I giovani erano sempre nella mente e nel cuore di Don Bosco. Verso la fine del mese di maggio del 1867, non riuscendo a dormire, pensava ai suoi ragazzi e diceva tra di sé: « Potessi sognare qualche cosa che riuscisse di vantaggio ai miei giovani! ». Subito dopo, vide un immenso gregge di pecore in una pianura sconfinata, a tratti fertile, a tratti sabbiosa. Domandò alla guida del sogno: «Ma chi provvede a quel gregge?». Gli fu risposto: «A queste pecore tu non ci devi pensare».
Poi fu condotto in una prima zona dov’erano raccolti migliaia e migliaia di agnellini. Le pecore significavano gli adulti; gli agnellini, i ragazzi: per questi giovani Dio mandava Don Bosco. Don Bosco li osservò: vide che erano magri e sofferenti, coperti di piaghe e, cosa stranissima, portavano due grosse e lunghe corna. Di colpo, vide in ciascuno di loro sovrapporsi l’immagine di ragazzi presenti che ben conosceva e di ragazzi futuri che non conosceva ancora. Soffriva a quello spettacolo.
Poi la guida lo condusse in un secondo recinto, discosto e appartato; in un prato delizioso vide tantissimi altri ragazzi, in piena allegria, che con i fiori del prato si tessevano una veste stupenda.
In un terzo prato costellato di fiori incredibilmente belli, tali da parere un giardino fiabesco, vide moltissimi ragazzi di folgorante bellezza, di uno splendore da mozzare d fiato. La guida gli sussurrò: « Guardali. Sono i ragazzi che conservano il giglio della purezza; sono ancora vestiti di innocenza ». Don Bosco li contemplò estasiato: le parole umane non possono esprimere la fulgente bellezza di quei giovani; uno spettacolo da sogno! « Di’ ai tuoi ragazzi – continuò la guida – che se essi conoscessero quanto è preziosa e bella agli occhi di Dio l’innocenza e la purezza, sarebbero disposti a fare qualunque sacrificio pur di conservarla».
Ecco un argomento che fu sempre importante per Don Bosco: l’educazione dei giovani alla purezza.
E’ problema cruciale. Occorre evitare due esagerazioni: il non parlarne affatto e il drammatizzare il problema. Che cosa vuol dire « educare alla purezza »? Vuol dire formare dei ragazzi limpidi e semplici, anime sane in corpi sani; ragazzi e ragazze che si rispettano e che si fanno rispettare, coscienti dei pericoli e delle tentazioni possibili, consapevoli del piano di amore di Dio su di loro e delle esigenze impegnative che richiede la loro collaborazione all’opera meravigliosa di Dio nel dare la vita.
Scriveva un grande educatore, mons. Besson, a un padre di famiglia: «Il tuo fanciullo, per quanto riguarda la nascita, ha il diritto di sapere la verità, ma progressivamente, in modo adatto alla sua intelligenza e al suo temperamento. L’ignoranza non è virtù; tu devi insegnare ai tuoi figli quelle cose che hanno bisogno di sapere e quindi che hanno diritto di non ignorare». E il cardinai Verdier aggiungeva: « Noi riteniamo che le sane iniziazioni, fatte con i debiti accorgimenti da parte dei genitori, sono da ritenersi come un obbligo, che può imporsi a nome della carità e anche della giustizia.
Il silenzio dei genitori, quell’aura di mistero con cui avvolgono il problema, può essere causa della deformazione della coscienza dei loro figli. Il fanciullo che non viene opportunamente illuminato e avvertito rischia di vedere il male dove non c’è e di non vederlo dove c’è.
Ogni fanciullo normale, un giorno o l’altro, e spesso molto più presto di quanto lo pensino i genitori, si pone questa semplicissima domanda: «Come sono venuto al mondo io?». Non è una curiosità malsana; è piuttosto una prova di intelligenza.
Se i fanciulli non ottengono dai genitori o da una persona autorizzata la soluzione alle domande che essi si pongono, la cercheranno altrove oppure la riceveranno in modo incompleto, brutale e avvilente.
E’ un gravissimo dovere dei genitori vegliare sulla purezza dei loro figli. Questa educazione comporta una risposta vera e progressiva alle domande sull’origine della vita; comporta avvisi opportuni al tempo delle trasformazioni all’età di circa tredici anni; comporta, in un clima di confidenza e di amore, un’assidua vigilanza per insegnar loro l’equilibrio e il dominio di se stessi nell’età critica dell’adolescenza; ma soprattutto esige la preghiera e il frequente contatto sacramentale con Cristo.