Probabilmente c’era nell’aria un leggero sfarinìo di neve il 17 gennaio 1865, quando al mattino Don Bosco si recò a Lanzo in provincia di Torino. Voleva visitare il collegio appena fondato (e, con intenzione precisa) dedicato a San Filippo Neri) e desiderava conoscere personalmente quei ragazzi. In ogni sua visita Don Bosco metteva in primo piano gli interessi spirituali. Fu una capatina rapida; ma il suo occhio vide tutto. Rientrato a Torino, la sera del 18 gennaio ai ragazzi dell’Oratorio in una «buona notte» (una specie di familiare e confidenziale «chiacchierata al caminetto») Don Bosco riferi le sue impressioni: «Sono stato a Lanzo a vedere quei ragazzi che mi sono come voi molto cari. Vi dirò solo che ieri sera, come ebbi finito di parlare loro, a una voce mi dissero: “Dica ai ragazzi dell’Oratorio di Torino che noi li amiamo tanto, che li consideriamo come nostri amici come nostri fratelli e che speriamo che anch’essi ci vorranno bene, come noi glielo vogliamo. Dica che speriamo qualche volta di andare a Torino per salutarli, come desideriamo che essi vengano qui a Lanzo a passare qualche giorno con noi”.
Io mi feci interprete dei vostri sentimenti o miei cari figliuoli, e dissi potersi dare benissimo che qualcuno di voi vada a Lanzo, o per starvi definitivamente, oppure temporaneamente, secondo il volere dei superiori. Dissi che se qualcuno di loro si porterà qui a Torino, sarà accolto da voi come un fratello, tanto più sapendo per fama come siano buoni gli alunni di Lanzo. Pensate la contentezza dei ragazzi di Lanzo a queste mie parole: si alzarono in punta di piedi, si fecero più alti che poterono e si tirarono su il nodo della cravatta».
Ecco un accorgimento educativo di Don Bosco: favorire la conoscenza e l’amicizia tra ragazzi che vivono in uno stesso clima religioso e ambientale.
• La vita moderna porta questo svantaggio: le persone passano attraverso la nostra vita più in fretta che un tempo. Stabiliamo rapporti senza impegnarci mai del tutto e abbandoniamo facilmente le amicizie: è troppo difficile rimanere in contatto con la gente quando si cambia posto di lavoro, condizione sociale, luogo di residenza. In confronto alle generazioni passate, i cui legami personali erano relativamente pochi e stabili, noi abbiamo a che fare con molte più persone nel corso della nostra vita quotidiana. Oggi il ragazzo comincia molto presto ad abituarsi alla «disaffezione». Chiedete a una classe di ragazzi di una grande città quanti di loro hanno perso il miglior amico l’anno scorso perché la sua famiglia si è trasferita altrove e vedrete quante mani si alzeranno. Nelle generazioni precedenti il «miglior amico» durava molto tempo. Oggi i nostri ragazzi, travolti dal ritmo vorticoso della nostra civiltà, cambiano le amicizie a una velocità frenetica con risultati desolanti che si esprimono in solitudine, isolamento e mancanza di impegno emulativo.
• Tocca ai genitori e agli educatori tessere la tela degli incontri e della conoscenza vicendevole fra ragazzi buoni e tenere lontane le occasioni di accostare ragazzi guasti o viziati. E’ un’opera di vigile e delicata sorveglianza.
• San Giovanni della Croce scriveva: «Dove non c’è amore, mettete amore e otterrete amore». Santa Teresa d’Avila esprimeva lo stesso pensiero con tre semplici parole: «Amore attira amore». E’ bello per un educatore trasmettere queste certezze ai suoi ragazzi. Era quello che faceva Don Bosco, quando, con la sua genialità guidata dall’amore, stabiliva una specie di gemellaggio tra i ragazzi di Lanzo e di Torino.