Marco 10, 35-45: 35 In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36 Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: 37 «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38 Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». 39 E Gesù disse loro: «II calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 41 Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42 Allora Gesù Li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43 Tra voi però non è cosi; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44 e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
(Bibbia Cei: Versione 2008)
LETTURA (leggere con intelligenza e comprendere con sapienza)
Marco 10, 35-45
In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All`udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell`uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»
(Bibbia Cei: Versione 1971)
Esegesi
Dopo la pericope di domenica scorsa, Marco riporta la terza predizione della passione (32-34). Le altre predizioni le aveva presentate in 8, 31 e 9, 31. Questa terza, che Gesù fa mentre il gruppo “sale a Gerusalemme” è ancora più esplicita delle altre, ma gli Apostoli non capiscono.
GIACOMO E GIOVANNI (35)
Dopo la prima predizione era stato Pietro a manifestare incomprensione; ora sono Giacomo e Giovanni, che per il loro carattere erano stati chiamati “boanerghes”, ossia figli del tuono, a dimostrare fino a qual punto gli apostoli sono distanti dalle prospettive di Gesù. Queste sottolineature fanno riflettere sul fatto che anche i migliori sono incapaci, per conto proprio, di entrare nel mistero di Gesù.
UNO ALLA TUA DESTRA E UNO ALLA SINISTRA (36)
La richiesta rivela la confusione ancora persistente nei discepoli sul vero messianismo di Gesù, che loro comprenderanno solo dopo la risurrezione. Giacomo e Giovanni si trovano, con Pietro, vicini a Gesù in vari momenti particolarmente importanti: guarigione della suocera di Pietro (1, 29), figlia di Giairo (5, 27), trasfigurazione (9, 2), Getsemani (4, 3). Forse questa vicinanza aveva fatto venire loro in mente di avere un ruolo di particolare importanza in un regno che ancora immaginavano terreno. Comunque si mostrano scorretti verso gli altri.
NON SAPETE CIO’ CHE DOMANDATE (38)
I discepoli non capiscono quale sia la strada verso la gloria, che per Gesù è la croce.
POTETE BERE IL CALICE (38)
“Bere il calice” è una metafora nota nella Bibbia. Fa riferimento alla coppa ripiena di qualche bevanda che veniva offerta all’ospite e quindi all’accoglienza positiva o negativa che gli veniva riservata. Il calice appare o inebriante o amaro secondo che esprime benevolenza o collera. Qui, come in 14, 39, al Getsemeni, è un calice di sofferenza.
O RICEVERE IL BATTESIMO (38)
Questa metafora invece è nuova nella Bibbia. Il “battesimo” secondo il senso primitivo è un naufragio, un annegamento. Gesù sta per essere sommerso dalla sofferenza e dalla morte. Lo stesso “battesimo” riceve il seguace di Cristo. Paolo dirà: “ quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte”. (Rm 6, 3)
ANCHE VOI LO BERRETE (39)
Gesù, dopo l’orgogliosa affermazione: “possiamo”, predice che moriranno di una morte simile alla sua. La profezia si avverò: i discepoli morirono martiri. Prima però ebbero la forza per affrontare la prova, bevendo ad un altro calice, quello dell’Eucaristia (14, 23).
E’ STATO PREPARATO (40)
“Sedere alla desta e alla sinistra “ significa essere posti su un piano di uguaglianza, nella gloria di Dio. Gesù dice anche ai discepoli, come al giovane ricco, (10, 27) che la salvezza è nelle mani di Dio, non avviene per via di privilegi, ma per elezione (“per coloro per i quali è stato preparato”). I primi chiamati a tale gloria sono i due ladroni, per i quali viene usata la stessa espressione. (15,17)
I DIECI SI SDEGNARONO (41)
Questa indignazione dimostra che anche gli altri dieci discepoli hanno ancora capito poco, anche se è comprensibile umanamente la loro ambizione. Gesù, con molta compassione e un po’ di ironia li chiama a sé e li istruisce.
RITENUTI CAPI (42)
Gesù ricorda il comportamento di quei capi, che magari sono ritenuti “benefattori” (Lc 18, 25), ma tiranneggiano i sudditi. Dice che i suoi seguaci non devono comportarsi così.
CHI VUOL ESSERE GRANDE (44)
E dà un’indicazione: nella comunità il più grande non è chi ha una posizione preminente, ma chi sta al suo servizio. (vedi 9, 5).
Il FIGLIO DELL’UOMO (45)
Poi si presenta come modello di servizio. Questo versetto è uno dei più importanti del Vangelo ed evidenzia il ruolo di Gesù nel mistero della salvezza. Egli è venuto per servire e non per essere servito e in questo servire si manifesta la logica dell’incarnazione, dell’abbassamento di Dio, che rivela così il suo amore per gli uomini.
DARE LA PROPRIA VITA (45)
E trova il suo apice nella morte, nella quale Gesù offre la vita come riscatto (lytron) per molti. Tutto è qui espresso con un vocabolario che richiama quello del servo sofferente (53, 10-12), visto nella prima lettura. Così Gesù rivela il grande amore del Padre: Dio ama gli uomini a tal punto da comportarsi come loro servo, fino lasciarsi maltrattare e uccidere per loro
RISCATTO PER MOLTI (45)
La parola “riscatto” rimanda all’usanza sociale del “redentore (goel), secondo la quale se un membro della famiglia veniva ucciso o ridotto in schiavitù o reso prigioniero, un altro familiare diventava suo “redentore”, vendicandolo o riscattandolo. Dio è il Redentore (goel), il liberatore del suo popolo. Il termine “molti” indica la totalità degli uomini.
MEDITAZIONE (meditare con attenzione e ascoltare con amore)
INVITO ALL’IMITAZIONE
Gesú esorta i suoi discepoli ad imitarlo: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Dunque non solo non dovete scandalizzarvi per la mia passione, né dubitare delle mie parole che confermeranno i fatti, ma anche voi dovete essere pronti a sopportare le stesse sofferenze per produrre gli stessi frutti. Infatti, secondo Gesú, chi si preoccupa della propria vita su questa terra e non vuole esser messo alla prova, la perderà nel mondo che verrà; mentre chi la odia in questo mondo accettando le sofferenze che si presentano, raccoglie per sé molti frutti… Dice poi molto semplicemente: “Se uno mi vuol servire mi segua” (Gv 12,26). Se qualcuno vuol essere mio servo, dimostri con i propri atti che vuol seguirmi. Ma qualcuno potrebbe dire: «Che cosa otterranno coloro che soffriranno insieme con te?». Risponde Gesú: “Dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Gv 12,26). Chi parteciperà alle mie sofferenze, parteciperà anche alla mia gloria; sarà con me in eterno nella vita futura e parteciperà al mio trionfo nel regno dei cieli. Ecco come il Padre mio onorerà quelli che mi avranno servito fedelmente. (Teodoro di Mopsuestia, Evang. Iohan.)
CHI VUOL ESSERE SERVO IMITI
Gesú esorta i suoi discepoli ad imitarlo: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Dunque non solo non dovete scandalizzarvi per la mia passione, né dubitare delle mie parole che confermeranno i fatti, ma anche voi dovete essere pronti a sopportare le stesse sofferenze per produrre gli stessi frutti. Infatti, secondo Gesú, chi si preoccupa della propria vita su questa terra e non vuole esser messo alla prova, la perderà nel mondo che verrà; mentre chi la odia in questo mondo accettando le sofferenze che si presentano, raccoglie per sé molti frutti… Dice poi molto semplicemente: “Se uno mi vuol servire mi segua” (Gv 12,26). Se qualcuno vuol essere mio servo, dimostri con i propri atti che vuol seguirmi. Ma qualcuno potrebbe dire: «Che cosa otterranno coloro che soffriranno insieme con te?». Risponde Gesú: “Dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Gv 12,26). Chi parteciperà alle mie sofferenze, parteciperà anche alla mia gloria; sarà con me in eterno nella vita futura e parteciperà al mio trionfo nel regno dei cieli. Ecco come il Padre mio onorerà quelli che mi avranno servito fedelmente. (Teodoro di Mopsuestia, Evang. Iohan.)
CARITA PAZIENTE
“Potere bere il calice, che io sto per bere?” E quando essi risposero: “Lo possiamo,Gesú disse loro: Il mio calice lo berrete; ma lo star seduti alla mia destra o alla mia sinistra non è cosa mia darlo, ma toccherà a coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Mt 20,22-25). Quanto è paziente e clemente il Signore; che alta sapienza e benevola carità! Volendo, infatti, far vedere che non avevan chiesto una cosetta da niente, ma una cosa tale che non l`avrebbero potuta ottenere, fece ricorso alla prerogativa della benevolenza del Padre; e non temé una derogazione al suo diritto, al diritto di “colui che non credette di fare un torto dichiarandosi uguale a Dio” (Fil 2,6). Amando però i suoi discepoli – “li amò sino alla fine” (Gv 13,1) – non volle dar loro l`impressione che negasse loro quanto chiedevano. Santo e buono il Signore, che preferisce dissimulare il suo diritto, piuttosto che detrarre qualche cosa alla sua benevolenza: “La carità”, infatti, “è paziente è benigna, non vuol sopraffare, non si gonfia, non reclama diritti” (1Cor 13,4). In Marco (Mc 10,40), dove non si parla della madre, non si fa alcuna menzione del Padre, ma è detto soltanto: “Non è cosa mia darlo a voi, ma a coloro per i quali è stato preparato”. In Matteo, invece, dove è la madre che prega, vien detto: “Per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Mt 20,23); e l`aggiunta “Padre mio” è fatta perché l`amore materno richiedeva una maggiore indulgenza. (Ambrogio, De fide, 5, 56s., 60-65, 77-84.
DIO NON FA PREFERENZE DI PERSONE
Rivelò subito la sua indulgenza verso i suoi amati discepoli, chiedendo: «Ma il mio calice lo berrete?». Cosí, non potendo dar loro ciò che chiedevano, fece un`altra proposta, per poter dir loro un sí, prima di un no; perché capissero ch`era mancata piú a loro l`equità nella richiesta fatta, che non la generosità nella risposta del Signore. “Il mio calice, sí, lo berrete”, cioè affronterete la passione della mia carne, perché potete imitare ciò che deriva in me dalla natura umana; vi ho dato la vittoria della passione, l`eredità della croce; “ma non è cosa mia il darvi di star seduti alla mia destra o alla mia sinistra”. Non dice semplicemente: “Non è cosa mia dare”, ma “darvi”, cioè dare a voi. E questo dovrebbe significare che non si tratta di mancanza di potere in lui, ma di merito nelle creature. Si può anche intendere cosí: “Non è cosa mia”, di me che venni a insegnar l`umiltà, di me che venni non per essere servito, ma per servire; di me, che seguo la giustizia, non favoritismi. Poi appellandosi al Padre aggiunse: “Per i quali è stato preparato”, per dire che il Padre non guarda le raccomandazioni, ma i meriti, perché Dio non fa preferenze di persone (cf. At 10,34). Perciò l`Apostolo dice: “Coloro che sapeva lui e che predestinò” (Rm 8,29); prima li conobbe e poi li predestinò, vide i meriti e predestinò il premio. (Ambrogio, De fide, 5, 56s., 60-65, 77-84)
CHI E’ UMILE HA GLORIA
Se ti ricordi che Cristo dice che si perde la mercede innanzi a Dio, quando uno va cercando onore presso gli uomini e fa il bene per essere visto dagli uomini, metti tanta accortezza a non essere onorato dagli uomini, quanta ne mettono gli altri per averne gloria.
“Hanno ricevuto la loro mercede” (Mt 6,2), dice il Signore. Perciò non ti far danno da te stesso, andando dietro alla gloria degli uomini. Dio è un grande osservatore; cerca di aver gloria presso Dio, Dio distribuisce splendide ricompense. Hai forse raggiunto una gran rinomanza, ti stimano, ti onorano, ti cercano? Cerca di comportarti come un suddito “Non come chi esercita un potere sugli altri” (1Pt 5,3) e non seguir l`esempio dei principi mondani. Il Signore ha comandato che, chi vuol essere il primo, deve essere servo di tutti (cf.Mc 10,44). In una sola parola: pratica l`umiltà, come conviene a chi la ama. Amala e avrai gloria. Questo è il cammino verso la vera gloria, che si ha tra gli angeli, innanzi a Dio. Cristo ti dichiarerà suo discepolo innanzi agli angeli (cf.Lc 12,8) e ti darà gloria, se imiterai la sua umiltà; egli, infatti, disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime” (Mt 11,29). (Basilio di Cesarea, Hom. De humilit., 7)
PER SERVIRE, NON PER ESSERE SERVITO
Non è dunque giusto che Dio ci respinga e ci castighi quando, offrendosi egli stesso a noi in tutto, noi lo respingiamo? Evidentemente sí. Se tu vuoi ornarti – egli dice – prendi il mio ornamento; se vuoi armarti, prendi le mie armi; se desideri vestirti, ecco la mia veste; se vuoi nutrirti, ecco la mia mensa; se intendi camminare, percorri la mia via; se desideri ereditare, ecco la mia eredità; se vuoi entrare in patria, entra nella città di cui io sono l`architetto e il costruttore; se pensi di costruirti una casa, edificala nei miei territori: io di certo, per quello che do, non ti chiedo pagamento. Anzi, per il fatto stesso che vuoi usare ciò che è mio, per questo io ti voglio ricompensare. Che cosa può essere paragonato a simile generosità? Ecco cosa dice il Signore: Io padre, io fratello, io sposo, io casa, io alimento, io vestito, io radice, io fondamento: io sono tutto ciò, se tu vuoi; di nulla tu mancherai. Io ti servirò anche, perché sono venuto “per servire, non per essere servito” (Mt 20,28). Io sarò anche amico, e membro, e capo, e fratello, e sorella, e madre, tutto io sarò; solo, comportati familiarmente con me. Io sono stato povero per te, mendico per te, sulla croce per te, nel sepolcro per te; in cielo io supplico il Padre per te; in terra sono venuto ambasciatore per te da parte del Padre. Tutto tu sei per me: fratello, coerede, amico, membro. Che cosa vuoi di piú? Perché respingi chi ti ama cosí? (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 76, 5)
ALLA GLORIA ATTRAVERSO LA SOFFERENZA
Il dialogo di Gesù con i figli di Zebedeo fa emergere il contrasto tra le società di questo mondo e la comunità di Gesù. I figli di Zebedeo ragionano alla maniera del mondo: essi chiedono di sedere accanto a Gesù come giudici privilegiati di Israele, chiedono di esercitare un potere. E Gesù risponde affermando che il cammino verso la gloria passa attraverso la sofferenza. «Calice» è una metafora per indicare la sofferenza; «battesimo» è l’immersione nella morte che sta per accadere a Gesù. Ebbene, Gesù chiede loro di partecipare al suo destino di sofferenza e di morte. Sono disposti a seguirlo nel cammino della croce? Quanto alla partecipazione alla gloria di Gesù come giudice d’Israele, spetta al Padre stabilirlo. Come dire, noi dobbiamo preoccuparci di vivere come Gesù e non di cercare posti gerarchici nell’escatologia. (Antonio Bonora)
UNA SOCIETA RADICALMENTE DIVERSA
Ai dodici Gesù indica la regola della comunità cristiana. Dapprima una contrapposizione alla società di questo mondo, costruita sulla volontà di dominio e di potere, sulla rivalità e la violenza: «Fra voi però non è così». La società di Gesù deve essere radicalmente diversa. Essa non deve essere come le altre società del mondo. Ma positivamente, Gesù enuncia la legge costituzionale della sua Chiesa: «Chi vuoi essere il primo tra voi sarà il servo di tutti». La società voluta da Gesù è fondata sul servizio fraterno reciproco. La grandezza viene dal servire. Il servizio però deve essere come quello di Gesù, il quale «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». La vita della comunità cristiana è regolata sull’esempio di Gesù, sulla sua disponibilità, sul suo donare la vita per gli altri. La Chiesa vive un modello di società alternativo, diverso, se vive come Gesù. Il fondamento e la ragione della condotta dei cristiani è quindi cristologico: il cammino di Gesù è l’unico vero e normativo per tutta la Chiesa. Cercando di vivere come Gesù, la Chiesa costituisce nel mondo una società diversa, una luce per il mondo intero. La Chiesa, come società fraterna di uguali, fondata sull’amore e sul servizio come quello di Gesù, è la famiglia di Dio. Essa è «mondo», come il resto dell’umanità, ma è «mondo» salvato e costituito appunto come famiglia di Dio. In una famiglia, il servizio non è umiliante; non si serve perché schiavi o oppressi; non si serve per acquistare potere. L’unico motivo per cui in una famiglia si serve è l’amore reciproco. Così dovrebbe essere nella Chiesa. (Antonio Bonora)
SERVIZIO
Il termine “servizio” è uno dei più logori, in ambito sia ecclesiale che civile. Di sua natura il servizio è una risposta a un comando o a una domanda di aiuto. Si serve nella misura in cui ci si adegua al bene degli altri, al buon funzionamento della comunità e ci si sente chiaramente in funzione di questo bene comune. Su questi principi sono tutti d’accordo. I conti tornano molto meno quando si scende a livello di mezzi e strategie per attuare i principi. Per fare il bene degli altri bisogna conoscerli e quindi è indispensabile interpellare gli interessati, farli parlare, farli partecipare. (Giuseppe Pasini)
AUTORITA COME SERVIZIO
II tema è attuale perché l’aspirazione al potere e alla carriera, che ha affascinato due pilastri della Chiesa, Giacomo e Giovanni, può influenzare anche noi. Gesù esclude anzitutto il modello di autorità che si organizza come potere: «non così fra di voi». Propone un tipo di autorità che è agli antipodi del potere con due immagini ben chiare e significative al tempo di Gesù: lo schiavo e il servo. «L’autorità non deve prendere l’atteggiamento del servizio per essere accolta e stimata come autorità: sarebbe ancora una forma subdola e ipocrita di potere e di dominio. Non chi maschera il potere e il dominio con le parole di servizio e si fa servire, ma chi serve realmente, come ha fatto il Figlio dell’uomo, esercita l’autorità nel senso voluto da Gesù» Il faro dunque è Gesù con il suo esempio; la strada è il servizio reale, come quello di Gesù. (Giovanni Nervo)
IL CALICE
Gesù ai figli di Zebedeo dice che oltre che fare della vita un servizio d’amore occorre “bere il calice”. Il calice di cui parla Gesù è il martirio, un amore cioè così totale e fedele da affrontare l’immolazione. Giacomo e Giovanni lo berranno quando offriranno per Gesù la vita. Anche nel Getsemani ritroviamo un calice da bere. Gesù lo sorbisce quando prega: “ Se è possibile passi da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà sia fatta”. Accettere il calice per amore fino al sacrificio estremo della croce, è la volontà del Padre. Il calice che beviamo in ogni Eucaristia non ha un significato diverso. Tutto questo dice una cosa molto semplice da esprimere, ma molto ardua da attuare: la vita cristiana è animata da un amore che non si arrende davanti a nessun sacrificio. (Mariano Magrassi)
UNA VITA DATA IN RISCATTO
Accanto al tema della vita data in “servizio” oggi la liturgia parla anche della vita data in riscatto”. Il servo di cui parla la prima lettura è colui che prende spontaneamente su di sé i peccati di tutti. Si offre in sacrificio di espiazione per gli altri e realizza il piano e la volontà di Dio nei confronti dell’umanità decaduta. Il servo sofferente di Isaia è il “Figlio dell’uomo” di cui parla il Vangelo, il Figlio di Dio di cui parla la seconda lettura, il Salvatore e redentore dell’umanità, sommo e vero sacerdote, che ha accesso al cospetto di Dio. Per aver condiviso in tutto la nostra condizione umana egli è stato provato a somiglianza di tutti noi e pertanto sa compatire l’umana fragilità e diventa nostro “riscatto”. Il termine “riscatto” è qui usato in senso metaforico e non va forzato in senso commerciale o giuridico-penale, come se fosse stata necessaria una vittima, e precisamente il Figlio di Dio fatto uomo per placare l’ira del Padre, o come se Dio pagasse al demonio il prezzo della salvezza dell’uomo col sacrificio del proprio Figlio. Il concetto di “redenzione” o “riscatto” è diretto soprattutto a suscitare in noi la consapevolezza e la coscienza che la riconciliazione con Dio, operata da un amore infinitamente misericordioso, per il quale la distanza, incolmabile per le forze dell’uomo, è annullata dall’iniziativa divina. “Riscatto” o “sostituzione” vanno qui di pari passo. Dicendo che Gesù paga per noi il “riscatto”, indichiamo in definitiva, la dimensione di quella divina misericordia che sottrae l’uomo alla morte e lo salva in assoluto. E’ amore puro, gratuito e incondizionato. (Francesco Amadio)
INTERROGATIVI
Crediamo davvero, come continua a sostenere la nostra cultura, che la vita abbia senso se spesa nella ricerca del benessere, del prestigio, del potere? Come discepoli di Cristo, che ha donato la sua vita per noi, siamo pronti a seguirlo sulla strada della dedizione, del servizio, del dono di noi stessi? Che cosa facciamo praticamente per andare in aiuto a quelli che sono nelle difficoltà, nella malattia, nella prova, sotto qualunque forma si presenti? Siamo sempre certi che Gesù è davvero il “sommo sacerdote” che può e vuole venire in nostro soccorso.? Siamo sempre saldi nella sua fede in lui?
PREGHIERA (pregare la parola)
•Chiediamo a questo Amore che, nella preghiera, si possano aprire i nostri occhi spesso velati da preoccupazioni e affanni, tanto da non riconoscere colui che, come viandante, ogni giorno ci cammina a fianco nel ritmo monotono del quotidiano. Lo Spirito infranga ogni durezza e superficialità; addolcisca e pieghi la rigidità della nostra mente perché ci sia rivelato tutto lo splendore di quel volto di misericordia trasfigurato dalla sofferenza di un «amore forte come la morte».
•«Voi non sapete ciò che domandate» Davvero non sappiamo cosa domandiamo. I nostri occhi sono abbagliati dagli splendori del potere, appesantiti dal desiderio della gloria, accecati dai sogni di santità che ci diano primato sui fratelli. «Voi non sapete ciò che domandate». È vero, «non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare» e così ci arrampichiamo sugli specchi, convinti di venire esauditi a forza di parole. Ma tu, Signore, perdonaci e «donaci la tua grazia: in te speriamo». Illumina le nostre menti perché nell’entusiasmo della tua sequela ci siamo dimenticati che regnare con te è seguirti fino al «tutto è compiuto».
•«Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». «Lo possiamo». Sì, lo berremo perché berlo è regnare con te, alla «tua destra e alla tua sinistra» e tu «in mezzo» sul trono della nostra infamia e ignominia. Con te regneremo, Gesù, incoronati anche noi, come te, della stessa corona purpurea, con lo stesso manto scarlatto. Regneremo e berremo il calice amaro della nostra malizia e ti seguiremo sulle orme sanguigne dello stesso cammino. Battezzati nel tuo stesso sangue canteremo il canto dei redenti e sentiremo la tua voce rassicurante quando ti grideremo il nostro dolore. “Lo possiamo», se tu lo vuoi”.
•Perdonaci, Signore, re crocifisso, che «sei venuto per servire e non per essere servito». Nell’aridità desolata e rovente della nostra superbia, tu, come «virgulto» fecondo, erompi spaccando la crosta dura di un’arroganza che ci attanaglia il cuore. Tu vieni in noi come seme di vita nel silenzio di un dolore che si fa perdono, grido e luce.
•Insegnaci ad essere servi, a fare come tu hai fatto. Insegnaci a caricarci della nostra iniquità e anche di quella dei fratelli, anche se sentiamo il vomero dell’ipocrisia scavare lunghi solchi sul nostro dorso. Insegnaci ad offrirci, come tu hai fatto, in espiazione, anche quando ci sentiamo venduti a poco prezzo dall’amico che ci ha tradito.
•Gesù, «sommo sacerdote», che compatisci «le nostre infermità, tu che «come noi», hai provato l’angoscia e la solitudine, l’abbandono e l’infamia, noi ci «accostiamo a te con piena fiducia». Tu, simile a noi in tutto, che hai percorso i sentieri impervi di una quotidianità faticosa, concedici di «bere» con te quel «calice» colmo di amarezza. Solo in te, con te e per te noi troviamo il coraggio di ricevere quel battesimo di fuoco che cancella la nostra vergogna e ci rende nuovamente candidi.
•Aiutaci a mantenere ferma la «professione della nostra fede» nonostante la debolezza, la fragilità del nostro cammino e, «al momento opportuno», donaci la tua misericordia.
•«Dio del perdono e della pace», «che ti sei fatto nostro riscatto», «l’anima nostra ti attende, sia su di noi la tua grazia, perché in te speriamo». Le ferite della nostra umanità piagata e sanguinante, ti gridano tutta la sete di salvezza che ci brucia dentro.
•Vieni, «sommo sacerdote che hai attraversato i cieli», e facci con te e come te offerta viva, sacrificio soave sull’altare della volontà redentrice. Anche noi, allora, vedremo la luce; in eterno saremo canto di misericordia e di perdono, «sazi della tua conoscenza» perché ti vedremo così come tu sei: Padre creatore, Figlio Signore, Spirito Santo amore. (Preghiere di Suore Canossiane)
•Ti benediciamo. Signore, perché ci chiami a vivere liberi con Cristo, che ha inaugurato un mondo nuovo nel quale sono grandi quelli che servono gli altri.
•Fa’ che, assimilando il suo atteggiamento e il suo esempio vivo di relazioni fraterne nell’amore e nel servizio, respingiamo come peso inutile la nostra supposta importanza.
•Vogliamo bere con Cristo il calice della sua passione, e vivere il suo modo di amare senza mandare conti ne chiedere privilegi.
•Non guardare, Signore, i nostri dubbi e le nostre vili esitazioni, ma la fede e la speranza del tuo popolo, la Chiesa, perché serviamo i fratelli, come ha fatto Gesù. (Preghiere di Basilio Caballero).
•Sono parole che altri ti fa dire; Signore, nella stessa notte del tradimento, e così sarebbe dunque la tua vera liturgia: un discorso contro il potere, e poi la lavanda dei piedi, e poi il tuo corpo e il tuo sangue dati in cibo e bevanda. Signore, fa’ che siano così, perché siano vere, tutte le nostre eucaristie. (David Maria Turoldo)
•Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio. (Colletta 29 perannum B)
•Regina nostra, inclita Madre di Dio, ti preghiamo: fa’ che i nostri cuori siano ricolmi della grazia divina e risplendano di sapienza celeste. Rendili forti con la tua fortezza e ricchi di virtù. Su noi effondi il dono della misericordia perché otteniamo il perdono dei nostri peccati. Aiutaci a vivere in modo da meritare la gloria e la beatitudine del cielo. Questo ci conceda Gesù Cristo tuo Figlio, che ti ha esaltata al di sopra degli angeli, ti ha incoronata regina, e ti ha fatto assidere in eterno sul fulgido tuo trono. A Cristo onore e gloria nei secoli. Amen. (Antonio da Padova)
CONTEMPLAZIONE (silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (assunzione di impegni concreti)
Diamo il nostro contributo a costruire un mondo in cui il servizio sia inderogabile legge.