Sono già passati due anni, e così posso ritornare in Italia.
Da un lato non vedo l’ora di poter riabbracciare i tanti amici che mi stanno accompagnando con la preghiera, con la squisita amicizia e con aiuti economici (che come dire sempre più che utili), dall’altro risuonano in me le parole di una delle madri che accompagniamo con la pastorale della donna :«padre ora te ne vai e chi si occuperà di noi?».
Non che senza di me, le cose non continuino, però in un paese in cui la guerra civile ha fatto stragi, ed ha distrutto i tessuti familiari, le relazioni e qualsiasi punto fermo, avere semplicemente una persona che ti saluta e ti sorride, è un bene prezioso. «Padre, con te abbiamo confidenza» mi ripetono spesso, ed è duro guadagnarsi la confidenza (non sembra di stare in un paese latino americano). Lo vedi anche nei bambini che quando arrivo, si illuminano e iniziano a sorridere. Giochiamo ad acchiapparella, e sono felicissimi, ma all’inizio neanche mi salutavano. Ora al momento della pace, vengono tutti sull’altare e mi vengono a dare la pace e mi dicono le mamme che quando non vengo io a celebrare messa e viene un altro sacerdote, sono tristi perché non sono venuto io. Non credevo che la guerra potesse segnare così indelebilmente il cuore di un bambino.
D. Giampiero