Il ragazzo che in uno di quei primi giorni di dicembre del 1878 condussero a Don Bosco aveva sedici anni tondi tondi. Sua madre non sapeva più a che santo votarsi per farlo rinsavire: il ragazzo scappava di casa, diceva parolacce. L’aveva messo in collegio a Lanzo e gliel’avevano rispedito indietro come intollerabile. L’aveva portato in un altro collegio a Pinerolo ed era scappato per andare ad arruolarsi nella Marina. Le guardie gliel’avevano ricondotto a casa. Svegliarono i genitori picchiando alla porta. Quando lo fecero entrare, cominciò a urlare: «Voi non mi volete bene! non mi capite ». «Ma certo che ti vogliamo bene » gli rispose la mamma con dolcezza.
Alla fine sua madre si decise di portarlo all’Oratorio di Don Bosco con l’intenzione di presentarglielo e di chiedergli consiglio. La povera donna era desolatissima.
Don Bosco prese il ragazzo a parte; si parlarono sottovoce. Poi Don Bosco gli chiese forte: « Ti fermeresti tre giorni qui con me? ». Il ragazzo rispose di sì: Don Bosco l’aveva conquistato. In pochi giorni cambiò letteralmente vita. Don Bosco non gli aveva rivolto alcun rimprovero: semplicemente l’aveva ascoltato e gli aveva dimostrato di amarlo. Quando sua mamma venne pochi giorni dopo a trovarlo, le domandò perdono e il permesso di fermarsi ancora un poco con Don Bosco, almeno fin dopo l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, una delle più grandi feste nel calendario educativo di Don Bosco. Intanto continuava a leggere libri buoni. Nel giorno dell’Immacolata confidò a Don Bosco: « Se sto ancora qualche giorno qui all’Oratorio, non resisto alla voglia di farmi prete come lei ». La mamma era al settimo cielo dalla consolazione.
C’è un unico modo di domare certi ragazzi ribelli. Lo insegna Don Bosco: conquistarne l’amore e la fiducia. Ma come fare? Da dove cominciare? I sapienti ebraici affermavano: « L’inizio della saggezza è il silenzio; il secondo passo dev’essere l’ascoltare ». Cominciate allora ad ascoltarli.
Gianni, un ragazzo di diciassette anni, si confida:
«Mio padre si vanta di essere un intellettuale. Non è cattivo, è gentile. Ma quando ragiona, la sua logica somiglia a chiodi appuntiti. Se faccio un’osservazione o gli pongo una domanda, mi sottopone a una vera tortura. Vorrei che fosse meno intelligente e più umano e mi ascoltasse. Non riesco neppure a immaginarmi che sia capace di fermarsi lungo la strada a cogliere un fiore».
Franco, di sedici anni, butta fuori le sue riflessioni:
«Mio padre non ha la minima tolleranza nei confronti degli altri. Dice di volermi bene, ma io non me ne accorgo. Sostiene di desiderare per me quanto c’è di meglio nella vita, ma come può farlo? Non mi conosce neppure».
Elena, di sedici anni, afferma: « Mia madre non mi vuol mai sentire. Dice che il mio futuro le appare oscuro: sono la pecora nera della scuola, non faccio onore
alla mia famiglia e finirò nel fango. Le ho risposto con una frase che pronunciò una volta Oscar Wilde: “Posso essere nel fango ma sollevo gli occhi a guardare le
stelle” ».
Paolo è un ragazzo impegnato, malgrado i suoi giovani anni. Non si direbbe. Parla così: « Ho avuto un lungo colloquio con mio padre. Un colloquio da uomo a uomo. Gli ho detto quanto mi avesse deluso la sua generazione, contraddistinta dalla brama di denaro, dallo sfruttamento, dalla disonestà negli affari, dalla corruzione degli uomini politici, dalle guerre sanguinose. Mio padre mi ha risposto: “Hai osservato questo mondo e l’hai trovato pieno di difetti. Vuoi edificare un mondo migliore e hai tutta la mia approvazione. Ma anche il tuo nuovo mondo può essere migliorato: a me non piacciono il suo linguaggio volgare, la sua musica assordante, la sua letteratura oscena. Siete così sicuri delle vostre risposte. Avete pronta una soluzione per tutti i problemi: la non-violenza, la droga, prendere, godere e mollare. Non vi nego il diritto di ribellarvi e di rinnovare: ma io voglio difendermi da chi tenta di impormi il caos”. Devo levarmi tanto di cappello a mio padre. Sa ascoltare. E ti fa pensare».
(da EDUCHIAMO COME DON BOSCO – Carlo De Ambrogio)