Per molti “unzione degli infermi” significa “estrema unzione”. Quest’ultima dicitura, nata in periodi in cui il sacerdote si chiamava in extremis e quindi spesso arrivava quando il malato era ormai defunto, in realtà non rende onore a questo grande sacramento, che ha invece un significato enormemente più grande: far sí che alle sofferenze del malato si associno direttamente Cristo stesso e la sua Chiesa.
La premura di Cristo per i malati traspare in molti passi nel Vangelo, e dalla lettera di S. Giacomo conosciamo più esplicitamente questo sacramento: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (5,14-15).
Quest’ultima affermazione va bene interpretata. Sappiamo bene che Cristo distingue nettamente tra “salvezza” e “guarigione”: questo sacramento non deve farci cadere nella ricerca ossessiva del miracolo, che può sicuramente aver luogo e avviene quando Dio lo ritiene necessario; quello che importa veramente è la vicinanza di Cristo e della Chiesa ai malati ed agli anziani, perché Cristo stesso dia loro sollievo e salvezza e li esorta ad associarsi spontaneamente alla sua passione e morte (cf Rm 8,17) per contribuire al bene del popolo di Dio. L’uomo gravemente infermo ha infatti bisogno, nello stato di ansia e di pena in cui a volte si trova, di una grazia speciale di Dio per non lasciarsi abbattere, con il pericolo che la tentazione faccia vacillare la sua fede. Proprio per questo, Cristo ha voluto dare ai suoi fedeli malati la forza e il sostegno del sacramento dell’Unzione.
L’uso dell’Olio degli Infermi conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutta la persona ne è rinfrancata e sostenuta, con la fiducia verso Dio e con forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della morte; il sacramento dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale del cristiano.
Sarebbe opportuno superare superstizioni o paure relative a questo sacramento, anzi si proponga e si aiuti la Chiesa e la parrocchia a raggiungere quante più persone possibili, per dare proprio il segno che nel dolore e nella malattia non siamo soli; la comunità cristiana si muove, si ricorda e prega per i suoi malati, così come gli stessi malati sono un tesoro per tutta la comunità, con in primis Cristo stesso vicino a loro e con loro. «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.» (Rm 8).
Prendiamo dunque «questa abitudine di chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza, di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di Gesù per andare avanti. Facciamolo!» (Papa Francesco)