Tre ragazzi si erano allontanati dal gruppo dei compagni. Avevano trovato un posto solitario e lì, seduti sopra una grossa trave, discosti dagli occhi di Don Bosco, avevano cominciato a scivolare in discorsi non troppo puliti. Don Bosco però aveva indovinato la loro manovra; ed ecco all’improvviso si avvicina, quasi di sorpresa, e con molta amorevolezza dice loro: « Perché non andate a giocare con gli altri? Separati, siete tre ottimi ragazzi; uniti, siete tre birichini ». Quei ragazzi arrossirono; poi sorrisero allo sguardo affettuoso di Don Bosco e corsero a giocare.
Ecco una lezione educativa di Don Bosco: il ragazzo è soggetto a facili sbandamenti e a scivoloni nel campo morale, ha quindi bisogno di molta assistenza e di opportune correzioni. I genitori eviteranno tanti attriti se vorranno riconoscere semplicemente che il loro ragazzo è un ragazzo, soprattutto nell’età dell’adolescenza, e che è portato facilissimamente a sbandare.
« La personalità del ragazzo – scrisse un celebre psicologo – è il prodotto di una crescita lenta e graduale. Il bimbo siede prima di stare in piedi, balbetta prima di parlare, dice di no prima di dire di sì, è egoista prima di essere altruista, dipende dagli altri prima di imparare a dipendere da se stesso. Tutte le sue capacità sono soggette alla legge della crescita ». In maniera più accentuata lo è nell’adolescenza.
Il 31 gennaio 1862 Don Bosco, dopo pranzo, stava passeggiando sotto i portici attorniato da alcuni ragazzi. A un tratto si fermò, fece un cenno e chiamò a sé il diacono Cagliero (futuro cardinale). Poi si scostò dai ragazzi e gli disse sottovoce:
- Sento suonare quattrini; non so in quale parte si stia giocando a giochi d’azzardo. Va’, cerca questi tre ragazzi (e gliene disse i nomi); li troverai che stanno giocando.
Cagliero si pose a frugare in tutte le parti, ma non riusciva a scovarli. Dove si erano rintanati quei tre ragazzi? All’im provviso, ne incrocia uno. Gli domanda:
- Dove ti eri ficcato? E tanto tempo che ti cerco.
- Ero là, così e così.
- E che cosa facevi?
- Giocavo.
- Con chi?
- Con due miei compagni.
- Giocavate a denaro, non è vero?
Il ragazzo avvampò come una brace, s’impappinò, ma poi confessò che giocavano d’azzardo.
Cagliero si recò nel posto indicato; non trovò i due ragazzi. L’avevano visto avvicinarsi e si erano eclissati. Li incontrò più tardi. E quei due ragazzi confessarono che, sì, avevano giocato a denari. Quando Cagliero riferì l’esito delle sue ricerche, Don Bosco gli confidò che nella notte precedente aveva visto quei tre ragazzi in sogno che giocavano a denari.
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Ecco un’altra lezione educativa di Don Bosco: i ragazzi vanno assistiti e guidati sempre.
Anni fa i pedagogisti erano convinti che i figli giungessero ai genitori come una lavagna vergine, pronta perché vi si scrivesse. Nulla di più falso. Oggi si comincia a capire che il ragazzo somiglia piuttosto a uno strumento musicale già accordato fin dalla fanciullezza, sul quale sia lui sia i suoi genitori possono suonare soltanto la musica scritta apposta per lui.
Dal momento della nascita, i bimbi si differenziano l’uno dall’altro non soltanto per peso, taglia, colore della pelle e dei capelli, ma anche per il modo di reagire all’ambiente e al mondo circostante. Alcuni sono attivi, altri sono paciocconi; alcuni strillano che è una disperazione, altri quasi non fiatano, e il miglior padre e la migliore madre non possono farci nulla. O meglio, possono fare una cosa importantissima e meravigliosa: possono seguirli, cercare di capirli, amarli e affidarli al Signore nella preghiera.
Diceva un sapientissimo educatore: « Un figlio talvolta è un bravo ragazzo che semplicemente si sarebbe trovato meglio con altri genitori ».
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio