Secondo la tradizione illustrata dal Rituale della Dedicazione della chiesa e dell’altare, le chiese sono anzitutto luoghi dove si raccoglie il popolo di Dio. Esso, adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è la Chiesa, tempio di Dio edificato con pietre vive, nel quale viene adorato il Padre in spirito e verità. Giustamente fin dall’antichità il nome “chiesa” è stato esteso all’edificio in cui la comunità cristiana si riunisce per ascoltare la parola di Dio, pregare insieme, ricevere i Sacramenti, celebrare l’Eucaristia, e adorarla in esso come sacramento permanente.
Le chiese pertanto non possono considerarsi come semplici luoghi “pubblici”, disponibili a riunioni di qualsiasi genere. Sono luoghi sacri, cioè “messi a parte”, in modo permanente, per il culto a Dio, dalla dedicazione o dalla benedizione.
Come edifici visibili, le chiese sono segni della Chiesa pellegrina sulla terra; immagini che annunciano la Gerusalemme celeste; luoghi in cui si attualizza fin da quaggiù il mistero della comunione tra Dio e gli uomini. Negli abitati urbani o rurali, la chiesa è ancora la casa di Dio, cioè il segno della sua abitazione fra gli uomini. Essa rimane luogo sacro, anche quando non vi è una celebrazione liturgica.
In una società di agitazione e di rumore, soprattutto nelle grandi città, le chiese sono pure luoghi adeguati dove gli uomini raggiungono, nel silenzio o nella preghiera, la pace dello spirito o la luce della fede.
Ciò sarà possibile soltanto se le chiese conservano la loro identità. Quando le chiese si utilizzano per altri fini diversi dal proprio, si mette in pericolo la loro caratteristica di segno del mistero cristiano, con danno più o meno grave alla pedagogia della fede e alla sensibilità del popolo di Dio, come ricorda la parola del Signore: “La mia casa è casa di preghiera” (Lc 19, 46).