Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram dunque prese la moglie Sarai, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso il paese di Canaan. Arrivarono al paese di Canaan e Abram attraversò il paese fino alla località di Sichem, presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei. Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questo paese». Allora Abram costruì in quel posto un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. Poi Abram levò la tenda per accamparsi nel Negheb. (Gn 12, 1-9)
Da una meditazione di Papa Francesco: “la prima lettura della genesi ci parla dell’inizio della nostra famiglia, dell’inizio di noi cristiani come popolo. E incominciò cosi con Abramo, ed è per questo che noi diciamo che Abramo è nostro padre. Ma proprio il modo come è stato chiamato Abramo segna anche lo stile della vita cristiana. Abramo infatti risponde alla domanda su come dobbiamo essere cristiani: se tu vuoi, facilmente, vai li, leggi questo e avrai lo stile. E una prima dimensione di questo stile è lo spogliamento. La prima parola che il Signore dice ad Abramo è vattene. Dunque essere cristiano porta sempre questa dimensione di spogliamento che trova la sua pienezza nello spogliamento di Gesù nella croce. Per questo c’è sempre un vattene, un lascia, per dare il primo passo. “Lascia e vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre” è il comando del Signore per Abramo. Un cristiano deve avere questa capacità di essere spogliato. E Abramo per fede obbedì partendo per una terra che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava. Lo spogliamento dunque è come una prima dimensione della nostra vita cristiana. E questo perché? Per una ascesi ferma? No, per andare verso una promessa. Ed ecco allora la seconda dimensione: noi siamo uomini e donne che camminiamo verso una promessa, verso un incontro, verso qualcosa – una terra, dice ad Abramo – che dobbiamo ricevere in eredità. È bello vedere come in questo passo Abramo non edifica una casa: pianta una tenda, perché sa che è in cammino e si fida di Dio, si fida, e Lui, il Signore, gli farà sapere quale sarà la terra. Abbiamo letto che l’ha fatta vedere: “Alla tua discendenza, io darò questa terra.” Da parte sua Abramo cosa edifica una casa? No, un altare per adorare il Signore: fa il sacrificio e poi prende la tenda e continua a camminare.
È perciò sempre in cammino. Un atteggiamento che ci ricorda che il cristiano fermo non è un vero cristiano. Il cammino comincia tutti i giorni al mattino, il cammino di affidarsi al Signore, il cammino aperto alle sorprese del Signore, tante volte non buone, tante volte brutte, ma aperto perché io so che tu mi porterai ad un posto sicuro, ad una terra che tu hai preparato per me. Ecco allora l’uomo in cammino: l’anima nostra, quando si sistema troppo, si installa troppo, perde questa dimensione di andare verso la promessa ed invece di camminare verso la promessa, porta la promessa e possiede la promessa. “
L’essere in cammino è un aspetto tipico dell’essere cristiano che si evidenzia durante tutta la nostra vita spirituale; ci ritroviamo a cercare qualcuno o qualcosa da seguire, e questa fase iniziale, di progettualità, possiamo farla anche da fermi, rimanendo statici. Ma ad un certo punto dobbiamo decidere di partire, di andare verso. Passiamo dal cercare al seguire. E anche seguire può essere fatto in modi diversi. Possiamo essere folla che segue il predicatore di turno, ma una volta riconosciuto Cristo possiamo essere discepoli e camminare dietro di Lui. Questo è ciò che abbiamo fatto nel periodo di Quaresima, abbiamo camminato dietro Cristo, seguendolo, ascoltandolo. Poi però alla morte di Cristo abbiamo fatto come i discepoli di Emmaus, siamo tornati a casa tristi perché secondo noi la morte aveva vinto. È proprio qui che scatta il vero cammino del cristiano. La presenza di Cristo in mezzo a noi, la sua resurrezione, ci porta a diventare Apostoli, a tornare indietro, come i discepoli di Emmaus, per annunciare la resurrezione. Apostolo d’altronde significa inviato, capo di una missione. E questa missione è scoprire la promessa di Cristo per noi.
Nella Bibbia, si parla della promessa di Dio in numerosi passi. Partendo da Abramo, al quale Dio fa tre promesse, una numerosa discendenza, un territorio e la benedizione – tramite lui- di tutti i popoli della terra. Abramo si fida fortemente di Dio, tanto che è disposto a sacrificare suo figlio, il suo unico figlio. Osservando bene questo passo non possiamo che fare riferimento al momento in cui sarà Dio a sacrificare suo figlio per noi, perchè il compimento della promessa è in Cristo e nei credenti. Dio fa una promessa anche a Davide, come si legge in 2 Sam7, 1-17, e ai Padri come si legge negli AT 26, 6-7.
Ma come parlano queste promesse nella nostra vita? Sicuramente nei sacramenti ritroviamo una promessa: gli strumenti necessari per essere condotti al Regno di Dio. E questa è la stessa promessa fatta da Dio ad Abramo, Isacco, Davide, Giobbe. Loro, pur non sapendo cosa aspettarsi, hanno dato testimonianza del Regno di Dio, di quella promessa fatta da Dio a ciascuno di loro, individualmente.
C’è una promessa anche per noi? Dio ha riservato una parola anche per ciascuno di noi? Come possiamo riconoscerla?
Forse la promessa è proprio nelle cose che ci parlano nel profondo e che quotidianamente ci ispirano sentimenti di bellezza, di gratitudine, di imitazione, di speranza. Ricercare la nostra promessa è la chiave per entrare nel regno di Dio, per metterci in cammino verso di Lui.
Provando ad entrare nel profondo del nostro animo possiamo domandarci su cosa sia davvero bello e beato per noi.
Fra Antonino Clemenza, francescano, direttore della mensa delle opere antoniane ha dato una definizione di ciò che per lui è beato:
“Beati voi che asciugate le lacrime di chi ha visto infranto ogni suo sogno, di chi non ha più la forza di rialzarsi, di chi ha deciso di scavarsi una fossa vivendo già il sabato santo e non riuscendo a vivere l’alba della nuova Pasqua. Beati voi che sostenete il cammino di chi cerca un amore diverso e non trova riparo, di chi vive il compromesso e si sente solo giudicato e non capito. Beati voi perche siete consapevoli che il cielo di Dio è piu ampio dei nostri orizzonti. Beati voi che vi mostrate cortesi e cordiali laddove invece viene mostrata la rigida competizione e l’insofferenza distaccata. Vi mostrate capaci di abbracci e di tenerezza, spezzando il ghiaccio dell’indifferenza in un mondo in cui tutti abbiamo fame di relazioni autentiche.
Beati voi che riuscite a stare nella notte in attesa del giorno, quando tutto sarà più chiaro e le ombre definiranno le forme perché nemmeno le tenebre sono fuori dal pensiero di Dio. “
Il papa conclude la sua meditazione sul brano della Genesi dicendo:
“mi piace il comandamento che Dio dà al nostro padre Abramo, come sintesi della vita, come deve essere lui: “cammina nella mia presenza e sii irreprensibile”. Cammina nella mia presenza, cioè davanti a me, lasciandoti spogliare da me e prendendo le promesse che io ti faccio, fidandoti di me e sii irreprensibile.