Matteo 21,28-32: 28 In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. 29 Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30 Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Si, signore”. Ma non vi andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «II primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
(Bibbia Cei: Versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Matteo 21,28-32
«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L`ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.
(Bibbia Cei: Versione1971)
Esegesi
Gesù, Messia pacifico e disarmato entra in Gerusalemme (21,11) e si qualifica come riformatore definitivo della vita cultuale del nuovo popolo di Dio (21, 12-17). Ma la città resta incredula (21, 10) e i responsabili qualificati del popolo si mostrano ostili; con essi Gesù ha una serie di dispute e Matteo ne registra cinque (sulla cacciata dei mercanti del tempio, sul tributo a Cesare, sulla risurrezione dei morti, sul comandamento più importante, sul figlio di Davide). All’incredulità e al rifiuto delle autorità risponde il giudizio di Dio che pende, come definitiva condanna sulla città e su i suoi responsabili. La sequenza di tre parabole sviluppa questo motivo polemico. I capi increduli vengono paragonati al figlio disobbediente (21, 28-32), ai vignaioli omicidi (21, 33-46) , agli invitati che rifiutano di partecipare al banchetto (22, 1-14). Il brano liturgico odierno presenta la prima delle parabole di rottura, incentrata sulla contrapposizione di due figli, di cui uno dice si al padre, che gli chiede di andare a lavorare nella vigna, e l’altro no, ma è proprio questo che poi fa quanto gli è stato chiesto.
DISSE GESU’ (28)
L’inizio della nostra pericope: “disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo” è liturgica, non si trova così formulata e la si ricava dal contesto. Infatti nei versetti precedenti è riferita la diatriba tra “i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo” (23) e Gesù sull’autorità con cui egli ha scacciato dal tempio i venditori (23). Alla domanda dei notabili Gesù risponde, con un espediente della dialettica rabbinica, interrogandoli a sua volta, sul battesimo di Giovanni (25) e dal momento che loro non vogliono dargli una risposata anche lui si rifiuta di rispondere ma incalza i suoi avversari con una parabola che dice da quale parte si trova la vera docilità nei riguardi di Dio.
CHE VE NE PARE? (29)
E’ una formula introduttiva, propria di Matteo (cf 18, 12: che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore…) che fa da nesso con quanto precede.
DUE FIGLI (29)
I due figli simboleggiano le due categorie in cui, secondo il pensiero ebraico, era divisa l’umanità: da una parte gli eletti dall’altra i peccatori. E rappresentano due tipi di risposta, l’accettazione puramente verbale che non passa all’azione e l’adesione operativa, dopo il diniego iniziale.
AL PRIMO (28)
La vigna è l’immagine usuale nell’AT con cui è presentata la casa d’Israele. Il “primo” rappresenta il popolo d’Israele, che ha detto si a parole, ma di fatto ha tradito l’alleanza e i notabili, che ostentano zelo per la legge, ma rifiutano Gesù.
RIVOLTOSI AL SECONDO (30)
Il secondo figlio è figura dei tanti peccatori, pubblicani, meretrici, disprezzati e scomunicati, che non hanno avuto un comportamento esemplare, ma hanno creduto a Gesù e alle sue parole e si sono convertiti.
CHI DEI DUE (31)
E chiaro per tutti che l’obbedienza non consiste in parole sterili e disimpegnate, ma in fatti concreti e precisi e non ci si può illudere di aderire alla volontà di Dio solo per il fatto che si dice di aderirvi. Gli uditori non hanno difficoltà a dare l’esatta risposta, ma in questo modo Gesù li ha messi con le spalle al muro, strappando ad essi un giudizio di auto condanna.
I PUBBLICANI E LE PROSTITUTE (31)
Queste due categoria erano particolarmente rappresentative dei peccatori. Gesù dice che i peccatori “vi passano avanti” e non “vi passeranno”, che sarebbe promettere un privilegio. Gesù fa una constatazione: di fatto costoro avevano accettato la predicazione di Giovanni, si erano convertiti ed erano stati resi giusti.
E’ VENUTO A VOI GIOVANNI (32)
Gesù precisa quando questo passaggio avanti è avvenuto, è stato quando essi hanno creduto a Giovanni, che era venuto ed aveva invitato a lasciare il male e ad aderire al bene, incamminarsi sulla via della giustizia.
NON GLI AVETE CREDUTO (32)
I notabili invece non avevano creduto a Giovanni (non gli avete creduto) e pur avendo visto e udito le stesse cose viste e sentite dai peccatori, avevano rifiutato di pentirsi (nemmeno pentiti).
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
PARABOLA DEI DUE FIGLI
Questi due figli, di cui si parla anche nella parabola di Luca, sono uno onesto, l`altro disonesto; di essi parla anche il profeta Zaccaria con le parole: “Presi con me due verghe: una la chiamai onestà, l`altra la chiamai frusta, e pascolai il gregge” (Zc 11,7). Al primo, che è il popolo dei gentili, viene detto, facendogli conoscere la legge naturale: «Va` a lavorare nella mia vigna», cioè non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (cf. Tb 4,16). Ma egli, in tono superbo, risponde: «Non voglio». Ma poi, all`avvento del Salvatore, fatta penitenza, va a lavorare nella vigna del Signore e con la fatica cancella la superbia della sua risposta. Il secondo figlio è il popolo dei Giudei, che rispose a Mosè: “Faremo quanto ci ordinerà il Signore” (Es 24,3), ma non andò nella vigna, perché, ucciso il figlio del padrone di casa, credette di essere divenuto l`erede. Altri però non credono che la parabola sia diretta ai Giudei e ai gentili, ma semplicemente ai peccatori e ai giusti: ma lo stesso Signore, con quel che aggiunge dopo, la spiega. “In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici vi precederanno nel regno di Dio” (Mt 21,31). Sta di fatto che coloro che con le loro cattive opere si erano rifiutati di servire Dio, hanno accettato poi da Giovanni il battesimo di penitenza; invece i farisei, che davano a vedere di preferire la giustizia e si vantavano di osservare la legge di Dio, disprezzando il battesimo di Giovanni, non rispettarono i precetti di Dio. Per questo egli dice: “Perchè Giovanni è venuto a voi nella via della giustizia, e non gli avete creduto ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, nemmeno dopo aver veduto queste cose, vi siete pentiti per credere a lui” (Mt 21,32). (Girolamo, In Matth. 21, 29-31)
I DUE FIGLI
“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli” (Mt 21,28). Egli chiamò i suoi «figli», per incitarli al lavoro. “D`accordo, Signore”, disse l`uno. Il padre l`ha chiamato: Figlio mio, ma lui ha risposto chiamandolo: “Signore”; non lo ha chiamato: Padre, e non ha adempiuto la sua parola. “Quale dei due ha fatto la volontà del padre suo”? Essi giudicarono con rettitudine e “dissero: Il secondo” (Mt 21,31). Egli non disse: Quale vi sembra? – infatti il primo aveva detto: “Ci vado” – bensí: “Quale ha fatto la volontà del padre suo? Ecco perché i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli (ibid.)”, poiché voi avete promesso a parole, ma essi corrono piú veloci di voi. “Giovanni è venuto a voi nella via della Giustizia” (Mt 21,32), non ha trattenuto per sé l`onore del suo Signore, ma, allorché si riteneva che egli fosse il Cristo, egli ha detto: “Io non sono degno di sciogliere i lacci dei suoi sandali” (Lc 3,16). (Efrem, Diatessaron, XVI, 18)
GIOIA PER IL PECCATORE PENTITO
“Cosí, io vi dico, vi sarà in cielo una gioia maggiore per un solo peccatore che si pente, che non per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza” (Lc 15,7). Dobbiamo considerare, fratelli, perché il Signore affermi che c`è piú gioia in cielo per i peccatori che si convertono che non per i giusti che rimangono tali. Noi sappiamo per esperienza quotidiana, che il piú delle volte quelli che non si sentono oppressi dal peso dei peccati stanno sí saldi sulla via della giustizia, non commettono nulla d`illecito, ma non anelano ansiosamente alla patria celeste e tanto piú facilmente usano delle cose lecite quanto piú ricordano di non aver commesso nulla d`illecito. Essi per lo piú rimangono pigri nel fare il bene straordinario, proprio perché sono sicuri di non aver commesso colpe piú gravi. Al contrario, quelli che si ricordano di aver compiuto qualcosa d`illecito, presi dal dolore, si accendono di amor di Dio, si esercitano nelle virtù sublimi, cercano le difficoltà del santo combattimento, lasciano tutte le cose del mondo, fuggono gli onori, si rallegrano delle offese ricevute, bruciano di desiderio, anelano alla patria celeste; e poiché sanno di essersi allontanati da Dio, cercano di riparare le colpe del passato con le opere del presente. Pertanto, c`è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che non per un giusto che resta tale, perché anche il condottiero in battaglia ama di piú quel soldato che, tornato indietro dopo essere fuggito, incalza fortemente il nemico, che non quello che non ha mai voltato le spalle ma non si è mai comportato valorosamente. Anche l`agricoltore ama di piú quel campo che dopo le spine produce frutti abbondanti, di un altro che non produsse mai spine, ma non produce neppure una messe fertile. (Gregorio Magno, Hom. 34, 4-5)
GIOIA PER IL GIUSTO
Ma a questo punto bisogna che si sappia che ci sono molti giusti, nella cui vita c`è soltanto gioia, cosí che non si può chiedere loro alcuna penitenza per i peccati. Molti, infatti, sono consapevoli di non aver commesso alcun male, e tuttavia si esercitano con tanto ardore a mortificarsi come se fossero ridotti alle strette da tutti i peccati. Tutto rifiutano, anche le cose lecite, si accingono con elevatezza d`animo a disprezzare il mondo, non vogliono che siano loro lecite quelle cose che piacciono, si privano anche dei beni concessi, disprezzano le cose visibili, ardono per quelle invisibili, godono nei lamenti, in ogni cosa si umiliano; e come alcuni piangono i peccati di opere, cosí fanno anch`essi per quelli di pensiero. Come dunque chiamerò costoro, se non giusti e penitenti, essi che si umiliano con penitenza del peccato di pensiero e perseverano sempre retti nelle loro azioni? Da questo bisogna capire quanta gioia dà a Dio quando un giusto umilmente piange, dal fatto che egli gode in cielo quando un ingiusto condanna con la penitenza il male che ha commesso. (Gregorio Magno, Hom. 34, 4-5)
TEMPO DI CONVERSIONE
Il tempo per guadagnare la vita eterna Dio lo assegnò agli uomini solo in questa vita, nella quale volle che ci fosse anche una fruttuosa penitenza. Pertanto, la fruttuosa penitenza è qui, perché qui l`uomo, deposta la malizia, può vivere bene, e, mutato il volere, mutare insieme i meriti e le opere e nel timor di Dio compiere le cose che piacciono a Dio. E chi non avrà fatto ciò in questa vita, subirà di certo la pena delle sue colpe nel secolo avvenire, ma non troverà indulgenza al cospetto di Dio; poiché sebbene lí ci sarà lo stimolo della penitenza, mancherà la correzione della volontà. Da questi infatti viene talmente biasimata la loro colpa, che in nessun modo da essi può essere amata o desiderata la giustizia. Infatti, la loro volontà sarà tale, da aver sempre in sé il supplizio della propria malvagità, e da non poter mai ricevere un desiderio di bontà. Poiché come coloro che con Cristo regneranno, non avranno in sé alcun residuo di cattiva volontà, cosí coloro che saranno condannati al supplizio del fuoco eterno col diavolo e i suoi angeli, come non avranno piú alcun refrigerio, cosí non potranno in alcun modo avere una buona volontà. E come ai coeredi di Cristo sarà concessa la perfezione della grazia per l`eterna gloria, cosí a coloro che partecipano della stessa sorte del diavolo, la stessa malizia aumenterà la pena; allorché cacciati nelle tenebre esteriori, non saranno illuminati da nessuna luce interiore della verità. (Fulgenzio di Ruspe, De f. ad P. 38)
FEDE E OPERE
Il solerte operaio riceve a testa alta la mercede del suo lavoro, mentre quello pigro ed indolente non osa guardare in volto il suo datore di lavoro. Noi, pertanto, dobbiamo essere zelanti e premurosi nell`adempimento del bene, giacché è Dio ad elargirci ogni cosa. Il Signore ha, infatti, detto: “Ecco il Signore Iddio che viene con la sua ricompensa e la sua retribuzione lo precede” (Is 40,10): “Egli accorderà a ciascuno secondo le opere che questo compie” (Pr 24,12). Con tali parole, perciò, egli ci esorta non soltanto a credere in lui con tutto il nostro cuore, ma a tenere altresì lontani da noi la passività ed il disinteresse nei confronti del bene. Poniamo nel Signore il nostro vanto ed ogni nostra sicurezza! Mostriamoci docili alla sua volontà, considerando che tutta la schiera dei suoi angeli, che gli sta intorno, si conforma costantemente alla sua volontà. La Scrittura, infatti, dice: “Diecimila miriadi lo attorniavano e mille migliaia lo servivano” (Dn 7,10), “gridando: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti, tutta la creazione è piena della sua gloria” (Is 6,3). Anche noi, perciò, concordemente e tutti uniti in un cuore solo, innalziamo a lui, con insistenza, ad una sola voce, il nostro grido, affinché egli ci elargisca quei gloriosi e grandi doni che ci ha promesso. Sta, infatti, scritto: “Quel che occhio mai non vide, né orecchio mai udí, né mai cuore d`uomo ha potuto gustare, questo Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9; Is 64,4; 65,16). (Clemente di Roma, Ad Cor.. 32-34)
SRADICARE L’IPOCRISIA
L’ipocrisia è un male sottile, morbo segreto, veleno nascosto, belletto delle virtù, tarlo della santità. Quando con i nemici si lotta allo scoperto li si schiva facilmente, guardandoli in faccia. L’ipocrisia si finge sicura, dà a credere di essere felice, mentisce scrupolosamente, e con arte crudele tronca la virtù, per mezzo della spada delle apparenti virtù. (S. P. Crisologo)
L’APPARTENENZA AL POPOLO DI DIO NON BASTA
Non basta appartenere al Popolo di Dio. Non è l’istituzione che salva, anche se è lo strumento necessario per la salvezza. E’ Gesù Cristo che salva, se non aderiamo sinceramente a lui, come ha fatto il figlio che, dopo il primo “no”, ha obbedito alla volontà del Padre suo. Dice il Vaticano II: “ Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa (che è il corpo di Cristo) quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti… Non si salva però, anche se incorporato nella Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane in seno alla Chiesa con il “corpo” ma non con il “cuore”. (Lumen gentium)
IL PADRE E I DUE FIGLI
Il padre della parabola rappresenta Dio e i due figli raffigurano le due categorie di uomini nei quali è divisa la società secondo il pensiero religioso giudaico: da una parte sono gli eletti, i membri del popolo di Dio; dall’altra gli indifferenti, i peccatori. I membri di ambedue i gruppi sono figli di Dio, ma gli uni sono convinti di essere nella giusta via. Gli altri, che sono ufficialmente e formalmente trasgressori della volontà di Dio, di fatto con la conversione adempiono la sua volontà, espressa nell’insegnamento di Gesù. (Stefano Virgulin)
DIRE E FARE
La breve parabola sottolinea il contrasto che esiste tra i dire e il fare, tra la parola e l’azione. L’obbedienza a Dio non consiste nel pronunziare un si, ma nell’adempiere ciò che Dio vuole nel momento presente, in sintonia con la predicazione di Gesù. Non ci si può sottrarre a questa esigenza col pretesto di ottemperare a un codice di prescrizioni, di cui non si può contestare l’origine divina. La volontà di Dio non si confonde con un cumulo di leggi che sarebbe sufficiente osservare. Obbedire significa rispondere personalmente a un Dio che chiama e che propone spesso esigenze dure e imprevedibili. Le pratiche religiose perdono il loro valore se procurano all’uomo una sicurezza che gli fa trascurare l’appello che Dio rivolge agli uomini per mezzo della predicazione di Gesù. (Stefano Virgulin)
LA VIA DELLA GIUSTIZIA
L’invito del padre della parabola è lo stesso invito espresso dal Battista di camminare nella “via della giustizia”. E tale cammino si compie se si crede a Gesù e al suo messaggio. I pubblicani e le prostitute hanno preceduto precisamente perché hanno creduto alla predicazione di Giovanni. La “giustizia” è connessa col regno di Dio, è un modo di vivere legato con il suo avvento; in altri termini, non è altro che vivere da discepoli di Gesù, in contrapposizione allo stile della vita del “mondo”. Essa non è altro che la “volonta’” di Dio proclamata da Giovanni Battista e da Gesù, cioè che si realizzi una nuova realtà sociale. Quelli che entrano nella “via della giustizia” sono coloro che accettano di far parte di questa nuova società, contrapposta alla società del mondo. Per la Bibbia la misura della giustizia (in ebraico sedaqah) è la comunità e il giusto (saddiq) è chi è fedele alla comunità. In questa luce la beatitudine del 5 capitolo di Matteo: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia” può esser resa così: “ Beati quelli che desiderano ardentemente edificare la comunità voluta da Dio”. E’ infatti soltanto in una società fraterna e riconciliata, come vuole Gesù, che è possibile vivere la giustizia anche come obbedienza alla legge divina e onesto comportamento verso gli altri. D’altra parte è vano aspettarsi la “giustizia” dalle società di questo mondo, che si basano essenzialmente sulla rivalità e sulla violenza. La società dei discepoli di Gesù è l’unica vera alternativa alle società del mondo, l’unica che ha la chiave per l’autentica giustizia, la pace e la gioia. Essa non è uno Stato meglio organizzato o meno immorale degli altri Stati. E’ il popolo di Dio, che vivendo come popolo, realizza la volontà di Dio. (A. Bonora)
DISPONIBILITA’ VERSO DIO
La parabola proposta da Gesù sull’uomo che aveva due figli, di cui il primo è risultato disobbediente e il secondo obbediente, intende sollecitare la disponibilità sincera verso Dio, rappresentato dal padre di famiglia e insieme denunziare la contraddizione che si può instaurare tra le parole e la vita, cioè il fariseismo. Gesù ha inteso la vita cristiana come unità degli atteggiamenti interiori e di quelli esteriori: “ Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt 7, 21). Nell’ottica di Gesù il giusto non è colui che osserva la legge esteriore, ma chi è capace di liberare se stesso, di compiere un esodo dalle proprie posizioni di sicurezza e di aderire a Dio, chi è capace del cambiamento di rotta, della rinascita. “Giusto” è colui che opera per la propria rinascita, “peccatore” è colui che si allontana dalla vita. (Vincenzo Rimedio)
DIRE “SI” AL SIGNORE
E’ certamente necessario e importante che diciamo “si” al Signore con la preghiera, con la messa festiva, con la confessione e la comunione. Ma non basta. E’ necessario che diciamo “si” anche con il rispetto e l’amore degli altri; con il perdono reciproco, con l’impegno nella fedeltà coniugale e nel rispetto del piano di Dio per la vita matrimoniale; con l’onestà negli affari, con il fedele adempimento dei doveri professionali. Diversamente siamo come il figlio che ha detto “si”, ma poi non ha fatto niente. E può succedere anche a noi che “pubblicani e prostitute” ci passino avanti nel regno di Dio. Nelle parole di Gesù c’è un messaggio importante anche per tutta la comunità cristiana. Non basta appartenere all’istituzione per essere salvi. Non è l’istituzione che salva, anche se è strumento necessario ed efficace per la salvezza. E’ Gesù Cristo che salva, se noi aderiamo sinceramente a lui, come ha fatto il figlio che, dopo il primo “no”, ha obbedito alla volontà del padre suo. “I pubblicani e le prostitute” “passano avanti nel regno di Dio”. Il Concilio nella costituzione sulla Chiesa (LG) dice con chiarezza: “Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa (che è il Corpo di Cristo) quelli che, avendo lo spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti…. Non si salva però, anche se incorporato nella Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane in seno alla Chiesa con il “corpo”, ma non con il “cuore”. (Giovanni Nervo)
UN “SI” AUTENTICO
Si può parlare di un vero “si” al Padre quando la fede diventa vita, quando il vangelo non fiorisce solo sulle labbra, ma passa nelle mani diventando gesto concreto. E allora è tutta la vita che dice “si”. Dice San Gregorio di Nissa: “ Tre sono gli elementi che manifestano e distinguono la vita del cristiano: l’azione, la parola e il pensiero. Primo fra questi è il pensiero. Al secondo posto viene la parola che dischiude e manifesta con vocaboli ciò che è stato concepito dal pensiero. Dopo, in terzo luogo, si colloca l’azione, che traduce nei fatti quello che è stato pensato.” E Ignazio di Antiochia dice: “ Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero”. E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo. E’ cosa buona insegnare, se chi parla pratica ciò che insegna: egli con la sua parola opererà e con il suo silenzio si farà conoscere. Gesù l’ha detto nel modo più semplice e essenziale: “ Non chi dice, ma chi fa”. L’ottimo si ha quando si pensa, si dice e si fa. Così non si cade nell’eccesso opposto di una religiosità puramente esteriore, fatta solo di “pratiche”: Messa, devozioni, pratiche ascetiche, che non sono radicate nel cuore. Bisogna tendere con tutte le forze all’equazione tra fede e vita. (M. Magrassi)
NON E’ MAI TROPPO TARDI
Si può sempre riscattare l’esistenza, si possono riscattate tante pagine sbagliate della nostra vita. Non è mai troppo tardi. Il figlio che ha detto al padre: “ non ci vado”, ha fatto male. Ma quando poi si pente e ci va, fa bene. Il “no” diventa “si” e l’errore è riscattato. Due cose vanno chiaramente affermate al riguardo.
1) Siamo quaggiù in “stato di via”: il tempo e lo spazio in cui possiamo meritare, e in cui è sempre possibile dare alla vita una sterzata. Solo con la morte il nostro atteggiamento sarà fissato per sempre. Nulla ci aiuta meglio a capire la preziosità della vita.
2) Dio è sempre pronto a perdonare: e il perdono è un nuovo punto di partenza. Ci toglie dalle spalle il peso di quel passato che ci opprime. Permette veramente di ricominciare. Non è mai lecito dire “ormai”. Puoi sempre fare oggi quello che non hai fatto ieri. In ogni momento si può asserire, come Dante nelle sue note personali: “Ora comincia una vita nuova”. La conversione è precisamente l’evento gioioso che rovescia la situazione: dalle tenebre si passa alla luce. Come dire che davanti a Dio la nostra libertà rimane sempre aperta. Dio non chiude mai il conto con noi: l’appello alla conversione è di ogni giorno. Egli ci ripete ogni mattina: “ Se oggi ascoltassi la mia voce”. E tu puoi passare dall’indifferenza all’amore, dalla tristezza dell’egoismo alla gioia di chi sa donarsi. (M. Magrassi)
FORME DI IPOCRISIA
La vita spirituale veramente evangelica esige che si sia sinceri fin nel profondo del cuore, ma l’insincerità dipende a volte da malizia e a volte dal poco o nessun dominio che abbiamo di noi stessi.. S. Ignazio esamina i vari comportamenti di uomini che sanno “di dover togliere da sé un peso e un impedimento che hanno, per salvarsi e trovarsi in pace con Dio”. C’è chi rimanda la decisione e “non pone i mezzi fino all’ora della morte”; più tortuoso è colui che afferma di non essere attaccato a ciò che impedisce di vivere rettamente, ma neppure se ne libera, “di maniera che là venga Dio dove egli vuole”. Velleitarismi ipocriti che vanno smascherati. La forma moderna dell’ipocrisia è quelle dell’incoerenza tra i principi della propria religione, a cui ci si dichiara attaccati, e la pratica negazione di essi nella vita morale. Si dice “si” al vangelo ma poi si segue il mondo. I cristiani seri fermano la loro attenzione sulla frattura tra fede e vita, cioè sullo scarto tra la credenza enunciata e il vissuto concreto. C’è la diffusa propensione, anche tra i credenti praticanti, a selezionare soggettivamente, e alla fine arbitrariamente, i contenuti oggettivi della fede e della morale cristiana e, corrispondentemente, a vivere un senso di appartenenza ecclesiale condizionata e con riserva. Questa tendenziale schizofrenia insidia un po’ tutti. Nei giovani, forse, si manifesta in forme più eclatanti e negli adulti spesso assurge a patologia cronica, e quindi più inquietante. Da queste fratture null’altro ci può liberare se non la grazia di Cristo. (C. Bravetto)
INTEGRAZIONE FEDE E VITA
La religione come è vissuta da molti cristiani presenta diversi livelli e diverse modalità di esperienza. Può essere vissuta come una somma di pratiche, di devozioni, di riti quasi fine a se stessi; come una visione del mondo e delle cose; come un criterio di giudizio su persone, valori avvenimenti. Può manifestarsi come codice morale e norma nell’agire o come integrazione fede-vita, cioè come sintesi sul piano del giudizio e dell’azione, tra il messaggio del Vangelo e le esigenze e gli impegno della propria vita personale e comunitaria. Il vero cristiano opera l’integrazione fede-vita. Il “si” della sua fede diventa cioè il “si” della sua vita; la parola e la confessione delle labbra diventano azione e gesto delle sue mani e del suo fare. Così la discriminazione tra il “si” e il “no” non passa attraverso le pratiche e l’osservanza delle leggi, ma attraverso la vita. (Messalino LDC)
PREGHIERA (pregare la parola)
•Padre santo, donaci una fede autentica perché crediamo a te con la mente, col cuore e con la vita, donaci la coerenza perché tu sei l’unico vero Dio, non solo nella proclamazione festiva, ma anche nelle scelte di ogni momento, donaci di imitare il tuo Figlio Gesù, che è stato il “SI” assoluto a Te ed ha orientato alla tua volontà ogni pensiero, ogni desiderio, ogni azione, l’intera esistenza.
•O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza ad ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. (Colletta 26 perannum A)
•A te, Signore, elevo l`anima mia, Dio mio, in te confido: non sia confuso! Non trionfino su di me i miei nemici! Chiunque spera in te non resti deluso, sia confuso chi tradisce per un nulla. Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato. (dal Salmo 24)
•Insegnaci, Signore a fare la tua volontà, perché il “si” che pronunziamo con le labbra nella celebrazione eucaristica sia confermato dal “si” della nostra vita.
•Aiuta, Signore, coloro che sono tentati di credersi cristiani solo perché danno e a Cristo un’adesione formale, perché si convertano ad un’adesione completa e vitale.
•Dio nostro Padre, noi spesso ti siamo figli ossequienti e devoti a parole, ma rifuggiamo l’obbedienza che cambia la nostra vita e la rende dono d’amore; fa che possiamo seguire Gesù, tuo Figlio e nostro fratello nella via della vera fedeltà. (Da: Servizio della Parola)
•Ci riconosciamo, Signore tuoi figli convocati dalla vita Parola e mandati nel mondo per testimoniare il vangelo. Eppure umilmente oggi ti chiediamo perdono perché tante volte ti abbiamo detto “si” con le labbra e non con le opere.
•Ti chiediamo perdono soprattutto perché spesso davanti a te e ai fratelli ci siamo sentiti “giusti” e non abbiamo accolto la tua parola che ci stimolava alla conversione, il tuo invito a lavorare per portare frutti di santità e di giustizia.
•Ti preghiamo: fa che noi battezzati e incorporati nella chiesa mediante i sacramenti della vita, non portiamo solo in apparenza il nome di cristiani ma lo siamo veramente, comportandoci secondo il vangelo, non secondo la mentalità del mondo.
•Fa, o Signore, che non confidiamo in noi stessi e nella nostra giustizia, ma che ci sforziamo momento per momento di rivestirci dei sentimenti del tuo Figlio e nostro maestro Gesù Cristo. Fa che non ci sentiamo migliori degli altri soltanto per la nostra pratica religiosa, ma che sappiamo umilmente stare all’ultimo posto e, da poveri, invochiamo senza tregua la grazia del tuo Spirito. (Preghiere delle Suore Bendettine Mon. “Mater Ecclesiae)
•Invochiamo la misericordia di Dio onnipotente perché ci renda capaci non solo di ascoltare la sua parola, ma anche di praticarla. Egli faccia scendere su di noi l’abbondanza del suo Spirito perché distrugga in noi quello che deve essere distrutto e vivifichi quello che stima debba essere vivificato. (Origene)
•Ti preghiamo per tutti i membri della chiesa, o Padre: perdona tutti, dona a tutti la remissione dei peccati, concedici di non peccare in nulla, sii nostra difesa e rendi vana ogni tentazione. Abbi pietà degli uomini, delle donne e dei bambini, rivelati a tutti e fa che la conoscenza di te sia scritta nel nostro cuore. (Serapione)
•O Dio che sei pieno di misericordia, che ami i giusti e hai pietà dei peccatori, che chiami tutti alla salvezza, mediante la promessa dei beni futuri: accogli la nostra supplica e orienta la nostra via verso i tuoi comandamenti. Santifica le nostre anime, purifica i nostri cuori, correggi i nostri pensieri, rettifica le nostre azione. (S. Basilio)
•Vergine madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, tu sei colei che l’umana natura nobilitasti sì che ‘l suo fattore non disdegno di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l’amore per lo cui caldo ne l’eterna pace così è germinato questo fiore. Qui se’ a noi meridiana face di caritate e giuso, intra i mortali se’ di speranza fontana verace. Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate. (Dante: 23 Canto del Paradiso)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Passiamo dai nostri facili “no” a Dio ad un “si” deciso e impegnativo alla sua volontà.