Un ragazzo di famiglia molto ricca frequentava, come esterno, i cortili dell’Oratorio di Valdocco e gli ultimi anni di ginnasio nella città di Torino. Ma la sua famiglia era stata molto debole con lui; l’avevano per così dire allevato nella bambagia. Non gli avevano mai rifiutato nulla. Un giorno scompare improvvisamente: eclissato. Come mai? Il babbo l’aveva rimproverato perché si era dato a letture molto equivoche, con danno dei suoi studi; era sceso infatti negli ultimi posti della graduatoria scolastica. Per di più, chiamava i suoi genitori «vecchi rincitrulliti».
Papà e mamma corsero a piangere da Don Bosco e pregarlo di aiutarli a rintracciare il loro figlio. Il ragazzo intanto si era rifugiato in una casa di contadini a Superga e aveva chiesto un lavoro qualsiasi pur di avere un tozzo di pane. Ma si sentiva a disagio perché troppo vicino alla città; una battuta della polizia l’avrebbe facilmente beccato e ricondotto a casa. Dopo quindici giorni venne dirottato più lontano, a Sciolze, dove un amico compiacente dei contadini di Superga l’accolse come garzone, con un salario di fame. A Sciolze si fece chiamare Giuseppe e vi rimase due anni in perfetto incognito. Un giorno Don Bosco giunse lì in compagnia del conte di Rovasenda di cui era ospite. Don Bosco vide quel ragazzo maneggiare la falce in un prato sottostante e lo riconobbe. Ma anche Francesco riconobbe Don Bosco e subito se la svignò con un fagotto sotto il braccio. Si buttò nella valle di Lanzo e vi fece di volta in volta prima il pastore, poi il contadino, il sacrestano, l’ambulante, sempre all’erta. Dopo un anno Don Bosco andò a Sant’Ignazio sopra Lanzo per un corso di esercizi spirituali. Affacciatosi al parapetto della chiesa vide una fila di mendicanti che attendevano gli avanzi della cucina; e tra questi, sporco e affamato, anche Francesco. Don Bosco si ritrasse subito e organizzò una retata per acciuffarlo.
Quando ricomparve al parapetto e lo chiamò: « Francesco» il ragazzo ebbe un balzo e fuggì. Ma finì in mano agli uomini che, disposti da Don Bosco, l’attendevano al varco. Piangeva. Era infelicissimo. Si dichiarò pentito. Ma come fare con i genitori? Don Bosco lo confortò: ci avrebbe pensato lui a preavvisarli e a rabbonirli. Il ragazzo dormì a Lanzo e poi fu ospitato a Torino da Don Bosco. Nelle camerette di Don Bosco rivide i suoi genitori convocati per l’incontro. Fu un abbraccio lungo e commosso.
Le Memorie Biografiche di Don Bosco riferiscono che «Francesco riprese gli studi e, col grande ingegno che aveva, in pochi anni ricuperò il tempo perduto, si laureò in legge e salì a una delle più eminenti cariche dello Stato».
Il dottor Litin, capo del reparto psichiatrico della clinica Mayo in America, afferma che molti genitori hanno paura di dire di no ai figli, hanno paura di dare ordini e di punire perché temono di perderne l’affetto. E più un matrimonio è in condizioni precarie, più i genitori abdicano alle loro responsabilità. La moglie che sente di non avere più l’amore del marito cerca una compensazione sui figli con un’indulgenza eccessiva e una generosità illimitata nei loro riguardi. Il marito che si sente trascurato, fa lo stesso. E quando si cerca di comperare l’affetto, il prezzo sale. I ragazzi imparano molto presto che il ricatto sentimentale può essere redditizio.
Non si possono educare i ragazzi senza disciplina, e la disciplina deve cominciare subito. Il ragazzo approfitta immediatamente di un vuoto di potere. I ragazzi hanno bisogno di sapere che in famiglia c’è qualcuno più forte e più saggio di loro. Occorre essere espliciti quando le circostanze lo richiedono e dirgli chiaramente: «No, non lascio andare». Forse il vostro ragazzo protesterà aspramente e vi accuserà di umiliarlo, di farlo apparire bimbo in fasce agli occhi degli amici. Ma nel suo intimo sarà contento che lo amiate al punto di rischiare la sua collera e che abbiate la forza di proteggerlo contro la sua sventatezza e la sua inesperienza.
I ragazzi provano di continuo a vedere fin dove possono arrivare impunemente e fino a che punto i genitori sono disposti a lasciarli fare. In segreto, però, sperano che non gli si permetta di spingersi troppo oltre. È la loro tattica.
Il genitore o l’educatore che cerca di conquistarsi l’affetto del ragazzo dandogli qualunque cosa e lasciandogli fare quello che vuole, perde su tutti i fronti. Finisce addirittura con l’essere incolpato quando le cose vanno male. «Perché me l’avete lasciato fare? – chiede il ragazzo. Che razza di uomini siete?». Diceva Don Bosco: «Non è ciò che fate per i vostri ragazzi, ma ciò che gli insegnate a fare: questo conta e questo li aiuterà a divenire buoni cristiani e onesti cittadini».
(da EDUCHIAMO COME DON BOSCO – Carlo De Ambrogio)