Nel 1884 Don Bosco, quattro anni prima di morire, si trovava a Lanzo. In uno di quei giorni alcuni ragazzi del collegio, durante il passeggio, scovarono una nidiata di merli. Sbarazzini com’erano, li portarono a casa e li nascosero nel dormitorio dentro un cassetto. Purtroppo quei piccoli uccelli morirono uno dopo l’altro. Morto l’ultimo uccellino, i ragazzi decisero di dargli sepoltura nel tempo della ricreazione; fecero il trasporto scimmiottando le cerimonie usate dalla Chiesa nei funerali. Lo accompagnarono con canti liturgici, con aspersioni e infine con un discorso funebre.
Don Bosco da una finestra seguì la scena; poi quando i ragazzi si furono ritirati nello studio, mandò a chiamare colui che era stato il capo della birichinata. Con aspetto serio gli fece capire la brutta cosa che aveva /atto: una vera profanazione da non ripetersi più. Il ragazzo lasciò scorrere le lacrime. Don Bosco allora mutò timbro di voce; disse che perdonava a lui e agli altri. E prima di lasciarlo gli fece una sorpresa: prese un pacchetto di caramelle, gliele mise in mano e gli disse: « Prendile; danne anche ai tuoi compagni ».
« I castighi – diceva Don Bosco - talvolta occorrono, purtroppo, ma ritardateli più che sia possibile. Rendete ragionevoli i castighi. Bisogna che il ragazzo li ammetta. Per questo parlate al suo cuore. Soprattutto non umiliate il ragazzo; potrebbero derivarne delle brutte reazioni… Niente collera, anche giusta. Niente parole fredde o espressioni dure. Dite semplicemente al colpevole: “Io non sono contento di te”. Questo basterà, nove volte su dieci ».
La pedagogia moderna si è allineata sulle stesse posizioni di Don Bosco: insiste nel dire che quanto più c’è stima e amore, tanto più la semplice disapprovazione o una diminuzione di fiducia, di familiarità, di amicizia, è un castigo temuto e perciò efficace.
Il castigo educativo mira a rendere migliore chi ha agito male, non a sfogare malumori e ire. Perciò dev’essere capito e accettato dal ragazzo e non deve umiliarlo e deprimerlo. Chi infligge un castigo deve far capire che soffre e che gli dispiace castigare.
Oggi si discute sulle percosse inflitte come castigo. C’è chi le esige e chi assolutamente le esclude. Un educatore, cioè un estraneo alla famiglia, non ha mai diritto di farne uso perché con le percosse verrebbe a offendere l’allievo e si porrebbe dalla parte del torto.
Nemmeno i genitori o i parenti devono picchiare in maniera offensiva o fortemente dolorosa. Una tiratina d’orecchi, uno schiaffetto il ragazzo li accetta: sono una specie di assoluzione morale, soprattutto quando vede che i genitori soffrono a dargliele e non sprecano i castighi per un nonnulla. Il semplice fatto di avere costretto papà e mamma a ricorrere a quei mezzi è già una considerazione sufficiente a impressionare e a convertire il discolo. La bambina, naturalmente, merita un maggiore riguardo.