Francesco Messina
(Linguaglossa, 15 dicembre 1900 – Milano, 13 settembre 1995)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
30. Gruppi angelici portalampada del Santissimo
Nasce a Linguaglossa in provincia di Catania in una famiglia molto povera. Cresciuto a Genova dove ha studiato e vissuto fino all’età di trentadue anni, si trasferì da qui a Milano.
È considerato dalla critica tra i più grandi scultori figurativi del Novecento, insieme a Giacomo Manzù, Arturo Martini, Marino Marini. È l’autore di alcuni dei maggiori monumenti del Novecento italiano: Santa Caterina da Siena, collocata sul lungotevere di Castel Sant’Angelo; la Via Crucis di San Giovanni Rotondo; il Cavallo morente della RAI; il Monumento a Pio XII nella Basilica di S. Pietro. Le sue opere figurano nei più prestigiosi musei del mondo: Berna, Zurigo, Goteborg, Oslo, Monaco di Baviera, Parigi, Barcellona, Berlino, San Paolo del Brasile, Buenos Aires, Venezia, Mosca, San Pietroburgo, Vienna, Washington, Tokio.
Dal 1922 iniziò ad esporre regolarmente le sue opere alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e tra il 1926 e il 1929 partecipò alle esposizioni del gruppo artistico Il Novecento Italiano a Milano. Nel 1932 si trasferisce a Milano, dove ottiene dopo un concorso nazionale, nel 1934 la cattedra di scultura presso l’Accademia Brera di cui divenne, dopo soli due anni, il direttore.
In quegli anni scrive di lui Carlo Carrà: “la scultura di Francesco Messina si caratterizza per un fare semplice e grandioso e per procedimento idealistico e classico, in grado di dar vita a forme che restano come “immagini ideali”. (Carlo Carrà, Francesco Messina scultore, Galleria Milano, marzo 1929).
Negli anni trenta partecipa a molte importanti mostre collettive d’arte italiana a Barcellona, Berlino, Berna, Goteborg, Monaco di Baviera, Oslo, Parigi, San Paolo del Brasile, Zurigo.
Nel 1935 esegue il grande monumento a Cristoforo Colombo nella città di Chiavari.
Nel 1936 è nominato direttore dell’Accademia di Brera, carica che manterrà fino al 1944.
Nel 1937 esegue per la città di Pavia il monumento equestre, detto del “Regisole”, a ricordo di un altro monumento romano dedicato all’imperatore Antonino Pio e distrutto dai soldati francesi nel 1796. Nello stesso anno realizza il Ritratto di Salvatore Quasimodo, busto in bronzo.
Nel 1938 Giorgio de Chirico a Roma e Salvatore Quasimodo a Torino presentano due sue mostre personali. Scolpisce il gruppo monumentale in marmo di San Carlo recante il perdono ai deputati ospitalieri per l’Ospedale Maggiore di Niguarda a Milano.
Nel 1942 vince il Premio di Scultura alla XXIII Biennale Internazionale d’arte di Venezia, dove tiene una mostra personale con quindici sculture e diciassette disegni.
Ne 1943 è nominato Accademico d’Italia.
Caduto il regime fascista fu temporaneamente allontanato dall’Accademia, per il solo fatto di esserne stato direttore nel periodo fascita, riottenendo però, già nel 1947 la cattedra di scultura.
Sempre nel 1947 partecipa all’esposizione di scultura e grafica a Buenos Aires nella Galleria Muller riscuotendo notevole successo. Nel 1949 espone alla 3rd Sculpture International di Filadelfia assieme a Marino Marini e Picasso.
Nel 1956 partecipa con una mostra personale alla XXVIII Biennale di Venezia.
Nel 1963 esegue il grande monumento a Pio XII per la Basilica di San Pietro in Roma e il busto di Pietro Mascagni per il Teatro alla Scala. Nello stesso anno a Firenze gli viene conferito il Premio Michelangelo per la scultura.
Nel 1966 esegue su commissione il Cavallo morente per la Rai , che diverrà il simbolo dell’azienda pubblica radiotelevisiva e che è esposta all’ingresso della sede principale a Roma.
Nel 1968 esegue il monumento a Pio XI per il Duomo di Milano.
Nei primi anni settanta gli viene assegnata la Sala Borgia della Galleria vaticana Paolo VI, dedicata all’arte sacra contemporanea, come sede di una esposizione permanente di venti opere di soggetto sacro.
Nel 1974 viene aperto a Milano il Civico Museo-Studio Francesco Messina nell’antica chiesa sconsacrata di San Sisto al Carrobbio. In quello che sarà fino alla sua morte lo studio ufficiale dell’artista, espone permanentemente circa ottanta sculture (gessi, terrecotte policrome, bronzi, cere) e una trentina di opere grafiche (litografie, pastelli, acquarelli, disegni a matita) donate al Comune di Milano.
Nel 1978 partecipa a due grandi mostre in Unione Sovietica presso il Museo Puskin di Mosca e l’Ermitage di Leningrado che poi aprirono delle sale dedicate grazie alla donazione di circa 40 opere di scultura e altrettante di grafica.
Nel 1981 nell’ex chiesa di San Francesco a Pordenone si tiene una mostra di disegni inediti e contemporaneamente una mostra scultorea presso il Palazzo Flangini-Bili] di Sacile.
Tra il 1984 ed il 1986 vengono esposte le sue sculture al Theseus Tempel di Vienna, allo Hirshon Museum di Washington ed alla Gallery Universe di Tokyo
Fino alla sua morte, avvenuta nel 1995 a Milano, continua il suo lavoro di scultore e pittore e, assistito dalla figlia Paola, corregge e completa le numerose biografie a lui dedicate e pubblicate in tutto il mondo.
Giovanni Brancaccio
(Pozzuoli 1903-Napoli 1975)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
37. Mosaico centrale
Giovanni Brancaccio è un artista “preistoricamente” meridionale e per lui è stata organizzato un “omaggio”, una mostra, nei suggestivi spazi della Sala della Loggia del Maschio Angioino, con poco meno di cinquanta opere, raccolte poi nel bel catalogo della Paparo Edizioni. La mostra, a cura di Vitaliano Corbi, ha avuto il patrocinio e il contributo del Comune di Napoli, è stata interamente organizzata dal Lions Club Vesuvio e resterà aperta fino al 4 maggio (eccezion fatta per i giorni 23 e 25 aprile e 1° maggio).
Nato a Pozzuoli nel 1903, Giovanni Brancaccio è stato interprete di una pittura sensuale, calda, dagli scenari prettamente “sudisti”.
Entrato a far parte nel 1927 del Gruppo Flegreo, assieme ad artisti giovani come Mercadante, Ciardo e De Val, il pittore si dedica fin da ragazzo alle diverse tecniche grafiche e incisorie. Conseguito nel 1923 il diploma in Arti Grafiche e Decorazione presso l’Istituto d’Arte di Napoli, in questo stesso istituto insegna Incisione dal 1925 al 1935 e un anno dopo viene incaricato dell’insegnamento dell’Incisione nell’Accademia di Belle Arti. La sua scuola ideale, però, è il museo: attraverso la copia di quadri del Museo Nazionale egli acquisisce una ferma conoscenza della tecnica pittorica, ma soprattutto entra in contatto con la tradizione artistica napoletana senza intermediari. Ispirato ad un seicentismo riletto in maniera originalissima, l’artista, vicino alla corrente a cui appartenevano Carena, Romagnoli e Terrazzi, espone i primi quadri significativi della sua produzione intorno al 1932, anno in cui partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. Nei primi anni Trenta Brancaccio si dedica anche alla scultura, risentendo palesemente della lezione di Arturo Martini (Studio, Bozzetto, Piccolo nudo, 1930). Successivamente la sua ispirazione, attraverso le influenze di Manet, Giorgione e Velàzquez, approda a nuove soluzioni figurative: agli anni Trenta risalgono i bozzetti e le opere di grandi dimensioni dove vengono raffigurati rigogliosi nudi femminili immersi in paesaggi ricchi di acque, rigogliosi di verde boscaglia e di pioppi argentei.
Di questo periodo sono da ricordare Scena campestre (1939), Ragazza allo specchio (1939), Nudo (1940), Giovinetta che suona il mandolino (1940), Bozzetto (1940) e Figure ( 1941). Il tema delle ‘bagnanti’, dal 1940 in poi, diviene una sorta di leit motiv anche se nel periodo della guerra in Brancaccio si registra un’evoluzione drammatica. Le stesse figure di prima si trovano in un’atmosfera di tempesta. Il mito della serenità è squassato da visioni di violenza, le linee dei corpi assumono slanci espressionistici, si deformano; pare che lo spavento interiore per le grandi presenze invisibili non dia tregua al pittore: improvvise bufere si addensano intorno alle bagnanti che raccolgono in fretta i loro indumenti e fuggono prese dal panico.
Hanno scritto di lui: “Il mondo di Brancaccio è quello meridionale; d’accordo, ma viene da molto lontano, dalla preistoria o dalla razza del costume italico, con i volti dei personaggi statuari e vivi; i gesti lenti, pazienti, fissi in una mimica allusiva e misteriosa in cui le maschere e i lumi, gli oggetti e i frutti sono quanto di più congeniale e familiare artista possa inventare con luce nova che non rifugga da un sentimento romantico di sobrio e sicuro riporto” R. M. de Angelis, Giovanni Brancaccio, “La Fiera Letteraria”, Roma, 29 Ottobre 1969.
Pericle Fazzini
(1913-1987)
Ha lasciato nel Tempio di don Bosco:
31, 32 e 33 Tabernacolo, crocifisso e tronetto
Nasce a Grottammare (AP), il 4 maggio 1913 da Vittorio e Maria. Giovanissimo, inizia a lavorare nella falegnameria di famiglia, accanto ai numerosi fratelli, apprendendo a intagliare il legno e dedicandosi alla scultura nei momenti liberi.
Intorno al 1929 il poeta Mario Rivosecchi, compaesano di Pericle e amico di famiglia, convince il padre a assecondarne il precoce talento, inviandolo a studiare a Roma. Gli anni tra il 1935 il 1938 sono piuttosto difficili. Con il denaro del premio vinto alla quadriennale lo scultore prende in affitto lo studio di via Margutta dove lavora per il resto della sua vita. Si isola dall’ambiente artistico romano, realizzando in solitudine alcuni dei suoi massimi capolavori, come il Ritratto di Ungaretti.
Nel giugno 1940 sposa Anita Buy, la scrittrice a cui era da tempo legato, poco dopo parte per il servizio militare. Congedato il 18 settembre del 1943 fa ritorno a Roma., dedicandosi ad una importante scultura appena iniziata allo scoppio della guerra: il Ragazzo con i gabbiani.
Pensando a sculture come questa Ungaretti definì Fazzini “lo scultore del vento”. Nel 1952 tiene una personale alla Alexander Jolas Gallery di New York, inaugurando un periodo di attività in campo internazionale.
Nel 1954 partecipa alla Biennale di Venezia con una personale che gli vale il primo premio per la scultura. L’anno dopo ottiene la cattedra di scultura all’Accademia di Firenze: vi insegnerà per quattro anni, pur continuando a risiedere a Roma. Successivamente insegnerà nell’Accademia di Belle Arti di Roma (1958-1980).
Del 1964-65 il bozzetto per un mai realizzato Monumento a Kennedy: doveva essere una grande stele (30 metri di altezza) con tagli e fenditure nel senso della lunghezza che scoprivano, in controluce, il profilo di Kennedy (una prova in dimensione ridotte, successivamente intitolata Metamorfosi e fusa in bronzo, venne donata anni più tardi alla sua città natale Grottammare). Nel 1970 inizia l’avventura della Resurrezione, la grande scultura per la Sala delle Udienze in Vaticano, che per la sua portata storica può essere considerata come il punto di approdo di tutta la sua ricerca.
La genesi della scultura è piuttosto lunga: i primi contatti con il Vaticano si ebbero nel 1965, ma la decisione finale arriva solo nel 1972, grazie all’intervento personale di Paolo VI. I1 lavoro e la successiva fusione richiesero quasi sette anni, fino all’inaugurazione che avviene il 28 settembre 1977. Cristo emerge da una composizione di elementi naturali, in basso roccia, radici, rami contorti di ulivo, più in alto nuvole e infine un’ampia corona di saette. Durante le ultime fasi di lavorazione (nell’agosto del 1975) l’artista, provato dalla grande fatica, viene colpito da trombosi. La ripresa avviene lentamente e i suoi ultimi anni trascorrono in relativa tranquillità, tra lo studio di via Margutta e la casa costruita a Grottammare presso un bosco di querce secolari. Fazzini si dedica soprattutto ai bronzetti, all’incisione e anche a raccogliere i molti scritti e appunti.
Muore a Roma il 4 dicembre 1987. In uno dei suoi ultimi appunti si legge: “La morte e la vita sono la medesima cosa, fanno parte dell’infinito mistero in cui gli uomini e i piccoli invisibili insetti hanno lo stesso peso, in un sempre più misterioso universo che non si logora mai”.
Alessandro Monteleone
(Taurianova, 1897 – Roma, 1967)
Ha lasciato nel Tempio di don Bosco:
65. Fastigio finale sulla cupola
38, 45. Due bassorilievi a lato del grande mosaico
Nato a Radicena (attuale Taurianova) in provincia di Reggio Calabria, Monteleone fu principalmente scultore. Da giovane venne accolto nello studio di Vincenzo Romeo che ne preconizzò il radioso avvenire. Dopo la prima guerra mondiale, cui partecipò, si recò a Roma, dove non tardò ad affermarsi tra i migliori scultori godendo di grande stima. Negli ultimi anni esercitò anche – e soprattutto – la pittura, che aveva praticato in gioventù, dipingendo oltre trecento opere tra tele e monotipi.
Alla Mostra Calabrese d’Arte Moderna di Reggio Calabria nel 1920 inviò infatti alcuni gessi e opere pittoriche, figurando in catalogo come pittore; nel 1922 fu presente con tre gessi: “Mastro Peppe”; “Ritratto di Medaglia”; “Bozzetto di Medaglia”.
Visse principalmente a Roma, dove si trasferì nel 1920 entrando nello studio del Mistruzzi. Nella capitale divenne titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di via Ripetta, dopo aver insegnato in quella di Palermo e di Napoli. È stato “Accademico Pontificio del Pantheon“, dell’Accademia Nazionale di S. Luca, delle “Arti del Disegno” di Firenze e della “Clementina” di Bologna.
Luigi Venturini
(1912-1998)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
28. Angeli lato presbiterio
39. due bassorilievi lato mosaico
44. Altare maggiore: cherubini e candelieri minori
Artista che riceve importanti riconoscimenti sino all’inizio degli anni Quaranta, viene chiamato a partecipare alle più importanti rassegne nazionali almeno sino alla fine degli anni Cinquanta ed alla fine degli anni Ottanta firma ancora opere di committenza statale ed ecclesiastica.
Di origine ligure, nasce a Ortonovo in provincia di La Spezia nel 1912, Venturini ha però la fortuna di formarsi a Carrara, uno degli ambienti più vivaci della cultura figurativa dell’epoca.
Vero centro di diffusione del Novecentismo, la città offre ai giovani che frequentano la Scuola dele Arti dei Mestieri del Marmo e l’Accademia di Belle Arti la possibilità di studiare e lavorare a stretto contatto con personalità eccezionali. Per i più importanti scultori contemporanei, e basterà citare i nomi di Arturo DAZZI, Libero ANDREOTTI, Antonio MARAINI, ed Italo GRISELLI, Carrara è infatti un passaggio obbligato. Frenetica città-cantiere, essa mette a disposizione delle ambiziose imprese della scultura degli anni Trenta, prima fra queste la realizzazione del Foro Mussolini con l’annesso Stadio dei Marmi, tutte le sue risorse materiali, scultori, manodopera specializzata, laboratori e tutta la più moderna tecnologia legata alla lavorazione del marmo.
Nulla di quanto accade a Carrara sfugge alla critica del tempo, che guarda con particolare interesse all’esordio di Luigi VENTURINI, il brillante allievo di DAZZI che, dal 1933 al 1938, passa di successo in successo sino al riconoscimento più ambito, quel Pensionato Artistico Nazionale che offre ai giovani artisti il trasferimento a Roma, l’assegnazione di un atelier nel quale lavorare e la possibilità di effettuare viaggi di formazione.
Nel 1940, Cipriano Efisio OPPIO, responsabile del progetto di decorazione scultorea del Palazzo della Civiltà Italiana, decide di farne l’occasione per una sorta di “grande esposizione di arte contemporanea” ed affida l’esecuzione delle ventotto statue da collocare negli archi esterni del piano terra a quelli che giudica alcuni dei più interessanti scultori del momento: VENTURINI è tra di loro.
Il crollo del regime fascista priva gli scultori di un committente importante, ma apre un periodo denso di ricerche e sperimentazioni.
Anche per VENTURINI è il momento della ricerca di un linguaggio personale, che in lui prende la forma di una meditazione sulla figura femminile. Dall’inizio degli anni Quaranta sino alla metà degli anni Cinquanta il suo universo artistico si popola di un esercito di donne in gesso e terracotta che, col trascorrere degli anni, sembrano sempre più evocare divinità provenienti da civiltà esotiche e remote. Lo sculture novecentista degli esordi si apre alle suggestioni di un’antichità che però non è più, come sarebbe stato per un artista nato soltanto dieci anni prima, quella greca e romana; VENTURINI ed i suoi coetanei preferiscono viaggiare liberamente nel tempo e nello spazio: l’India e l’antico Egitto, Bisanzio e la civiltà copta, ad ogni espressione artistica si guarda con interesse nel tentativo di attingere a nuove fonti di ispirazione.
Spirito autenticamente religioso, nel corso degli anni Cinquanta lo scultore si appassiona però anche al dibattito sulla possibilità di rinascita di un’arte sacra in Italia e comincia ad impegnarsi nella produzione di opere di soggetto religioso. Ancora una volta le vicende del nostro artista consentono di aprire una finestra in un momento poco indagato, ma importante dello sviluppo della scultura italiana del Novecento.
Terminata la stagione delle grandi commissioni pubbliche legate al regime, gli scultori si trovano ad avere la Chiesa come unico committente di rilievo. Lo sviluppo dei centri urbani impone la costruzione e decorazione di nuovi edifici di culto e gli artisti si interrogano con passione su quale debba essere il linguaggio di un’arte sacra moderna. È infatti evidente che, in anni in cui veramente moderna sembra essere considerata solo l’arte astratta, questa strada è però preclusa a chi è chiamato a comunicare al fedele contenuti ben precisi nella maniera più chiara possibile. La soluzione del problema si individua in una rivisitazione dell’arte cristiana delle origini. Modelli paleocristiani, bizantini e romanici si intrecciano nell’invenzione di un moderno Medioevo che produce risultati qualitativamente discontinui, ma in taluni casi rilevanti. Sulle tematiche relative all’arte sacra cala però il progressivo disinteresse della critica laica, disinteresse che si traduce per la produzione scultorea di quegli anni, oramai consistente soprattutto in opere di carattere religioso, in una sorta di condanna all’oscurità.
Solo oggi cominciamo a capire che tante chiese costruite nel dopoguerra sono veri e propri musei di scultura contemporanea.
Francesco Nagni
(Viterbo 1897 – Roma 1977)
Ha lasciato nel Tempio di don Bosco:
2. Statua Papa Pio IX
6. Statua Papa Pio XI
40 e 43. Bassorilievi a lato mosaico
Studiò all’Accademia di belle arti di Roma (1915-20), lavorando in seguito nello studio di Ettore Ferrari e presso gli scultori Giuseppe Guastalla e Attilio Selva. L’influenza di quest’ultimo è ancora ravvisabile nel Monumento aicaduti di Fano nella guerra del 1915-18 (bronzo) in via delle Rimembranze a Fano, realizzato nel 1924, in seguito a concorso, in collaborazione con l’architetto Ettore Rossi; le sue forme piene e turgide, caratterizzate dall’attenta modulazione anatomica delle figure, rivelano la scelta per una scultura di volume plastico e massa architettonica, che fece di Nagni uno degli interpreti esemplari della tradizione celebrativa del Ventennio, favorendone presto l’inserimento nell’orbita delle grandi commesse pubbliche.
Nel 1932, su incarico dall’architetto Concezio Petrucci, eseguì, insieme con Amedeo Vecchi, i pannelli decorativi per l’aula magna del liceo ginnasio Cirillo (ora Orazio Flacco) a Bari e, sempre con Vecchi, nel 1934, il bassorilievo con La Vittoria in marcia (travertino; bozzetto in terracotta), sormontato dallo stemma sabaudo, per il portale d’ingresso del municipio di Sabaudia progettato da Gino Cancellotti. Lo stesso architetto lo chiamò a realizzare il Monumento equestre delmarescialloDiaz, in bronzo, sul lungomare di Mergellina a Chiaia (Napoli), posto su un alto basamento in travertino decorato lateralmente con scene a rilievo riguardanti il primo conflitto mondiale (1934-36).
Al concorso nazionale voluto nel 1934 dalla regina Elena per celebrare i grandi fatti e le maggiori figure di combattenti ed eroi della prima guerra mondiale, vinse la medaglia d’oro con il Busto di Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi (bronzo, 1934-35; Roma, Museo centrale del Risorgimento; la cera è nella galleria Carlo Virgilio; la traduzione in marmo è a Roma, Accademia naz. di S. Luca) ex aequo con il Busto diAntonio Locatelli realizzato da Antonio Berti.
Nel 1938 eseguì, su incarico di don Giovanni Minozzi, fondatore insieme a padre Giovanni Semeria dell’Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia (primo istituto per gli orfani di guerra), le sculture per la facciata della chiesa dell’Assunta di Amatrice, costruita su disegno di Arnaldo Foschini, tra le quali domina una Dormitio Virginis (bronzo) a tutto tondo, memore nella semplicità e del rigore formale del primo Quattrocento. Connessa a questo lavoro è l’opera esposta nel 1939 alla III Quadriennale romana: un’Ascensione (o Assunzione) in altorilievo (particolari dell’originale in cera sono ripr. in Tecchi – Fallani – Selva, 1965, pp. 56 s.), che rinnovava la tradizionale iconografia del Transito della Vergine sia attraverso il primitivismo delle forme, riscontrabile in particolare nella durezza dei panneggi e nella legnosità della postura, sia per il particolare di un lembo di veste che fuoriesce dalla cornice, insinuando la possibilità di invadere lo spazio del reale. Nello stesso anno, per la bonifica intrapresa dall’Opera nazionale combattenti (ONC), nella casa del fascioe ufficio centrale dell’ONC per il Tavoliere delle Puglie (ora Consorzio generale di bonifica della Capitanata) a Borgo Segezia (Foggia) realizzò due rilievi raffiguranti una Vittoria alata che sguaina la spada (sovra-finestra in pietra calcarea, 1939) e i Reduci della grande guerra (balcone dell’arengario, pietra calacarea, 1941). Un altro bassorilievo, raffigurante Bellerofonte e Pegaso, fu collocato nel 1940 all’esterno del porticato della stazione Ostiense a Roma progettata da Roberto Narducci come costruzione provvisoria per la visita di Hitler a Roma nel 1938 e poi convertita in travertino in vista dell’Esposizione universale di Roma (EUR) del 1942. Legata a questa occasione è anche la statua di S. Paolo per la scalinata monumentale antistante la basilica romana dei Ss. Pietro e Paolo all’EUR, progettata da Arnaldo Foschini a metà degli anni Trenta ma aperta al pubblico solo due decenni dopo. Caratterizzata da una voluta rozzezza nella modellazione, l’opera coniuga una composta nobiltà di forme – che aggiorna la statuaria romana – con un viso ascetico e scavato.
Il ricorso a un mestiere sapiente, per riprendere iconografie del passato, fu pratica frequente in Nagni, che alla IV Quadriennale nazionale di Roma del 1943 espose oltre al S. Paolo un Ritratto muliebre a mezzo busto in cera, memore di Francesco Laurana, e un bassorilievo, LaMadonna degli angeli, che nel drappo steso a far da sfondo suggerisce la conoscenza dello studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino. L’adesione a certo verismo impressionista nel trattamento delle superfici rivela invece La madre dell’artista (o Mia madre, bronzo), acquistato in tale occasione dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.
Si dedicò anche alla medaglistica e a lui, al termine del secondo conflitto mondiale, la ditta Stefano Johnson di Milano affidò il bozzetto per le medaglie interalleate di vittoria da consegnare a tutti i militari cobelligeranti (per motivi economici la ditta ha disperso sul mercato numismatico le vecchie giacenze).
Nel dopoguerra le committenze del regime fascista furono sostituite da quelle, molteplici, del Vaticano. Partecipò al concorso internazionale per le porte di S. Pietro indetto nel 1947 da Pio XII per sostituire le antiche porte in legno di noce con altre in bronzo; in seguito alla morte di Alfredo Biagini, il suo progetto (non realizzato), presentato in collaborazione con Alessandro Monteleone, risultò nel 1952 tra i vincitori con quelli di Giacomo Manzù e Venanzo Crocetti. Data al 1949 la messa in opera del Monumento di Pio XI Ratti nella basilica di S. Pietro a Roma (il gesso è conservato nella residenza papale di Castelgandolfo); a Nagni si deve anche l’urna in bronzo dorato, nella stessa basilica, dove, dal 1952, anno successivo alla beatificazione, è conservato il corpo di s. Pio X Sarto.