’ebraico “allelu-jah”= lodate Jhave= lodate il Signore), che dovrebbe sempre essere cantato, è previsto per tutti i periodi dell’anno, eccetto che nel tempo di Quaresima, quando è sostituito da: “Lode a te, o Cristo, re d’eterna gloria“.
In alcune circostanze, prima dell’alleluia, viene letta o cantata una Sequenza, che è obbligatoria solo per la Pasqua e la Pentecoste. L’assemblea resta in piedi durante il canto o la lettura della sequenza, dell’alleluia e del Vangelo.
Prima che venga proclamato il Vangelo, il Sacerdote (o il Diacono, quando c’è) richiama l’attenzione dei fedeli con l’augurio: “Il Signore sia con voi “ e l’assemblea ricambia: “E con il tuo spirito“, perché chi legge il Vangelo deve essere consapevole del suo alto incarico. Salutato il popolo viene annunziato il libro da cui è tratto il brano che viene letto; “Dal Vangelo di…“, cui il popolo risponde: “Gloria a te, o Signore“. Lettore e assemblea affermano così che le parole e i gesti di cui tratta il Vangelo sono di Gesù, che è presente, perché accompagna con la sua assistenza chi con devozione legge e ascolta. Mentre annunzia la lettura il ministro segna con una crocetta il libro e poi, imitato dai fedeli, traccia tre piccole croci: sulla fronte, perché la parola di Dio occupi la mente, sulla bocca, perché essa venga annunziata agli altri, sul cuore, perché il cuore ne resti infiammato. Segue la lettura, al termine della quale il sacerdote bacia la pagina letta. Il bacio è rivolto a Gesù, in segno di riconoscente amore. Al termine, l’acclamazione: “Parola del Signore” e la riposta dell’assemblea: “Lode a te o Cristo“. Talora dopo la lettura del Vangelo viene ripetuto l’alleluia, ma questo rito non è previsto dalle norme liturgiche. Quando il Vangelo viene proclamato dal diacono, terminata la lettura, l’evangeliario viene portato dallo stesso diacono al Presidente, che lo bacia.
Nelle Messe solenni, specialmente quando è presente il Vescovo, la lettura del Vangelo è preceduta da altri riti. Dopo la prima e la seconda lettura, il Presidente pone l’incenso nel turibolo, e lui stesso, o il sacerdote lettore recita la preghiera: “Purifica il mio cuore e le mie labbra, o Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo Vangelo“. Se c’è un Diacono, dopo la posa dell’incenso nel turibolo, questi dice al Presidente: “Benedicimi o Padre” e il Sacerdote risponde: ” Il Signore sia nel tuo cuore e nelle mie labbra, perché tu possa annunziare degnamente il suo Vangelo. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.” Il lettore, accompagnato dai due ministranti che portano i ceri, si reca in piccola processione all’ambone in segno di onore a Gesù, e incensa il Libro da cui leggerà il brano evangelico.
Omelia
L’omelia (dal greco: “omilia” = colloquio familiare) fa parte delle liturgia; la richiedono naturalmente le letture bibliche che mediante l’omelia diventano ancora di più Parola viva. Essa consiste non in una catechesi, ma nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura o di qualche altro testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta . Compito dell’omelia è attualizzare la parola di Dio, esprimere ciò che Dio dice nel tempo presente; in essa deve risaltare la parola della Chiesa circa la parola di Dio.
Chi la pronunzia compie la funzione del profeta che, in nome di Dio, annunzia la sua parola, la spiega e l’applica alla situazione dell’assemblea. Di solito è tenuta personalmente dal sacerdote celebrante; talora da un sacerdote concelebrante e , secondo l’opportunità, anche da un diacono, non però da un laico. Nei giorni festivi non può essere omessa, nei giorni feriali di Avvento, Quaresima e nelle feste è vivamente raccomandata, negli altri giorni è consigliata.
E’ opportuno, dopo l’omelia, osservare un breve minuto di silenzio.
Professione di fede
A conclusione della Parola di Dio nelle domeniche e nelle solennità e in particolari celebrazioni solenni, segue il Credo, che è una professione di fede, che va proclamata o cantata in piedi dal Sacerdote insieme con il popolo. Del Credo il Messale italiano presenta due formulazioni. Quello comunemente recitato fu introdotta nella Messa della Chiesa di Roma nell’undicesimo secolo, è chiamato simbolo niceno – costantinopolitano, perché proposto prima dai Vescovi riuniti nel Concilio di Nicea (a. 325) e poi accolto, con un’aggiunta, da quelli riuniti nel Concilio di Costantinopoli (a. 381). Nelle Chiesa d’Occidente contiene in più il termine “fìlioque“, proposto dai vescovi di Spagna. L’altro è stato introdotto nel Messale nella seconda metà del ventesimo secolo ed è denominato “simbolo Apostolico“, è fatto risalire al tempo degli Apostoli e veniva insegnato agli adulti che si preparavano al Battesimo.
Il termine “simbolo” proviene dal greco e significa segno di riconoscimento. Il Credo è la “tessera” di riconoscimento del cristiano. Presenta l’insegnamento della fede sull’Unità e Trinità delle Divine Persone e in un certo senso riassume i fatti salienti della storia della salvezza: creazione, caduta dell’uomo, peccato originale, annunzio del Salvatore, redenzione apportata dal Figlio di Dio con l’incarnazione, passione e morte, risurrezione e ritorno per risuscitare e giudicare l’umanità, Chiesa, sacramenti, vita eterna.
La professione di fede ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nella lettura della Sacra Scrittura e spiegata nell’omelia e che, recitando la regola di fede, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell’Eucaristia.
Preghiera universale
La preghiera che fa seguito al Credo è una felice innovazione della riforma liturgica avvenuta dopo il Concilio Vaticano II, anche se nei primi secoli era frequente e un esempio di essa si trova nella Liturgia del Venerdì Santo. E’ detta preghiera universale o dei fedeli, perché è elevata a Dio dal popolo che prega per la salvezza di tutti.
Ordinariamente le intenzioni, che devono essere sobrie, formulale con sapiente libertà e con poche parole, devono avere la seguente successione: per le necessità della Chiesa, per i governanti e la salvezza del mondo, per quelli che si trovano in difficoltà, per la comunità locale. Le introduce e le conclude il sacerdote. Le intenzioni vengono lette dall’ambone o da altro luogo conveniente dal diacono o dal cantore o dal lettore o da un fedele laico. Il popolo, stando in piedi, esprime la sua supplica con un’invocazione comune dopo la formulazione di ogni singola intenzione, oppure pregando in silenzio.