Caro parroco,
San Giovanni Paolo II quella volta che fece il raduno ad Assisi dei capi delle religioni, mi pare fosse nel 1986, disse – microfono alla mano – “Ogni religione si porti nel luogo appositamente preparato e preghi secondo il proprio rito per la pace nel mondo”. In sostanza, ha detto di fare una preghiera, sia pure anche idolatrica, per la pace […]. È come se avesse invitato ad agire contro il primo comandamento; è come se avesse applicato quel che diceva Machiavelli che Il fine giustifica i mezzi. Non è così?
Caro signore,
No, non è così. Del suo ragionamento mi sfugge la logica. Che cosa c’entra l’effato machiavellico del fine che giustifica i mezzi? Qui il mezzo è la preghiera, rivolta al Dio in cui si crede, per un fine nobilissimo e valido per tutti: la pace nel mondo. Mi sembra una splendida iniziativa.
Ritorna l’esortazione di papa Giovanni XXIII che le ho citato nella scorsa risposta: “Lasciate quello che ci divide, puntate su quello che ci unisce”. Ci divide la religione, ma ci unisce
- Il fatto di essere credenti
- Il fatto di pregare
- Il fatto di avere uno scopo in comune, cioè la pace.
Sa che cosa diceva don Bosco? Che era disposto a fare tanto di cappello anche al diavolo, se l’avesse aiutato a salvare un’anima. Insomma qui il fine è buono e i mezzi pure. Le sottigliezze sofistiche non c’entrano. Se si seguisse la sua teoria sarebbe la fine di ogni e qualsiasi collaborazione intraumana, la paralisi di ogni iniziativa di bene, come dire la fine del mondo.
Il parroco