Don Bosco entrò un giorno in una barbieria di Torino per farsi radere la barba. Vi trovò un ragazzetto che faceva l’apprendista.
- Come ti chiami? – gli chiese subito Don Bosco.
- Mi chiamo Carlo Gastini.
- Hai ancora i genitori?
- Ho soltanto la mamma.
- Quanti anni hai?
- Undici.
- Hai già fatto la prima comunione?
- Non ancora.
- Vai al catechismo?
- Quando posso, vado sempre.
- Bravo, bravo. Adesso tu mi devi fare la barba.
- Per carità – interloquì il padrone, – non si arrischi, reverendo. Questo ragazzo è da poco tempo che impara. E’ appena capace di radere la barba ai cani.
- Non importa – rispose calmo Don Bosco; – se il ragazzo non comincia a provare non imparerà mai.
- Mi scusi, reverendo: la prova, se occorre, gliela laccio fare sulla barba di un altro, non su quella di un prete.
- Questa è curiosa! Ma la mia barba è forse più preziosa? Niente paura, signor barbiere. (Qui Don Bosco rivelò il suo nome e poi giocando scherzosamente sul cognome aggiunse): La mia barba è barba d’ Bosch (bosch in piemontese significa « legno »). Mi basta che non mi tagli il naso.
Il ragazzetto apprendista ci si provò. Don Bosco subì imperturbabile il collaudo. « Non c’è male – disse alla fine, – non c’è male. Un po’ per volta diventerai un famoso barbiere ». Scherzò ancora con Gastini, poi gli lanciò l’invito di venire all’Oratorio la domenica seguente; il ragazzo glielo promise.
Pagò il padrone e uscì. Lungo la strada ogni poco Don Bosco si lisciava la faccia che gli doleva e gli bruciava.
Ma era contento di aver conquistato un ragazzo. Carlo tenne la parola; la domenica seguente eccolo puntuale all’Oratorio. Don Bosco lo elogiò, lo fece giocare con gli altri ragazzi. Terminate le funzioni religiose, gli disse una delle sue celebri paroline all’orecchio; poi lo condusse in sacrestia, lo preparò convenientemente e ne ascoltò la confessione. Fu tanta la commozione di Carlo che a un certo punto scoppiò a piangere. Anche a Don Bosco vennero sugli occhi le lacrime. Da quel giorno l’Oratorio divenne per Carlo Gastini la sua seconda casa.
Ecco come Don Bosco conquistava i giovani: sapeva dare fiducia e attirarli a sé per educarli e portarli a Dio. Scrisse con umorismo uno psicologo: « Educare i ragazzi è facilissimo se si ha la pazienza di un certosino, i nervi di un astronauta e poco bisogno di sonno ». Meglio sarebbe dire: « Educare i ragazzi è facile per chi sappia dare loro fiducia e amarli veramente fino al sacrificio di sé ».
Qual è il maggiore ostacolo ai buoni rapporti tra educatori e ragazzi? Ordinariamente, è ostacolo l’incapacità di amare i giovani fino al sacrificio. I genitori spesso fanno consistere il loro amore nel procurare ai figli ogni benessere materiale, mentre essi cercano ben altro. Essi vogliono trovare nei genitori gli amici a cui confidare i problemi personali, la guida sicura nelle difficoltà che la vita presenta loro con il crescere dell’età.
Ma il primo passo lo debbono sempre fare i genitori. E’ difficile che i figli riescano a farlo per primi. Lo stesso si può dire degli educatori. Non basta, ad esempio, essere un buon insegnante per educare il ragazzo; bisogna amarlo, e dimostrargli in modo convincente il proprio affetto.
Gli adolescenti si dimostrano spesso disinteressati o addirittura irriverenti in fatto di religione. Come fare?
Un po’ è causa dell’età, un po’ della società in cui vivono. Un po’ è anche colpa degli educatori, che raramente sanno presentare l’autentica religione del Vangelo. I giovani respingono d’istinto una religione fatta solo di leggi, di divieti e di minacce. Ma questa non è la religione di Gesù Cristo.
Quali mete debbono additare ai giovani i genitori e gli educatori?
Anzitutto occorre aiutarli a diventare uomini maturi e responsabili. Poi a convincersi che senza Dio e senza fede la vita diventa un rebus inestricabile e insostenibile. E’ bene guidarli a fare da se stessi tali scoperte. Per esempio, dato che si parla tanto di « amore»: invitarli a scoprire dove c’è amore autentico e dove non c’è. I risultati della loro indagine troveranno la conferma divina nel Vangelo ed essi cominceranno ad apprezzarlo
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio