Affrontiamo qui un tema un pò spinoso, ma che è uno degli esempi più lampanti del contrasto tra una modalità entrata nell’uso comune e significato originario: il cosiddetto “canto di pace”, che spesso viene eseguito durante il momento dello scambio della pace.
Se leggiamo cosa ci dice il Messale, secondo il rito post-conciliare, recita così: “I fedeli esprimono la Comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento. Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio.” Questo implica due cose: la prima è che il momento della pace è molto breve, quindi è molto difficile fare un canto; la seconda è che è funzionale all’accostarsi all’Eucarestia, tant’è che subito dopo il rito della pace c’è la frazione del corpo di Cristo, durante il quale si recita l’Agnello di Dio. Quindi un canto non solo sarebbe fuori tempo, ma è anche fuori luogo perché non aiuta a prepararsi, soprattutto con i canti che vengono eseguiti spesso durante questo momento (“Pace sia pace a voi”, per esempio, che in realtà è un canto finale, come chiaramente indicato sullo spartito, per non parlare di altri che sono proprio teologicamente sbagliati.)
Infine, qualsiasi attività, gesto, o qualsivoglia cosa non deve mai sovrapporsi all’Agnello di Dio: in quel momento, tutto il popolo è concentrato e raccolto sulla frazione del corpo di Cristo da parte del sacerdote, e niente lo deve distrarre.
Tutto questo, che in realtà già si conosceva benissimo, è stato ribadito da Papa Francesco recentemente, tramite una Lettera circolare della Congregazione per il Culto Divino, approvata in giugno 2014. Vi si legge in particolare:
“…Ad ogni modo, sarà necessario che nel momento dello scambio della pace si evitino definitivamente alcuni abusi come: – L’introduzione di un “canto per la pace”, inesistente nel Rito romano….”
Quindi, anche se molti ci sono affezionati, niente canto di pace. Concentriamoci su un bell’ “Agnello di Dio” cantato.