Sul principio di agosto dell’anno 1866 arrivarono all’Oratorio di Torino sei ragazzi orfani di genitori morti di colera ad Ancona. Erano ragazzacci di strada. Don Bosco era fuori città. Il giorno dopo rientrò all’Oratorio. Al vedere Don Bosco neppure si tolsero il berretto. Con un amorevole sorriso il Santo tentò di accarezzarli e chiese loro:
Avete fatto buon viaggio? Come state?
Male.
E perché state male?
Perché ci stiamo malvolentieri. Vogliamo tornare a casa nostra.
E perché ci state malvolentieri?
Perché qui non c’è da mangiare. Quel che ci danno è robaccia…
Eppure, la minestra che voi mangiate è la stessa che mangiano i vostri compagni, la stessa che mangiano i vostri superiori, che mangio anch’io…
Se lei vuol mangiarla, padronissimo di farlo.
Don Bosco a quelle risposte che diventavano sempre più villane, rimase male. Ma non perse la sua serenità in volto. Tranquillo si volse a parlare con gli altri ragazzi, che numerosissimi gli facevano corona.
I sei ragazzacci, data l’ultima risposta, alzarono villanamente le spalle, si guardarono attorno provocanti e poi si ritirarono in un angolo del cortile.
Il cronachista racconta come Don Bosco riuscì ad ammansirli: «Più di una volta avevo visto scene violente di indisciplinatezza; ma sotto la pelle di una belva bestemmiatrice, Don Bosco era riuscito a formare a poco a poco un docile agnello e a mettere in risalto il fondo di bontà che c’è nel cuore di ogni ragazzo. Don Bosco non contrastava, non pigliava di punta, calmava gli animi con la bontà, scopriva e faceva risplendere la parte buona di ogni individuo e lo portava a Dio». Don Bosco fece così anche con quei sei ragazzacci; li prese separatamente, con la sua dolce parola ne guadagnò gli animi e fece loro sentire di amarli. Poi soavemente li portò in chiesa e li confessò. Quei ragazzi cambiarono.
Ecco un esame di coscienza. E’ vero che esiste un istinto paterno e materno che ci lega ai nostri figli; ma il vero amore è qualche cosa di più dell’istinto. Proviamo a domandarci:
• Amiamo i nostri figli come si ama una bambola o un giocattolo? Per il dolce piacere di abbracciarli o di coccolarli? Sarebbe un amore misero. Ogni ragazzo è un figlio di Dio; per lui il Signore ha dato la vita sulla croce.
• Li amiamo perché hanno delle doti, perché sono belli, ben educati, intelligenti? Sarebbe un amore troppo umano che rischia di ingenerare preferenze.
• Li amiamo perché sono nostri e perché li vogliamo plasmare come ci pare? Che delusione allora quando raggiungeranno la loro indipendenza e si sottrarranno alla nostra influenza!
• Li amiamo perché li abbiamo educati ad agire sempre in vista di farci piacere? Anche questo sarebbe un amore puramente umano. «Genitori diceva il cardinale Mercier non prendiamo il posto di Dio».
Il vero amore porta a Dio. La più bella definizione di Dio è appunto quella di san Giovanni: «Dio è Amore». Il segreto educativo di Don Bosco era proprio questo: «Calmava gli animi con la bontà, scopriva e faceva risplendere la parte buona di ogni individuo e lo portava a Dio».
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio