Giovanni 10, 11-18: 11 In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco Il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
(Bibbia Cei: versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Giovanni 10, 11-18
Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest`ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio»
(Bibbia Cei: versione 1971)
Esegesi
Il capitolo 9 di Giovanni che presenta il miracolo del cieco nato, si conclude con un’accusa ai farisei guide cieche e falsi pastori. Il capitolo 10 nei versetti 1-21 presenta il vero pastore, che è Gesù. Il simbolismo della figura del pastore ha una grande importanza in tutto l’antico Oriente, dove spesso si paragona il sovrano ad un pastore e il suo popolo ad un gregge. La stessa cosa si verifica nell’Antico Testamento, dove anche Dio, che è il Signore unico del popolo, è detto pastore. Soprattutto due testi meritano di essere letti: il salmo 23 ed Ezechiele 34, 24-31. Nel Nuovo Testamento anche il Messia viene preannunziato come pastore. Del discorso di Giovanni su Gesù buon pastore, contenente due parabole con relative spiegazioni, la liturgia della 4 domenica di Pasqua presenta la seconda parte.
IO SONO IL BUONO PASTORE (11)
L’espressione è una delle affermazioni che incominciano con “io sono”, molto frequenti nel quarto Vangelo, nelle quali Gesù si manifesta come l’inviato di Dio, che esige un omaggio di fede. Gesù si presenta come il “ pastore”, il Messia, in cui si compiono le profezie, “buono”, perché in lui c’è la realizzazione perfetta della missione di pastore.
IL BUON PASTORE….IL MERCENARIO (11-12)
Nella prima parabola del discorso veniva posto in antitesi il pastore e il ladro (10, 8-10), ora il pastore per eccellenza e il mercenario. Questi fa il suo mestiere per il salario che guadagna, non si impegna a tempo pieno e non s’interessa del gregge più di tanto.
OFFRO LA VITA PER LE PECORE (11)
Il buon pastore invece vive completamente per le pecore e mette a repentaglio la vita per loro. Questo è un dato insolito e la parabola mira a dimostrare soprattutto questa verità.
CONOSCO (14)
Oltre che dare la vita, il vero pastore conosce singolarmente le pecore ed è da esse conosciuto.
COME IL PADRE (15)
Gesù paragona questa conoscenza a quella che lo unisce al Padre. Gesù non si presenta solo come il Messia, ma come il Signore stesso che dice: “ Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e le farò riposare” (Ez 34, 15).
E HO ALTRE PECORE (16)
Le pecore del gregge di Gesù non sono solo gli Israeliti, ma anche i Samaritani, i pagani, tutti gli uomini.
ASCOLTERANNO…UN SOLO GREGGE (16)
L’unico ovile è la Chiesa. E nella Chiesa i popoli si radunano nel corso della storia per l’attività missionaria dei discepoli.
PER QUESTO IL PADRE MI AMA (17)
Il Padre ama il Figlio che dona in piena libertà la vita per le pecore Gesù. Nessuno lo costringe e la sua morte non è un cieco destino Ma Gesù ha potere anche sulla morte e alla sua morte segue la risurrezione.
QUESTO COMANDO (18)
Gesù dona la vita in libertà per fare la volontà del Padre. Per Gesù c’è libertà vera solo quando si compie la volontà del Padre. Libertà e obbedienza coincidono. La morte di Cristo salva perché è libera e perché è obbediente. L’obbedienza di Gesù al Padre non è solo legata al fatto che è uomo ed è venuto a riparare i peccati dell’uomo, ma deriva dal fatto che è Figlio del Padre. Nel seno della Trinità, il Figlio è colui che riceve tutto dal Padre ed è sempre “presso il Padre” (Gv 1, 1), sempre rivolto verso di Lui.
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
IL BUON PASTORE
Avete udito, fratelli carissimi, dalla lettura evangelica odierna, un ammaestramento per voi e un pericolo per me. Infatti colui che è buono non per un dono aggiuntivo, ma per sua stessa natura, dice: “Io sono il buon pastore” (Gv 10,11). Poi, subito evidenzia l`elemento costitutivo della sua bontà, per far sì che noi possiamo imitarlo, ed aggiunge: “Il buon pastore dà la vita per le sue pecore (ibid.)”. Inoltre, egli fece quel che insegnò, e mostrò con l`esempio quanto comandava. Il buon pastore dette la sua vita per le pecore del suo gregge, cambiando il suo corpo e il suo sangue nel nostro Sacramento, per sfamare con il cibo della sua carne coloro che aveva redento. In tal modo ci viene indicata la via del disprezzo della morte, perchè possiamo seguirla; ci viene proposto un modello da imitare. Anzitutto noi pastori di anime dobbiamo dare i nostri beni per le pecore del Signore; poi, se si rende necessario, per esse dobbiamo affrontare la morte. Dal dono delle cose esteriori che poi è il meno si arriva al dono della vita, che è il massimo tra tutti i doni. E siccome l`anima che ci fa dei viventi è incommensurabilmente più preziosa delle cose terrene in nostro possesso, chi non dà per le pecore del Signore i beni esteriori, come farà a dare per loro la propria anima? Eppure quanti sono coloro che per l`attaccamento ai beni del mondo si alienano il diritto di essere chiamati pastori! Di costoro, la divina Parola dice: “Il mercenario, e chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge ” (Gv 10,12). (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 14, 1-4)
IL MERCENARIO
Non pastore, bensì mercenario è detto chi pasce le pecore del Signore animato non dall`amore sincero, ma dalla bramosia della ricompensa materiale. Mercenario è chi esercita l`ufficio di pastore, ma, invece di cercare il bene delle anime, ricerca i propri agi, il guadagno terreno, gli onori delle dignità ecclesiastiche e si pavoneggia alle riverenze degli uomini. Ecco i compensi del mercenario! Egli trova quaggiù la ricompensa che va cercando per il suo lavoro di pastore di anime, ma alla fine sarà escluso dalla eredità del gregge. Finchè non si presenta un`occasione straordinaria, non è possibile distinguere il buon pastore dal mercenario. In tempo ordinario, pastore e mercenario custodiscono il gregge nell`identico modo. E` quando sopraggiunge il lupo che si svela la interiore disposizione con la quale ciascuno dei due stava a guardia del gregge. Il lupo cala sul gregge ogni qualvolta un ingiusto o un rapitore affligge gli umili e fedeli servi del Signore. Allora, colui che appariva pastore, senza esserlo, lascia le pecore e fugge, per paura del pericolo che gli incombe e non si arrischia a resistere all`ingiustizia. (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 14, 1-4)
LE PECORE CONOSCONO IL PASTORE
Ma, dopo aver denunciato le colpe del falso pastore, il Signore ci prospetta ancora il modello, quasi la forma in cui dobbiamo calarci. Afferma difatti: “Io sono il buon pastore”. Quindi, aggiunge: “Io conosco”, ovvero amo, “le mie pecore, e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14). Come se intendesse dire: Le anime che mi amano, mi obbediscono, perchè chi non ama la verità è segno che non la conosce ancora. Avendo udito, fratelli carissimi, il pericolo cui siamo esposti noi pastori di anime, sforzatevi di scoprire nelle parole del Signore i pericoli che del pari correte voi. Interrogatevi se siete davvero le sue pecore, chiedetevi se lo conoscete, se possedete la luce della verità. Dico possedere la luce della verità, non soltanto per fede, ma per amore; non soltanto perciò credendo, ma anche operando. Infatti, lo stesso evangelista Giovanni, autore del brano evangelico odierno, ci ammonisce che: “Colui che dice di conoscere Dio, e poi non osserva i suoi comandamenti è un bugiardo” (1Gv 2,4). Ecco perchè, nel brano letto, il Signore aggiunge: “Come il Padre conosce me, così io conosco il Padre, e do la mia vita per le mie pecore” (Gv 10,15). In altri termini: da questo si dimostra chiaramente che io conosco il Padre e da lui sono conosciuto: dal fatto che do la mia vita per le mie pecore. Cioè: dall`amore con cui mi voto alla morte per le mie pecore, si può intuire quanto grande sia l`amore che ho per il Padre. Siccome però il Signore era venuto per la redenzione di tutti, non solo degli Ebrei, ma anche dei Gentili, la Scrittura prosegue: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche quelle io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10,16) Quando asseriva di voler condurre e chiamare anche altre pecore, il Signore prevedeva la nostra redenzione. Noi, in effetti, veniamo dal paganesimo. Il che, fratelli potete vedere realizzato ogni giorno; e questo potete verificare, dal momento che i pagani si sono riconciliati con Dio. Egli fa di due greggi quasi un solo ovile, poiché unifica nella sua fede il popolo ebreo e quello pagano. E quanto attesta Paolo, che afferma: “Egli è la nostra pace; è colui che ha unito i due in un sol popolo” (Ef 2,14). Quando egli, da entrambe le nazioni, chiama i semplici alla vita eterna, conduce le pecore al proprio ovile. (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 14, 1-4)
GESU PORTA
“Io sono la porta”: L`ufficio della porta è quello d`immettere nella casa. E questo s`addice bene a Cristo, perché, chi vuol entrar nel mistero di Dio, bisogna che passi per lui (Sal 117,20): “Questa è la porta del Signore” – Cristo – “e i giusti entreranno in essa”. Precisa: “Porta del gregge”, perchè non solo i pastori sono immessi nella Chiesa presente e poi nella beatitudine eterna attraverso Cristo, ma tutto il gregge, com`è detto appresso: “Le mie pecore ascoltano la mia voce… e mi seguono, e io do loro la vita eterna”. Poi, quando dice: “Tutti quelli che son venuti prima di me son ladri e banditi”, dice chi siano i ladri e i banditi e quali ne sian le note. (Tommaso d`Aquino, Ev. sec. Ioan., 10, 3, 1s.)
LADRI E BANDITI
“Tutti quelli che son venuti”, non attraverso me, senza divina ispirazione e mandato, e con l`intenzione di cercare non la gloria di Dio, ma la propria, questi sono ladri, in quanto si appropriano di un`autorità d`insegnamento che non gli spetta (Is 1,23: “I tuoi principi infedeli sono alleati di ladri)”; e “sono banditi”, perchè uccidono attraverso la loro malvagia dottrina Mt 21,13: “Voi ne avete fatto una spelonca di ladri”; e Os 6,9:
“Compagno di ladri, che ammazzano coloro che passano per la strada)”. Ma “costoro”, cioè i ladri e banditi, “le pecore non li ascoltarono”, almeno in modo costante, perché‚ altrimenti non avrebbero fatto più parte del gregge di Cristo, perchè “non segue un forestiero e fugge da lui”. “Io sono la porta; chi entra attraverso me, sarà salvo”. Qui il Signore, prima di tutto, vuol dire che il diritto di uso della porta è suo e che fa parte del piano della salvezza. Il modo della salvezza è accennato nelle parole: “Potrà entrare e uscire”. La porta salva quelli che son dentro, trattenendoli dall`esporsi ai pericoli, che son fuori, e li salva, impedendo al nemico di entrare. E questo s`addice a Cristo, poichè in lui abbiamo protezione e salvezza; ed è questo ch`egli vuol dire con le parole: “Se uno entrerà attraverso me” nella Chiesa, “sarà salvo”. Aggiungi anche la condizionale, se persevererà (At46,12: “Non è stato dato agli uomini nessun altro nome nel quale salvarsi”; e Rm 5,10: “Tanto più saremo salvi nella sua vita”). (Tommaso d`Aquino, Ev. sec. Ioan., 10, 3, 1s.)
ENTRERA E USCIRA’
Il modo della salvezza è significato con le parole: “Entrerà e uscirà e troverà pascoli”; ma queste parole possono essere spiegate in quattro modi.
Secondo il Crisostomo non significano altro che la sicurezza e la libertà di coloro che sono con Cristo. Infatti, colui che non entra per la porta, non è padrone di entrare e uscire quando vuole; lo è, invece, colui che entra per la porta. Dicendo, dunque: “entrerà e uscirà”, vuol significare che gli apostoli, in comunione con Cristo, entrano con sicurezza e hanno accesso ai fedeli, che sono nella Chiesa, e agli infedeli, che ne son fuori, poiché essi sono stati costituiti padroni del mondo e nessuno li può cacciare fuori (Nm 27,16: “Il Signore di tutti gli spiriti provveda per il popolo un uomo che possa entrare e uscire, perchè il popolo del Signore non sia come un gregge senza pastore”). “E troverà pascoli”, cioè la gioia nella conversione e anche nelle persecuzioni che gli capiterà di affrontare per il nome di Cristo (At 5,41: “Gli Apostoli uscivano dal sinedrio pieni di gioia, perché erano stati fatti degni di subir ignominia per il nome di Gesù”).
La seconda spiegazione è di sant`Agostino nel commento al Vangelo di Giovanni. Chi fa il bene realizza un`armonia tra ciò ch`è dentro di lui e con ciò ch`è fuori di lui. Al di dentro dell`uomo c`è lo spirito, al di fuori c`è il corpo (2Cor 6,16): “Sebbene il nostro uomo esteriore si corrompa, l`uomo interiore si rinnova di giorno in giorno). Colui dunque, ch`è unito a Cristo, “entrerà” attraverso la contemplazione per custodire la sua coscienza (Sap 8,16): Entrando nella mia casa -la coscienza-, “mi riposerò con essa” -la Sapienza -); e “uscirà” fuori, per controllare il suo corpo con le opere buone (Sal 103,23: “Uscirà l`uomo per i suoi impegni e per il suo lavoro fino a sera”); “e troverà pascoli”, nella coscienza pura e devota (Sal 16,15: “Verrò al tuo cospetto, mi sazierò alla vista della tua gloria”) e anche nel lavoro (Sal 125,6: “Al ritorno verranno esultanti, portando i loro covoni”).
La terza interpretazione di san Gregorio. “Entrerà” nella Chiesa,credendo (Sal 41,5: “Andrò dov`è una tenda meravigliosa”), il che vuol dire entrare nella Chiesa militante; “e uscirà”, cioè passerà dalla Chiesa militante alla Chiesa trionfante (Ct 3,11: “Uscite, figlie di Sion, e vedete il re Salomone col diadema di cui lo cinse sua madre il giorno delle nozze”); “e troverà pascoli” di dottrina e di grazia nella Chiesa militante (Sal 22,2: “Mi pose nel luogo del cibo”); e pascoli di gloria nella Chiesa trionfante (Ez 34,14: “Pascolerò le mie pecore in pascoli ubertosissimi”).
La quarta spiegazione è nel libro “De Spiritu et Anima”, che viene erroneamente attribuito ad Agostino; e ivi è detto che i santi “entreranno” per contemplare la divinità di Cristo e “usciranno” per ammirare la sua umanità; e nell`una e nell`altra “troveranno pascoli”, perchè nell`una e nell`altra gusteranno le gioie della contemplazione (Is 33,17: “Vedranno il re nel suo splendore”). Si tratta poi del ladro. Il Signore prima dice quali sono le proprietà del ladro e poi afferma che egli ha le proprietà opposte a quelle del ladro: “Io son venuto, perchè abbiano la vita”. Dice, dunque, che quelli che non entrano per la porta – che è lui – sono ladri e banditi e la loro condizione è malvagia. Infatti, “il ladro non viene che per rubare”, per portar via ciò che non è suo, e questo avviene, quando eretici e scismatici tirano a sè coloro che appartengono a Cristo. Il ladro poi viene “per uccidere”, diffondendo una falsa dottrina o costumi perversi (Os 6,9: “Compagno di ladri che ammazzano sulla strada quelli che vengono da Sichem”). Il ladro viene ancora, in terzo luogo, per distruggere, avviando alla dannazione eterna le sue vittime (Ger 50,6: “Il mio popolo è diventato un gregge perduto”). Queste condizioni non son certo nel buon pastore. “Io venni perchè abbiano la vita”. E pare che il Signore volesse dire: Costoro non son venuti attraverso me; se fossero venuti attraverso me, farebbero cose simili a quelle che faccio io, ma essi fanno tutto l`opposto; essi rubano, uccidono, distruggono. “Io son venuto perchè abbiano la vita” della giustizia, entrando nella Chiesa militante attraverso la fede (Eb 10,38; Rm 1,17: “Il giusto vive di fede”). Di questa fede, è detto in 1 Gv 3,14: “Noi sappiamo che siamo stati trasferiti dalla morte alla vita, perchè amiamo i fratelli. E perchè l`abbiano più abbondantemente”; abbiano cioè la vita eterna all`uscita dal corpo; la vita eterna della quale appresso è detto (Gv 17,8) ch`essa consiste “nel conoscere te solo vero Dio”.(Tommaso d`Aquino, Ev. sec. Ioan., 10, 3, 1s.)
CRISTO IL VERO PASTORE
Che Cristo poi sia pastore è evidente dal fatto che, come il gregge è guidato e alimentato dal pastore, così i fedeli sono alimentati dalla dottrina e dal corpo e sangue di Cristo (1Pt 2,25: “Eravate pecore senza pastore, ma ora vi siete rivolti al pastore delle vostre anime”; e Is 40,11: “Pascolerà i suoi, come il pastore pascola il suo gregge”). Ma, per distinguersi dal ladro e dal cattivo pastore, aggiunge l`aggettivo “buono”. Buono perchè compie l`ufficio del pastore, come si chiama buon soldato colui che compie l`ufficio del soldato. Ma, poiché Cristo ha già detto che il pastore entra per la porta e che lui stesso è la porta, bisogna concludere ch`egli entra nell`ovile attraverso se stesso. Ed è proprio così, perchè egli manifesta se stesso e attraverso se stesso conosce il Padre. Noi, invece, entriamo attraverso lui, perchè attraverso lui otteniamo la gioia. Ma guarda che nessun altro è la porta, se non lui, perchè nessun altro è la luce vera; gli altri son luce riflessa. Lo stesso Battista non era lui la luce, ma uno che testimoniava per la luce. Ma di Cristo è detto: “Era la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Perciò, nessuno presume di esser la porta; solo Cristo poté dir questo di sé; ma concesse anche ad altri di essere pastori: difatti, Pietro fu pastore, e tutti gli apostoli e tutti i buoni vescovi furono pastori (Ger 3,5: Vi darò dei pastori secondo il mio cuore). Sebbene però i capi della Chiesa sian tutti pastori, tuttavia egli dice al singolare: “Io sono il buon pastore”, per suggerire la virtù della carità. Nessuno infatti è pastore buono, se non diventa una sola cosa con Cristo, attraverso la carità, e si fa membro del vero pastore. Ufficio del pastore è la carità; perciò dice: “Il pastore buono dà la vita per le sue pecore”. Bisogna sapere che c`è una differenza tra il pastore buono e il cattivo; il pastore buono guarda al vantaggio del gregge; il cattivo guarda al proprio vantaggio; e questa differenza è segnalata in Ez 34,2: “Guai ai pastori che pascono sé stessi. Ma non è il gregge che dovrebbe essere pascolato dal pastore”? Colui, dunque, che si serve del gregge, per pascolar se stesso, non è un pastore buono. E da questo deriva che il pastore cattivo, anche quello materiale, non vuole subire nessun danno per il suo gregge, perchè non si cura del bene del gregge, ma del proprio. Invece il pastore buono, anche quello materiale, si sobbarca a molte cose per il gregge, perché ne vuole il bene; perciò, Giacobbe in Gen 31,40, disse: “Giorno e notte ero bruciato dal freddo e dal caldo”. Ma nel caso di pastori materiali, non si chiede che un buon pastore rischi la sua vita per la salvezza del gregge. Ma, poiché la salute spirituale del gregge è più importante della vita corporale del pastore, quando è in pericolo la salute eterna del gregge, il pastore spirituale deve affrontare anche la morte, per il suo gregge. Ed è questo che il Signore dice con le parole: “Il buon pastore dà la sua vita per le sue pecore”; è pronto a dar la vita sua temporale con responsabilità e amore. Due cose son necessarie: che le pecore gli appartengano e che le ami; la prima, senza la seconda, non basta. Di questa dottrina si fece modello Gesù Cristo. Leggi in 1Gv 3,16: Se Cristo ha offerto la sua vita per noi, dobbiamo anche noi offrire la nostra vita per i nostri fratelli. (Tommaso d`Aquino, Ev. sec. Ioan., 10, 3, 1s.)
IL PADRE CI AFFIDA AL SUO VERBO
Gesù, Logos di Dio, pedagogo al quale Dio ci ha affidati come un padre affida i suoi bambini ad un vero maestro; e ci ha espressamente prescritto questo: “Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo ” (Mt 17,5 e parr.). Il divino Pedagogo è del tutto degno della nostra fiducia, poiché ha ricevuto i tre ornamenti più belli: scienza, benevolenza e autorità. La scienza, perchè egli è la sapienza del Padre – “ogni sapienza viene dal Signore ed essa è presso di lui per sempre” (Sir 1,1) -; l`autorità, perchè egli è Dio e Creatore – “tutto fu fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,3) -; la benevolenza, perché si è offerto da sé come vittima unica in nostro favore: “Il buon pastore dà la vita per le sue pecore” (Gv 10,11), e la dette, senza alcun dubbio. Ora la benevolenza altro non è se non volere il bene del prossimo, per séstesso. (Clemente di Ales., Paedagogus, XI, 97, 2-3)
RICERCA DELLA VOLONTA’ DI DIO
La gloria in questo mondo, gloria vana, non darmi, o mio Maestro; non datemi la ricchezza transeunte, né talenti d`oro; non un trono eccelso, né potere su realtà che passano! Mettimi con gli umili, con i poveri e tra i miti, divenga anch`io umile e mite quanto al mio ufficio, se non posso rivestirlo in modo utile, sì da piacerti e da stare al tuo servizio, permetti che ne sia discacciato e ch`abbia a piangere solo, o Maestro, i miei peccati: mio solo intento sia il tuo giusto giudizio e il modo di difendermi dopo averti tanto offeso! Sì, o dolce, buono e compassionevole Pastore, che salvi vuoi tutti i credenti in te, abbi pietà, la prece che invio esaudisci: non irritarti, il volto tuo da me non sia distolto, insegnami a compiere il tuo divin volere, poiché non chiedo che si faccia la volontà mia, bensì la tua, e che servirti io possa, o Misericordioso! (Simeone Nuovo Teologo, Hymn., 17)
IO CONOSCO LE PECORE CONOSCONO
Che significato ha per noi oggi questa pagina del Vangelo? Se la meditiamo profondamente, ha per ciascuno di noi messaggi diversi: ma forse ne ha uno che è comune per tutti. «Io conosco le mie pecore»: il Signore Gesù mi conosce personalmente, in profondità, come sono e come appaio agli altri e mi ama così come sono, sempre, nonostante tutto. Egli offre la vita per le pecore, non per le pecore in generale, ma per ciascuna pecora, per ciascuno di noi, per me. Questo mistero di Cristo che dà sicurezza ulteriore, e ci consente di accostare ogni persona con fiducia, al di là delle apparenze, perché il vero pastore Gesù la ama e offre la vita anche per lei. Gesù però aggiunge: «Le mie pecore conoscono me». Noi conosciamo personalmente, veramente, profondamente il mistero di Gesù? È scritto nel Vangelo. Possediamo un Vangelo? Leggiamo ogni giorno una pagina del Vangelo, non per una curiosità letteraria – sebbene il Vangelo sia anche un libro molto bello – ma per capire il mistero di Gesù, come leggeremmo le lettere di una persona che ci ama per conoscerla in profondità? (Giovanni Nervo)
Tra il pastore e le pecore c’è una relazione di amore-conoscenza reciproca: «Io conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me”. Tale relazione personale è talmente profonda che Gesù la paragona a quella che esiste tra lui e il Padre: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre». Entrare a far parte del «gregge» di Gesù non è una semplice aggregazione esterna, non comporta soltanto una serie di impegni e di azioni da compiere, ma si fonda sulla relazione interpersonale tra Gesù e i suoi. Il «sogno» di Gesù è di far partecipare tutti gli uomini a questa relazione con lui: «Ho molte altre pecore, che non appartengono a quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore». L’espressione è spinta al paradosso: non solo diventeranno un solo gregge, ma anche «un solo pastore». Il gregge è talmente unito al pastore da formare un tutt’uno con lui, il gregge non è semplicemente «guidato» o «diretto» dal pastore, ma è unito intimamente a lui. (Antonio Bonora)
CHI SONO I PASTORI
Chi sono, dunque, le nostre guide, i nostri pastori? Spesso si tratta di pastori che ci tengono schiavi, che ci pilotano soltanto per interesse, come mercenari e non come autentici disinteressati pastori. Ma noi vogliamo davvero essere liberi e autonomi? Oppure c’è in noi anche l’istinto gregario, l’inconfessata tendenza a farci schiavi di qualcuno, l’istinto di sottomissione e di rinuncia? Vogliamo essere cristiani e diciamo di essere cristiani, ogni domenica ci ritroviamo alla Messa, ma è proprio vero che soltanto Gesù Cristo è il nostro maestro e il nostro pastore? I libri che leggiamo, la TV, le chiacchiere dei colleghi e l’«opinione pubblica» sono spesso i nostri maestri. Come di fronte alla pubblicità, nonostante tutte le nostre proteste di autonomia, caschiamo in forme varie di dipendenza, così è nei confronti della cultura in cui viviamo. Gesù ci invita a chiederci, con sincerità, quali sono i nostri maestri e le nostre guide. (Antonio Bonora)
GESU’ MODELLO DEI PASTORI
Gesù è non soltanto un pastore buono, ma «il modello di pastore». Questo è il senso dell’espressione comunemente tradotta con «buon pastore». In altri termini, «buono» qui significa «vero», «autentico». Gesù è il pastore per eccellenza! Nessuno può essere pastore come lui. Infatti «il pastore modello dà se stesso per le pecore»: Gesù ha dato la sua vita, non soltanto nel senso che è morto per noi, ma anche nel senso che ci ha resi partecipi della sua stessa vita. Chi non ama fino a dare e comunicare la propria vita non è pastore (cf Gv 21,16;15,13). (Antonio Bonora)
LUOGHI DI CRESCITA
Non basta guardare con fede a Gesù Cristo «buon pastore»: occorre individuare dei luoghi di crescita di questa esperienza di prossimità. Pensiamo innanzitutto alla famiglia, alla scuola e alla comunità cristiana. Entro questi ambiti di rapporto ciò che più conta non è lo scambio di beni o di «servizi utili» ma staccati dalla persona, è invece, il rapporto di prossimità dove ciascuno è per l’altro una presenza viva, attraverso la quale è facilitato il compito dell’identificazione di sé. Oltre a questi ambiti fondamentali, ad una esperienza di prossimità possono essere richiamati tutti gli altri luoghi del vivere in comune che possono essere anche luoghi di rapporto interpersonale, occasioni di conoscenza reciproca e di solidarietà. Una tale crescita esige il libero impegno dei singoli, il contagio della testimonianza personale, l’attenzione e l’interesse per le persone concrete. (Luigi Maggioni)
GIORNATA DELLE VOCAZIONI
È questo il significato dell’odierna «giornata delle vocazioni» che si abbina a questa IV domenica di Pasqua. E’ la giornata non solo delle vocazioni particolari (sacerdotali, religiose…), ma di tutte le vocazioni (laiche, professionali). Anche in questo può essere realizzata quella «vocazione alla santità» che è comune a tutto il popolo di Dio, inserito nella quotidianità del rapporto sociale. Attorno alla figura di Gesù, «pastore buono che dà la vita» può essere letta la figura stessa della vocazione, di ogni vocazione cristiana.. C’è un legame tra «vocazione» e «vita». Solo sul «sì» di un’incondizionata disponibilità all’offerta di sé per «l’intera vita» il cristiano può diventare a sua volta buon pastore di sé e degli altri che gli saranno affidati. (Luigi Maggioni)
ALTRE PECORE
Al «buon pastore» appartengono anche «altre pecore che non sono dell’ovile». C’è da chiedersi se oggi nelle comunità cristiane non prevalga la tendenza a ripiegare sui fedelissimi. Non si va «per le strade e lungo le siepi» per annunciare il messaggio di Gesù. Si fuggono i luoghi dove ci si confronta, i luoghi della competizione nella battaglia delle concezioni del mondo e delle religioni. È forse esaurito il grande slancio missionario del concilio Vaticano II? Eppure, nel tempo della vita, la vocazione è esperienza, cammino, crescita della libertà. È questa la libertà di chi, come discepolo del Maestro, ha imparato a non trattenere per sé, a non dividere il «mio» dal «tuo», a non misurare lo stretto dovuto – come fa il «mercenario» – ma a condividere e accompagnare un cammino con le persone in concreto, non sapendo come andrà a finire. E’ questa la libertà di chi – diventando a sua volta padre, madre, prete, suora, missionario e laico impegnato – sa di restare «figlio di Dio», anche se ancora come «in segreto». (Luigi Maggioni)
EDIFICAZIONE DI COMUNITA’
La suggestiva figura del buon pastore, nella luce policroma dell’immagine tanto cara ai primi cristiani, non deve farci allontanare dalla visione d’insieme a cui ci richiama la parola di Dio. «Crediamo che la figura di Gesù, buon pastore, sia fondamentale per ritrovare la precisa fisionomia della missione e delle attività della chiesa» (Evangilizzazione e ministeri).
Il problema che la chiesa ha dovuto sempre affrontare è l’edificazione di comunità cristiane. Comunità dove ogni battezzato riconosce la sua vocazione, il suo ruolo specifico nell’unità della missione e nella diversità dei ministeri. Ha detto Giovanni Paolo II: «è urgente porre una nuova” implantatio evangelica”, anche in un paese come l’Italia», ne consegue che le comunità devono rivedere il compito di ciascun fedele, oggi più cliente che protagonista, nella partecipazione alla vita della chiesa locale. (Carlo Aliprandi)
PREGHIERA (pregare la parola)
•O Dio, creatore e Padre, che fai risplendere la gloria del Signore risorto quando nel suo nome è risanata l’infermità della condizione umana, raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia, perché aderendo a Cristo buon pastore, gustiamo la gioia di essere tuoi figli. (Colletta 4 di Pasqua)
•Celebrate il Signore perché è buono; perché eterna è la sua misericordia. E’ meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. E’ meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti. (Dal salmo 117)
•Ti rendo grazie, Signore, perché mi hai esaudito, perché sei stato la mia salvezza. La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo; ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore. Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei tu il mio Dio e ti esalto. Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. (Dal Salmo 117)
•Gesù, pastore che dai la vita per le tue pecorelle e tutti ci chiami per nome: anche per me solo, come per ognuno, tu saresti venuto sulla terra; noi siamo sempre più smarriti, erranti per pascoli sempre più aridi: fa che torniamo a te unico pastore delle nostre vite. (David Maria Turoldo)
•Ti benediciamo, Padre, per Cristo nostro pastore. E’ venuto perché abbiamo la vita in abbondanza. E’ la porta sempre aperta a tutti gli uomini, che ci apre la strada alla tua bontà infinita, al tuo amore universale e all’amore dei nostri fratelli. (Basilio Caballero) • Spalanca le nostre porte, Signore, rompi i chiavistelli, elimina le nostre difese e i nostri privilegi di gente perbene. Che il tuo Spirito apra la breccia dei nostri muri, perché la nostra comunità sia famiglia aperta a tutti. (Basilio Caballero)
•Signore, tu hai mandato il tuo Figlio sulla terra per riunire tutti gli uomini come il pastore riunisce le pecore, e fare di essi una famiglia: la tua famiglia, la chiesa. Insegnaci a riconoscere la sua voce, a mostrarci docili a te, che regni con lui e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.
•“Io sono il buono Pastore”, hai detto, Signore. La chiesa alla quale hai affidato il tuo gregge ne prenda cura col tuo stesso zelo illuminato e ardente.
•“Io sono il buon pastore che dà la vita per le sue pecore”. I pastori, chiamati e scelti da te, si sacrifichino totalmente per la loro missione e, se è necessario, donando anche la vita.
•“Un solo gregge e un solo pastore”. Sostieni, Signore tutti noi, perché, rispondiamo alla tua chiamata e lavoriamo insieme a te per radunare tutti gli uomini nella tua Chiesa. (Preghiere di Charles Berthès)
•Ti sei rivestito della nostra umanità, sei sceso con la tua divinità, hai elevato la nostra pochezza, risuscitato la nostra carne mortale, perdonato le nostre colpe, hai illuminato la nostra intelligenza, hai vinto i nostri nemici, hai onorato la nostra povertà. (Liturgia caldea)
•O mistero di grazia, o morte beata, che ha infranto i vincoli della morte! Ormai il principe dell’inferno può considerarsi battuto, e noi, salvati dall’abisso della colpa, esultiamo d’allegrezza e riprendiamo con Cristo il cammino del cielo. (Liturgia ambrosiana)
•Tutta bella sei, o Maria, e in te non c’è macchia originale. Tu sei la gloria di Gerusalemme, la letizia di Israele, l’onore del nostro popolo, l’avvocata dei peccatori. O Maria, Vergine prudentissima, Madre clementissima, prega per noi, intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo. (Tota pulchra: liturgia romana)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Rivediamo la nostra posizione cristiana: passiamo sempre più da clienti della Chiesa a protagonisti, a veri pastori.