E’ una sera piovosa di maggio. Sulla città di Torino si sta abbattendo un temporale. Don Bosco ha appena cenato quando bussano alla porta. Chi può essere a quell’ora? E’ un ragazzo sui quindici anni, bagnato da capo a piedi.
- Da dove vieni? – gli chiede Don Bosco.
- Da Valsesia – risponde il ragazzo, che si mo¬stra timido e impacciato ma che ha un volto tanto buono. E gli racconta:
- Avevo tre lire, ma le ho già spese e non sono riuscito a guadagnare nulla…
- E adesso dove vuoi andare?
- Non so. Mi lasci stare qui…
E scoppia a piangere. Don Bosco esita un pochino, perché in precedenza altri ragazzi da lui accolti se ne erano scappati portandogli via anche le coperte.
- Se sapessi che tu non mi vuoi derubare…
- Oh, no, signore. Sono povero, ma non ho mai rubato.
- Allora vieni. – Don Bosco gli dà la cena; poi gli prepara un letto lì in cucina, gli rimbocca le coperte e gli sussurra:
- Adesso diciamo insieme le preghiere. Vuoi? Chie¬diamo al Signore che ci aiuti a pregare.
Il ragazzo fa cenno di sì con la testa. Don Bosco e quel ragazzo orfano pregano il Padre che è nei cieli, pregano Gesù che li ha amati sino alla croce e espri¬mono il loro amore confidente alla Madre Celeste. In quella notte piovosa di maggio Don Bosco senza saperlo inaugurava la sua prima casa per ragazzi poveri.
• Occorre insegnare ai ragazzi a chiedere a Dio la grazia di pregare. La preghiera, questa fiamma in noi che sale verso Dio, bisogna domandarla come il profeta Elia che implorava il fuoco dal cielo sulle legna del sacrificio accumulate sull’altare. Occorre chiedere con perseveranza e con umiltà.
• Occorre far capire ai ragazzi che il voler pregare è già pregare. Cioè, l’essenziale della preghiera è la volontà. Quando il nostro essere profondo si volge verso Dio e si abbandona a Lui liberamente e volutamente, allora scaturisce la preghiera vera, anche se la nostra sensibilità è inerte, anche se la nostra riflessione è povera, anche se la nostra attenzione è involontariamente distratta.
• Don Bosco spiegava ai suoi ragazzi che Dio è dentro di noi. E’ lì che ci dà appuntamento e che ci attende durante la giornata, oltre che nella chiesa. Per far comprendere questa grande realtà ai loro bimbi, le mamme indù in India raccontano la leggenda del capretto: « C’era una volta nelle montagne dell’Hima¬laya un capretto muschiato. Appena crebbe rimase col¬pito dal profumo dolcissimo del muschio. Vagabondò di giungla in giungla all’inseguimento di quel filo di profumo. Rinunciò a mangiare, a bere, a dormire. Non sapeva donde venisse quel richiamo di profumo; lo inseguiva, perché ne era affascinato. Alla fine, stremato di forze, inciampò e precipitò da una roccia. Il suo ultimo atto prima di morire fu di leccarsi la ferita. Si accorse che si era rotta la tasca di pelle che conteneva la ghiandola del muschio; da lì esalava il pro¬fumo. Troppo tardi ormai. Figli miei – concludono le mamme indù – non cercate al di fuori di voi il profumo di Dio per morire nella giungla della vita; cercatelo nella vostra anima e lì lo troverete ».
Dio dentro di noi non è un Dio silenzioso; egli parla. Ma per ascoltarlo bisogna fare silenzio. La preghiera consiste appunto nel pensare a Dio, nel parlargli dolcemente, nel presentargli, perché le benedica, tutte le persone che noi incontreremo durante d giorno.
Diceva Don Bosco agli educatori: «Chi ha vergogna di esortare alla pietà è indegno di essere maestro». E ancora: «Quando i ragazzi ameranno la preghiera, noi educatori avremo adempiuto uno dei nostri obblighi più importanti. Perciò il tempo che noi impieghiamo per educare i giovani alla preghiera è il meglio utilizzato; assai più del tempo che noi impieghiamo per istruirli e divertirli».