Giovannino Cagliero aveva tredici anni quando per la prima volta incontrò Don Bosco a Castelnuovo di Asti. Era il primo di novembre del 1851, festa di tutti i Santi. Don Bosco contava allora 36 anni.
- Mi pare che tu abbia qualcosa da confidarmi – gli buttò lì con un sorriso Don Bosco, quando si accorse che quel ragazzo gli ruotava attorno indeciso.
- Veramente, sì, – rispose il ragazzo.
- Hai qualche desiderio?
- Vorrei venire con lei a Torino… e stare sempre con lei.
Bastò lo sguardo di Don Bosco per rendere inflessibile la decisione di Giovannino. Alla mamma del ragazzo, la sera di quel giorno Don Bosco azzardò:
- E’ vero che volete vendermi vostro figlio?
- Venderlo, no. Piuttosto glielo regalo.
La sera del 2 novembre, giorno dei Morti, Giovannino Cagliero entrava definitivamente nell’Oratorio di Valdocco a Torino. Don Bosco lo presentò alla sua buona mamma Margherita:
- Ecco, mamma, un ragazzetto di Castelnuovo: ha ferma volontà di farsi buono e di studiare. (Con quelle parole Don Bosco rafforzava indirettamente la decisione del ragazzo, che non si lasciò più smuovere).
- Oh, si – interloquì la mamma, – tu non fai altro che cercare ragazzi, mentre sai che manchiamo di posto e di locali.
- Ma via, mamma, qualche cantuccio lo troverai – ribatté Don Bosco.
- Sì, lo metteremo nella tua stanza.
- Non è poi necessario. Questo ragazzo, come vedi, non è grande; lo metteremo a dormire nel canestro dei grissini e con una corda lo attaccheremo a una trave, alla maniera di una gabbia per canarini.
Il ragazzo non si staccò più da Don Bosco. Si fece prete e salesiano, fu missionario prestigioso nella Terra del Fuoco, poi vescovo e cardinale.
Il tormento della scelta tortura il ragazzo durante la cosiddetta « pubertà psichica ». Occorre che qualcuno (educatore o familiare) lo guidi su quei difficili binari. Da fanciullo, le responsabilità della scelta ricadevano in gran parte sui suoi genitori e educatori. Da ragazzo, deve lui affrontare il rischio di dover decidere, pur mancando di tante conoscenze specifiche che garantirebbero la bontà della sua decisione. È naturale che i ragazzi si rivolgano a persone di loro fiducia per avere una qualche direttiva o un consiglio.
Il ragazzo va preso sul serio. La necessità di operare delle scelte appartiene al destino dell’uomo; la capacità di operarle è un segno di progressiva maturazione interiore. Per ogni decisione non è tanto essenziale una visione vasta e dettagliata del problema, quanto piuttosto una certa forza interiore: la forza di decidere; e una certa dose di coraggio: il coraggio di accettare il rischio.
Nessun ragazzo dovrebbe vedersi strappare dagli educatori il diritto a operare le proprie scelte. Genitori e educatori devono guidare e allenare il ragazzo a decisioni autonome. Si noterà allora con quale serietà e intelligenza il ragazzo accetta il rischio, un rischio costruttivo basato sulla conoscenza dei fatti e guidato dal ragionamento, e quanto vivamente desidera rivolgersi per consiglio ai propri educatori. « Se dedicassimo allo studio del modo di affrontare i rischi – nota uno psicologo – metà del tempo che passiamo a cercare di evitarli, non avremmo molto da temere dalla vita ».
Alcuni ragazzi, incapaci di accettare ogni forma di rischio, non fanno che tergiversare senza decidersi, lasciandosi semplicemente trascinare dalle circostanze. Eppure talvolta saranno costretti a correre un rischio per evitare una catastrofe. Uno studioso racconta di una crociera nel mare con alcuni amici che avevano un panfilo a vela. « Il secondo giorno di navigazione incontrammo mare grosso e sentimmo alla radio che una violenta burrasca si scatenava addensando proprio sulla nostra rotta. Virammo di bordo e ci dirigemmo con tutta la forza del nostro motore ausiliario al porto dal quale eravamo partiti. Eravamo a meno di due chilometri dal molo e già vedevamo lampeggiare il faro che segnava l’ingresso alla salvezza quando la burrasca ci raggiunse. Mentre ringraziavo il Signore di essere quasi arrivati a sfuggire il pericolo, con mio stupore il timoniere invertì la rotta e puntò diritto al centro della tempesta. “Certo, è un rischio – mi gridò in risposta alla mia protesta – Ma è sempre meglio che fracassarci su quegli scogli”. Alcune ore dopo, quando la tempesta si calmò entrammo in porto; vidi i rottami dei natanti e dei pescherecci sbattuti contro le banchine. Quell’uomo aveva imparato in molti anni di navigazione che si poteva raggiungere la salvezza soltanto correndo un grave rischio. L’alternativa è indilazionabile: agire o subire ».
Avventurarsi significa rischiare di avere spesso molti guai ma non avventurarsi e rimanere indecisi significa perdere e rovinare se stessi», disse il filosofo danese Kirkegaard. Ogni buon educatore, come Don Bosco, sa opportunamente guidare il ragazzo a decidere e ad avventurarsi nel rischio. Dopo tutto, anche la fede è un
rischio, ma un rischio meravigliosamente calcolato.
(da EDUCHIAMO COME DON BOSCO – Carlo De Ambrogio)