Luigi Lasagna era un ragazzo di 12 anni, irrequieto come una goccia di mercurio. Nei primi giorni in cui si trovò a vivere con Don Bosco nell’Oratorio di Torino dette del filo da torcere ai superiori perché era indomabile come un puledro; impossibile tenerlo quieto. Era vissuto fino allora allo stato brado e quindi gli ripugnava ogni costrizione disciplinare. Don Bosco lo seguiva con occhio attento e con pazienza estrema.
Un giorno, preso da nostalgia, Luigi aspettò che calassero le prime ombre della sera e poi scappò da Torino. Camminò tutta la notte e ritornò al paese, a Montemagno: sorpresa di papà e di mamma, i quali immediatamente lo ricondussero a Torino. Don Bosco lo riaccolse sorridendo; non disse una parola della sua fuga, gli fece coraggio, gli regalò un dolce. Su quel viso imbronciato di fanciullo balenò un sorriso, il primo sorriso. Fu così che Don Bosco riuscì a domarlo; aveva intravisto in quel ragazzo delle rare doti: svelto, generoso, di una forza di volontà straordinaria, di un cuore affettuosissimo, di ingegno e di memoria spettacolosa. E un giorno dell’autunno del 1862, Don Bosco che si trovava in un crocchio di ragazzi, tra i quali c’era Luigi, girò il dito indice attorno e senza fermarsi disse queste precise parole: « Uno di voi sarà vescovo ». La profezia andò azzeccata. Luigi Lasagna, quel puledrino indomabile e irrequieto, divenne effettivamente vescovo.
Ecco lo spinoso problema delle punizioni e del perdono. Come castigare?
Don Bosco diceva: « Non abusate dei castighi. Ai ragazzi serve come castigo quello che noi facciamo sentire come castigo: per esempio, talvolta è sufficiente uno sguardo per far scoppiare in pianto un ragazzo che non si sente più guardato amorevolmente dai suoi genitori ». Occorre perciò castigare quando ne vale la pena, quando cioè il ragazzo infrange deliberatamente un ordine dato e spiegato, quando ha commesso un’ azione realmente cattiva e che esige riparazione. Non serve reagire con la forza perché il proprio prestigio risulta compromesso.
Ecco per esempio un dialogo disastroso tra un babbo e il suo ragazzo:
- Fa’ questo…
E il ragazzo, cocciuto:
- No.
- Te lo comando…
- No.
- Voglio che tu lo faccia.
- No.
- Lo devi fare.
- No.
Inviperito il babbo gli molla una sberla. Che cosa ottiene? Quel ragazzo coverà nel cuore un risentimento terribile.
Don Bosco diceva: « Occorre essere calmi quando si rimprovera o si castiga. Non bisogna gridare ». Occorre perciò punire il ragazzo non perché ci ha fatto soffrire, non perché ci ha irritati, non perché ci ha resistito, ma perché ha agito male. La correzione o il castigo non devono essere sentiti dal ragazzo come un atto di collera o di vendetta da parte di chi gli sta sopra.
Don Bosco diceva: « Evitate di umiliare il ragazzo ». Certe volte serve di più un’accoglienza semplicissima e affettuosa, come Don Bosco fece con Luigi Lasagna quando i genitori glielo riportarono a Torino, dopo la fuga. E’ meglio attendere che sbolliscano le prime emozioni e poi avviare una chiarificazione o un dialogo cuore a cuore, magari proponendo una passeggiata, un lavoro, un gioco che disponga l’animo alla riconciliazione.
E’ così che i genitori cristiani rivelano e trasmettono ai loro figli l’amore infinito di Dio, che si esprime per ognuno di noi in una continua misericordia.
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio