Illustre Parroco,
Mi spiccio con una sola domanda che mi sono fatto tante volte, facendo a cagnara con mia moglie, mia figlia, mia suocera, ecc. […]. La domanda è: “Perché devo andare in chiesa?”.
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Caro signore,
Ekklesìa (Chiesa) in greco significa “riunione di fedeli, comunità”. Il Concilio Vaticano II l’ha definita “Famiglia di famiglie”. Venire in chiesa vuol dunque dire venire in famiglia. La Chiesa sì che è una “famiglia allargata”, senza dubbio molto più audace, produttiva, interattiva, che non le moderne famiglie allargate. In chiesa è d’obbligo predicare l’uguaglianza, la fratellanza, la convivialità, essendo tutti figli di Dio senza altri titoli e attribuzioni, che di fronte a Dio valgono poco o nulla. Mi viene in mente la famosa triade della rivoluzione francese: Liberté, Egalité, Fraternité]. Dove, meglio che in chiesa, queste virtù civili e religiose possono essere messe alla prova? Dove possono apparire più valide? Alcuni affermano che nella Chiesa non c’è libertà. Se libertà vuol dire una società, una famiglia, un’assemblea senza regole allora è inutile parlarne, poiché una libertà senza regole non esiste, semplicemente non è libertà. C’è chi dice che l’uguaglianza è una chimera, visto che Dio stesso ha creato ciascuno “unico e irrepetibile”. Vero. Il che però non inficia il principio. L’uguaglianza non è una questione di identità di tutti gli aspetti qualitativi e quantitativi della vita esteriore e interiore… Non siamo insomma dei robot. L’uguaglianza è nella sostanza: siamo “Tutti figli di Dio” allo stesso modo che un maschio e una femmina sono figli di un papà e una mamma. Quelli poi che contestano la fraternità lo fanno perché non la conoscono. Si può avere un carattere burbero ed essere ugualmente fraterni.