Attilio Torresini
(Venezia 1884- Roma 1961)
ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
1. Bassorilievo dell’altare di S. Francesco di Sales
2. Bassorilievo dell’altare di S. Domenico Savio
La prima formazione avviene presso il padre, marmista. Studia al Museo Artistico Industriale e poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Si trasferisce a Roma nel 1914 e prende uno studio a Villa Strohl-fern, dove ritornerà dopo il conflitto e che lascerà solo negli ultimi anni di vita. Espone alle Biennali di Roma; con il gesso “Arianna dormiente” partecipa alla Fiorentina primaverile del 1922. Nel 1926 è presente alla XV Esposizione di Venezia, e nello stesso anno La dormiente e “Testa muliebre” sono scelte da Margherita Sarfatti per la I Mostra del Novecento italiano. Ancora la Sarfatti lo invita alla mostra romana dei “Dieci artisti del Novecento italiano” in occasione della XCIII Esposizione Amatori e Cultori (1927). Tra il 1928 e il 1930 partecipa alla XVI e XVII Biennale di Venezia, alla I Mostra del Sindacato laziale a Roma, alla II Mostra del Novecento italiano a Milano. Partecipa in seguito alle maggiori mostre italiane e ha una sala personale alla IV Quadriennale del 1943. Il suo lavoro, frattanto, si è orientato verso una maggiore severità arcaizzante. Nel 1965 la IX Quadriennale allestisce una retrospettiva con un gruppo di bronzi del 1958-62 .Tra gli scultori attivi a Roma tra le due guerre è certamente il più vicino alla svolta “purista” dei pittori della prima fase della scuola romana. La poesia intima, garbata, dei suoi ritratti e dei suoi nudi configura una struttura compositiva libera sia dai residui delle stilizzazioni Liberty sia da ogni tipo di retorica monumentale.
Bruno Saetti
(Bologna 1902 – 1984)
ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
1. Vetrate della cupola minore
Compì gli studi all’Accademia di Bologna, diplomandosi nel 1924. Nel ’27 organizzò la sua prima mostra personale. L’anno successivo, con l’opera “Il giudizio di Paride”, venne ammesso alla Biennale di Venezia, che lo vide partecipante in numerose edizioni ( nel ’38 con mostra personale ). Le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia furono 14, dal 1928 al 1972; fu invitato ad 8 edizioni consecutive, fino al 1942. Nel ’29 vinse il premio Baruzzi e partecipò alla Mostra internazionale di Barcellona, con “Bagnanti”. Nel 1930 andò a Venezia come insegnante dell’Accademia, di cui assunse la carica di direttore dal 1950 al 1956. Nel ’31 ( e fino al ’72 ) prese parte alla Quadriennale romana; mentre l’anno dopo assieme a Bucci e Montanarini vinse il Premio Firenze, con “Donna con bambina”. Partecipò alla grandi rassegne internazionali organizzate dalla Biennale veneziana ( Praga, Varsavia, Cracovia, Budapest, Vienna, Sofia, Bucarest ). Dal 1935, in seguito a una visita a Pompei, praticò la tecnica dell’affresco. Nel ’39 fu invitato con mostra personale, ottenendo anche il primo premio, alla Quadriennale romana. Negli anni successivi realizzò ( a volte assieme a Ferruccio Ferrazzi ) affreschi in molti edifici pubblici e fu insignito di molti altri premi (il Salsomaggiore, il Michetti, il Fiorino, etc.). Fu anche pittore d’arte sacra, invitato a numerose rassegne a tema. Nel 1975 tenne una antologica a Venezia nell’Ala Napoleonica e nel ’79 concluse la sua carriera pubblica con un’altra antologica a Firenze, a Palazzo Strozzi.
Lorenzo Gigotti
(Roma, 1908 – 1994)
ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
1. Quadro di sant’Anna
2. Sedici vetrate della cupola grande
3. Due vetrate sulle porte di ingresso
Allievo di Ferruccio Ferrazzi all’Accademia di Belle Arti di Roma, fa il suo esordio nei primi anni ’30 nel segno di un raffinato parallelismo con la Scuola Romana.
Successivamente, in linea con le nuove tendenze del realismo europeo, la sua pittura si caratterizza per l’assoluto verismo della composizione e per l’impasto materico che ricorda la pennellata di Mario Mafai, artista molto amato da Gigotti. Immediatamente apprezzato dalla critica, è da subito presente a tutte le Sindacali e alle Quadriennali di Roma – a partire dagli anni ‘30 fino al termine degli anni ’60. Nel ’44, su invito di Gino Severini, aderisce al Comitato Promotore della LAAF. Nel 1948 espone alla XXIV Biennale di Venezia.
La ricerca artistica di Gigotti è continua e improntata ad una grande capacità evocativa, che pone in primo piano soprattutto l’uso del disegno e la sperimentazione segnica del colore, e che lo porterà alla scelta aniconica a partire dagli anni ‘60. Legato all’ambiente culturale romano, Gigotti ebbe sempre un notevole riscontro critico, grazie soprattutto alle recensioni e ai saggi di Cipriano Efisio Oppo, Libero De Libero – sempre molto attento all’evoluzione dell’opera di Gigotti – Fortunato Bellonzi, Virgilio Guzzi, Francesco Arcangeli, Ennio Francia, e molti altri.
Di notevole interesse è anche l’attività dell’artista nel campo della vetrata, dell’affresco e del mosaico. Si evidenziano in tale ambito le opere realizzate nella Chiesa di S. Eugenio a Roma (1951); nella Cattedrale di San Paolo del Brasile (1952); nella Chiesa di S. Gottardo in Corte a Milano (1956); presso il CTO di Firenze e di Padova; nella Sala dei Congressi del C.T.O. della Garbatella a Roma. Ricordiamo inoltre la grande impresa eseguita nella Chiesa di San Giovanni Bosco a Roma, per la quale aveva già realizzato, nel 1958, la pala con Sant’Anna. Le vetrate del tamburo della cupola grande, portate a compimento nel 1963, rappresentano un ciclo impegnativo e complesso dal punto di vista della realizzazione e dell’iconografia. Per quanto riguarda l’attività didattica, oltre all’insegnamento presso la romana Accademia di Belle Arti, nel 1974 l’artista viene incaricato di dirigere la “Scuola libera del nudo” presso la stessa Accademia.
Lorenzo Gigotti è presente nel tempo a tutte le maggiori rassegne d’arte e premi di pittura nazionali – quali il Premio Marzotto, Premio Modena, Premio Michetti, Premio Villa S. Giovanni ed altri ancora – dove ottiene prestigiosi riconoscimenti.
Per i dieci anni dalla scomparsa del Maestro, è stato costituito a Roma l’Archivio Lorenzo Gigotti per la raccolta della documentazione storica e per la salvaguardia e la promozione dell’opera dell’artista.
Marcello Avenali
(Roma 1912-1981)
Ha lasciato in basilica:
15. Quadro altare Angelo custode
62. 16 vetrate cupola grande
Dalla precoce attitudine al disegno, che lo spinge alla iscrizione alla Accademia delle Belle Arti nel 1929, scaturisce la produzione dei primi anni ’30, caratterizzata da un cospicuo numero di disegni e dipinti ad olio, ove la figura umana viene ad assumere una importanza centrale: uno stile deciso, con immagini dai contorni morbidi e dai colori spesso freddi, ma sapientemente sfumati nei toni, sempre vellutati (Alba, 1938).
Pur riscontrandosi nella sua opera gli elementi tipici del movimento del Novecento, è presente tuttavia nel giovane Avenali un nucleo primigenio di ricerca che verrà sperimentato nel tempo fino alle estreme conseguenze. L’epoca ed il gusto del tempo inseriscono Avenali nella schiera degli artisti incaricati di decorare edifici pubblici e non vi è dubbio che la suggestione alla esperienza muralista iniziata negli anni ’40 sia accompagnata dalla sua profonda ammirazione per l’opera intellettuale ed artistica di Mario Sironi che Avenali conoscerà a Cortina nel 1950 e con il quale intratterrà sempre un rapporto di salda amicizia.
L’adesione spirituale alla Scuola Romana, le frequentazioni con gli artisti che come lui avevano studio a Villa Strohl-Fern conducono Avenali in quegli anni ad una pittura più tonale, su una campitura cromatica più larga e su un effetto più espressionista (Case tra gli alberi, 1949). Notevole negli anni ’50 una ulteriore originale deviazione stilistica che porterà l’Artista sia ad affrontare ardui problemi tecnici e stilistici, sia ad elaborare una serie di vedute di Roma, incentrate sugli aspetti barocchi, architettonici e scultorei della città (Piazza Navona, 1952): le immagini di questo periodo sono la prova indiscutibile di un superamento della veduta paesaggistica colta dal vivo ed impregnata di partecipazione emotiva; esse introducono nel percorso intellettuale di Avenali la motivazione di andare oltre l’immagine reale. La partecipazione alla VII edizione della Quadriennale di Roma de 1955-56 vede l’Artista giungere ad un “realismo post-cubista, tutto in bilico tra realtà ed astrazione” (L. Trucchi): progressivamente l’oggetto viene a perdere la sua conformazione fisica ma non la concretezza della sua presenza, ed il colore costruisce cose e spazio con la stessa intensità.
Iniziano negli anni ’60 le prime prove dell’uso del collage di carta, nei quali Avenali si abbandona a giochi compositivi di grande suggestione che negli anni ’70 raggiungono una nuova tappa creativa, con i famosi ritagli di stoffa e carta incollati e tenuti insieme da punti metallici (Senza titolo, 1970). Le sempre nuove sperimentazioni non fanno tuttavia dimenticare all’Artista la figura, di nuovo esaltata in grandi e piccole composizioni: Avenali si concentra in un muto dialogo con la modella, alla ricerca di una mai esaurita sensualità, di una profonda intimità che nello stesso tempo in cui scopre e delinea il corpo femminile lo profana e lo abbrutisce, svelandolo nella caducità delle sue forme. Si giunge così all’ultimo periodo della vita dell’Artista quando, abbandonata la sperimentazione materica, egli si concentra sulla figura femminile, vista come indispensabile compagna di vita e al tempo stesso come temibile allegoria di depravazione e disfacimento fisico.
Luigi Montanarini
(Firenze 1906-Roma 1998)
Ha lasciato in basilica:
19 e 53 Due vetrate a metà della chiesa
Nasce a Firenze da Stefano e da Maria Cianchi. Nel 1925, durante una delle frequenti visite agli Uffizi, incontra casualmente e conosce il pittore Maurice Denis. Nello stesso anno effettua il suo primo soggiorno in Francia.
Nel 1927 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze e comincia il legame artistico ed affettivo con Felice Carena, suo maestro di Pittura. Dimostra subito grande amore per i classici e per i maestri dell’Ottocento, da Courbet a Paul Cézanne e Pierre-Auguste Renoir.
Quattro anni più tardi consegue il Diploma di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e compie il suo secondo viaggio in Europa. Visita due volte l’Olanda dove rinnova il suo interesse per Rubens, Van Gogh e Rembrandt.
Successivamente visita Zurigo e si recca per la seconda volta a Parigi, dove conosce Gino Severini e rinsalda la sua amicizia con Alberto Magnelli, conosciuto a Firenze. Nella stessa città incontra e frequenta vari artisti fra cui Picasso ed ha numerosi scambi con i pittori Jacques Villon e Alfred Manessier.
Nel 1932 vince il Pensionato Artistico Nazionale per la sezione Pittura insieme a Pericle Fazzini, che vince il premio nella sezione Scultura.
Aderisce alla Scuola romana (novecento) insieme alla quale espone alla Galleria “La Cometa” di Roma. Conosce Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Afro Basaldella, Mirko Basaldella, Emanuele Cavalli, Alberto Ziveri e Mario Mafai. Stringe amicizia con Emilio Villa, Guido Piovene e Alfonso Gatto.
L’anno seguente, alla fine della guerra, fonda assieme a Pericle Fazzini, Enrico Prampolini, Joseph Jarema e Virgilio Guzzi, l’ Art Club con sede in via Margutta 53. Conosce e frequenta Lionello Venturi, ritornato in Italia dopo l’esilio del periodo fascista.
L’anno 1956 segna l’inizio del suo periodo informale.
Nel 1965 diventa direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Roma e membro dell’UNESCO, cariche che manterrà fino al 1976.
Luigi Montanarini muore e Roma il 7 gennaio 1998, nella sua casa di via di Monserrato.
Venanzo Crocetti
(1913-2003)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
58. Grande crocifisso
60. Via crucis
Venanzo Crocetti nasce a Giulianova il 3 agosto del 1913. A soli cinque anni disegna già in
maniera prodigiosa, decorando con il suo carboncino le pareti di casa e delle strade del suo
paese.
Sin da bambino la vita gli riserva pesanti sofferenze: tra il 1923 e il 1925 perde entrambi i
genitori ed è costretto a lasciare Giulianova per trasferirsi a Portorecanati presso la casa di uno zio
paterno. Torna nella sua città d’origine l’anno successivo, quando viene affidato ad un’altra famiglia ed iscritto alle scuole industriali. A quindici anni si trasferisce a Roma dove, sorretto da un insaziabile desiderio di apprendere, inizia una intensa attività di formazione, che lo vede alternare il lavoro allo studio in maniera instancabile.
La mattina lavora ai restauri in alcune istituzioni private nella Cappella Sistina; il pomeriggio studia, disegna e frequenta l’Accademia serale di inglese e francese.
Dal 1930 inizia a visitare il Giardino Zoologico, dove osserva le varie tipologie di animali dal vero e dove ritrae la tigre con la quale partecipa alla Mostra
Nazionale dell’Animale nell’Arte.
Lo studio duro e la dedizione totale al mondo dell’arte danno presto i loro frutti, ponendo il Crocetti all’attenzione dei critici come grande scultore sin dalle sue prime esternazioni artistiche. Nel 1932 vince il concorso di scultura dell’Accademia di San Luca; nel 1934 viene invitato alla Biennale di Venezia, che vincerà quattro anni più tardi; partecipa a molte Quadriennali d’Arte di Roma, dove viene premiato nel 1941.
Alla fine degli anni ’50 ottiene le prestigiose cattedre di scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia (come successore di Arturo Martini), di Firenze e di Roma.
Nel 1950 partecipa al concorso per la realizzazione delle porte della Basilica di San Pietro e se ne aggiudica una, la Porta dei Sacramenti. Ad essa, inaugurata nel 1966 da Paolo VI, Crocetti lavora per quindici anni.
Successivamente gli viene commissionata la Via Crucis per la nuova Basilica di San Giovanni Bosco a Roma.
Nel 1968 completa un’altra importante opera, il monumento dedicato ai “Caduti di tutte le guerre”, commissionato al Crocetti dal sindaco di Teramo e destinato ad essere posto in una delle piazze della città. Ad esso segue, dopo alcuni anni, il grande gruppo equestre del Giovane Cavaliere della Pace.
Nel 1989 la statua viene presentata in concomitanza con il quarantacinquesimo anniversario del lancio della prima bomba atomica e da quella data inizia un percorso portatore di pace che parte con una mostra ad Hiroshima.
Nel 1966 insegna all’Accademia di Roma e nel 1972 è nominato Presidente dell’Accademia di S. Luca.
Venanzo Crocetti muore nel 2003 nella sua casa-museo, divenuta sede della Fondazione in suo nome. Al suo interno si conservano molte delle sue opere, testimonianza concreta di un intenso percorso artistico dalla dimensione internazionale, moderna e pur sempre carica di umanità.
Augusto Ranocchi
(Urbania 1931 – vivente)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
56. Quadro altare S. Pio X;
61, 63. mosaici dei fascioni delle cupole
L’artista nasce a Urbania. Frequenta l’Istituto statale d’arte e il corso di perfezionamento del professor Carlo Ceci a Urbino. Nel 1951 si trasferisce a Roma, dove si iscrive al corso di pittura tenuto da Efisio Oppo all’Accademia di
Belle Arti.
Nel 1953 gli viene commissionato il primo lavoro a soggetto sacro di un certo impegno, due grandi murali per la chiesa di San Silvestro a Fano. Tra le tante opere realizzate per la committenza religiosa, ricordiamo il mosaico absidale (280 mq) per la chiesa Madonna di Fatima a Milano e i quasi contemporanei mosaici per i tamburi delle cupole della basilica di San Giovanni Bosco a Roma (500 mq).
Docente di Decorazione alle Accademie di belle arti di Frosinone e di Roma, si dimette nel 1984. Vive e lavora per lungo tempo negli Stati Uniti, presentando le sue opere in 12 mostre personali.
Continua ad affiancare all’impegno nella propria libera espressione artistica una serie di lavori d’arte sacra: sculture, vetrate, mosaici. Sue opere sono a Manila (Filippine), negli Stati Uniti, in diverse località della ex Jugoslavia, in Romania, in Costa d’Avorio. Molte quelle presenti in Italia. Ha realizzato finora 11 porte di bronzo: l’undicesima è quella per il Tempio Votivo dello Spirito Santo di Urbania.
Nel 2001 una serie di mostre, tra cui una personale ospitata nella Casa di Raffaello e nella Sala del Castellare a Urbino, un’altra allestita nel Palazzo Ducale di Urbania e nel Palazzo Ducale di Urbino, lo riavvicinano alla sua terra
natale.
Scrive Carlo Bo: “L’artista si esprime con la stessa disinvoltura nella ceramica, nella scultura, nell’incisione, nella pittura, e in ogni tecnica compare un punto luce di riferimento, che è la stella polare, l’orientamento per la società smarrita.”
Emilio Notte
(Ceglie Messapica 1891 – 1982)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
51. Quadro altare San Giuseppe
Emilio Notte è nato il 30 gennaio 1891 da genitori veneti, il padre era di Marostica, la madre era vicentina, giunti a Ceglie Messapica perché Giovanni Notte, Ricevitore del Registro, era stato inviato a reggere il locale Ufficio. Da Ceglie, i Notte si trasferirono a Lagonegro, Serino e Bovino, dove Emilio frequentò le ginnasiali, a Sant’Angelo dei Lombardi dove, invece, frequente il locale liceo. Risale di questo periodo il suo interessamento alla pittura e dipinge tutto quello che vede, da portoni a stemmi gentilizi, da ritratti a paesaggi, dimostrando una abilità innata. Il padre, colpito dalla maestria del proprio figliolo, lo accompagna a Napoli presso lo studio di Vincenzo Volpe, Direttore dell’Accademia di Belle Arti, succeduto al Morelli alla direzione della prestigiosa Accademia. I lavori presentati a Volpe ebbero un’accoglienza straordinaria, tanto che, Notte lasciò gli studi liceali e si trasferì a Napoli, accompagnato da una sorella della madre e prese in affitto un paio di stanzette ai Guantai, alle spalle di Toledo. E’ il 1906, e Notte ha appena 15 anni. Restò a Napoli poco più di un anno, perché un nuovo trasferimento portò il genitore a Prato nel 1908. E’ in questa città che si sviluppa veramente l’arte pittorica del promettente artista.
Prato vuole dire il contatto con l’ambiente fiorentino, ma, soprattutto, l’incontro con la pittura di Filippo Lippi e il ciclo degli affreschi absidali nel duomo. Si iscrisse, quindi, all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1906. Durante il primo anno frequentò il corso normale, mentre negli anni successivi passò ai corsi speciali di Disegno Ornato. Si diplomò il 20.06.1912.
Durante la stagione fiorentina, fra i maestri ebbe Aristide Sartorio, frequentò lo studio di Fattori che, per primo, lo iniziò alla conoscenza dei nuovi movimenti pittorici europei.
Dal 1912, partecipò al gruppo futurista. A Firenze, con Lucio Venna, firmò il manifesto sul “Fondamento Lineare Geometrico”, documento non di enunciazione generiche o velleitarie, ma di contenuti chiari e concreti che, in avvenire, saranno alla base dell’impianto di tutte le sue pitture. A cause del Primo Conflitto Mondiale ebbe nel percorso artistico dolorose interruzione. Dipinse opere di capitale per lo sviluppo e l’affermazione della sua personalità già vicina alla piena maturazione.
Il periodo romano, durante il quale, vinse, nel 1922 il Pensionato Nazionale, che segnò, comunque una sosta nel suo lavoro. Al suo arrivo a Napoli nel 1929, questa non gli apparve più come il centro che aveva visto al suo primo incontro. L’impatto di Notte con l’ambiente culturale napoletano fu molto violento. Era stato designato alla cattedra di pittura ma, incontrò tante difficoltà che fu costretto a ripiegare su quella di decorazione.
Notte diede subito battaglia, assunse per assistente un architetto e indirizzò gli alunni alle esperienze anche le più audaci e temerarie. Era abituato a combattere vecchie concezioni artistiche ma anche sociali, perché aveva alle spalle un bagaglio di conoscenze che gli permettevano di gareggiare, con i maggiori esponenti della cultura dell’epoca. Lo aveva già dimostrato nei salotti della Sarfatti, ma anche con Malaparte, Settimelli, Binazzi ed altri, nella Milano di inizio secolo (dove si era trasferito e sposato), prendendo in affitto uno studio in via Arena fuori Porta Ticinese. Nel suo studio passarono Ada Negri e la Sarfatti, ma anche Carrà e Severini, Marinetti e Mazza.
In contrasto con questo mondo, Notte inizia anche la sua militanza politica nel PCI. Le disavventure napoletane, l’amarezza di tanti anni di lotta non lo fanno recedere, ed infatti, rimane a Napoli sino alla morte, insegnando all’Accademia, di cui è stato anche Direttore, sino al 1963, anno di collocamento in pensione. Emilio Notte, Professore all’Accademia, maestro di varie generazioni di pittori, da quella di Mario Colucci ai giovani del gruppo ’58, annovera anche fra i suoi allievi persico, Del Pezzo, Fergola, Biasi Alfano, De Ruggiero ed altri. Sempre legato alla sua città natale, le volle testimoniare il suo affetto, donando al Comune di Ceglie, per costruire una Galleria d’Arte Moderna che porta il suo nome, alcuni dei suoi dipinti più famosi. Suoi quadri si trovano in Musei e Gallerie nazionali ed internazionali.
Emilio Notte è morto a Napoli il 7 luglio 1982.
Silvio Consadori
(1909-1994)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
54. Quadro altare di San Carlo Borromeo
Silvio Consadori ebbe una brillante formazione e carriera presso l’accademia di belle arti di Roma, faceva parte del folto gruppo degli artisti “milanesi” sbarcati a Burano al seguito di Vergani e Vellani Marchi. Ospiti di quel grande personaggio che è stato Romano Barbaro, amico dell’arte e degli artisti, sempre pronto ad offrire un pasto a chiunque maneggiasse matite e colori.
Era nato nel 1909 e a Burano era arrivato la prima volta nell’estate del 1935, in “tempi difficili per i giovani pittori”, come egli stesso ha ricordato in una occasione. Per non staccarsene più perchè, come ha scritto nel 1989 nel libro omaggio a più voci al mitico Romano, aveva “trovato a Burano una luce stregata ed un ambiente ricco di valori umani che ancora oggi, dopo oltre cinquant’anm di ininterrotta frequentazione dell’isola, mi legano ad essa, ai suoi colori, ai suoi abitanti, tanto da farmi sentire un autentico buranello”. E in effetti anche la sua pittura ne aveva risentito, stemperando certe “durezze compositive” nella luce diffusa ed avvolgente della laguna.
Si era misurato anche con temi sacri ed aveva partecipato a qualche edizione della Biennale d’Arte sacra di Venezia anche se, in questo campo, il suo impegno più importante è stata la decorazione della Cappella privata di Paolo VI, cui era legato da personale amicizia, in Vaticano.
Rolando Monti
(Cortona 1906 – Roma 1991)
Ha lasciato nel Tempio di Don Bosco:
26. Vetrate sotto tribune lato sud
Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, fu allievo di Felice Carena. Partecipò attivamente alle Beinnali di Venezia ed alle Quadriennali di Roma, nell’ambito delle quali gli venne allestita nel 1956 una personale con nuove opere. Alcuni suoi dipinti sono presenti nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna e presso le raccolte civiche del Campidoglio a Roma.
Passato negli anni ’30 attreverso l’esperienza della pittura tonale romana, a seguito della sua amicizia con Capogrossi e Cavalli, l’artista si è poi rivolto al fauvismo ed al cubismo, fino a giungere, dopo il 1950, alla svolta astrattista.