Una sera dell’autunno 1860, Don Bosco entrò nel caffè della Consolata e prese posto in una stanza appartata per leggere con tutto comodo e sbrigare la voluminosa corrispondenza che aveva portato con sé. In quel caffè c’era un ragazzo, svelto e disinvolto, a servire i clienti. Si chiamava Cotella Giampaolo; aveva 13 anni, era nativo di Cavour in provincia di Torino e pochi mesi prima era scappato di casa scocciatissimo dei continui rimproveri dei suoi genitori.
Il padrone del bar lo chiamò:
- Va’ a portare una tazza di caffè a un prete che è nella stanza qui vicina.
- Io portare il caffè a un prete? – interloquì il ragazzo che dei preti aveva sentito sempre sparlare.
Il padrone troncò netto: « Va’ ». Andò con aria beffarda:
- Che vuole da me, lei prete? – chiese villanamente a Don Bosco.
Don Bosco lo guardò fisso, poi con dolcezza gli rispose:
- Desidero da te, bravo ragazzo, una tazza di caffè, ma con un patto.
- Quale?
- Che me la porti tu stesso.
Subito il ragazzo fu soggiogato da quello sguardo. Gli portò il caffè e non riuscì più a staccarsi da Don Bosco, che con bontà cominciò a interrogarlo sul suo paese, sulla sua età e sul perché fosse scappato di casa.
- Vuoi venire con me? – concluse Don Bosco.
- Dove?
- All’Oratorio. Questo luogo non fa per te.
- E quando sarò là?
- Se ti piace, potrai studiare.
- Ma lei mi vorrà bene?
- Oh, pensa. Là si gioca, si diverte…
- Bene, vengo. Domani?
- Stasera stessa.
E quella sera, nebbiosa, umidiccia, se lo portò a Valdocco. Il ragazzo gli rimase affezionato per sempre.
Ecco la tecnica di Don Bosco nell’avvicinare i ragazzi: una tecnica fatta di attenzione e di amore. E’ facile dedurne alcune regole generali.
Tenete presente che un ragazzo non è un giocattolo o un oggetto: bisogna quindi rivolgersi a lui come a una persona.
Non tentate mai di ignorare la presenza del ragazzo. Il ragazzo è sensibilissimo al minimo cenno di attenzione a suo riguardo.
Non dimenticate che esso è affidato alle cure dei genitori o di chi per essi, e che sono loro i responsabili del suo contegno e dei suoi atti ordinari. E’ uno sbaglio sottoporre il ragazzo a un conflitto di autorità, dicendogli per esempio: « Non ti preoccupare di ciò che dice la mamma. Qui sei a casa mia e puoi fare quello che vuoi ». Sono parole disgregatrici dell’armonia.
Parlate al ragazzo di qualcosa che lo interessi e in termini che egli possa comprendere. In particolare, se fate dei commenti sul suo lavoro, per esempio sui suoi scarabocchi, concentrate la sua attenzione su quello che ha fatto, non sull’abilità con cui lo ha fatto. Un lavoro eseguito con buona volontà merita sempre di venire sinceramente apprezzato; e ogni commento sul lavoro in sé permette al ragazzo di partecipare alla conversazione, invece di costringerlo a un timido silenzio.
Anche se il ragazzo può apparire assorto nei suoi giochi, non crediate di poter parlare di 1ui, fosse pure in lingua straniera, pensando che non si accorga di essere l’oggetto della conversazione. Si accorge, e come! Peggio ancora: può darsi che non capisca completamente quello che state dicendo a suo riguardo; allora riempirà le lacune con i particolari fornitigli dalla sua fervida fantasia. Idee capite a mezzo e parole fraintese sono state per molti ragazzi una sorgente di gravi ansietà.
E’ importante dargli ascolto. I ragazzi desiderano imparare a vivere nel mondo dei grandi; da tutti gli adulti si aspettano di venire aiutati a raggiungere questo fine. Scrisse uno studente di 15 anni in un suo diario: « L’uomo: che splendido essere divinizzato! ».
Ecco perché ogni ragazzo va profondamente e religiosamente amato.
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio