Siamo, ormai, alla quarta mossa del Padre misericordioso che san Luca ci presenta nel quindicesimo capitolo del suo Vangelo. Dunque, il padre, dopo aver visto il figlio che sta ritornando a casa, ‘si commosse’, ‘gli corse incontro’ e ‘gli si gettò al collo’. Anche questo gesto è una della tante facce della misericordia. Anche da questa mossa abbiamo molto da imparare.
L’abbraccio è tra le più tenere manifestazioni d’affetto. L’abbraccio non può che nascere da un cuore ben fatto come quello del Padre della parabola che stiamo gustando. Abbracciando il figlio, il padre gli impedisce di inginocchiarsi per chiedergli perdono. Ecco la misericordia allo stato puro: mai umiliare, ma innalzare sempre. Ecco la terapia dell’abbraccio. Terapia vincente.
Un fatto reale. Una ragazza era di pessimo umore. Aveva tutte le sue spine fuori, proprio come un porcospino tormentato da un cane. Troppi compiti a casa, troppe interrogazioni, troppo tutto… ecco! La madre le ripeteva la solita predica, con ragionamenti, spiegazioni e raccomandazioni. La ragazza si fece ancora più scura. Poi guardò la madre dritta negli occhi e scandì: «Mamma, sono stanca e stufa delle tue prediche. Perché invece non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun consiglio potrà mai farmi altrettanto bene!». La madre rimase a bocca aperta. Gli occhi della figlia imploravano un abbraccio. Con la voce rotta dalla voglia di piangere, disse: «Vuoi… vuoi che ti abbracci? Ma lo sai che anch’io… anch’io voglio che tu mi abbracci?». Accolse la figlia nelle braccia aperte e la strinse a sé, come fosse ancora una bimba. E tutte le tensioni svanirono.
«Per favore, abbracciami!» L’abbraccio è una preghiera, una supplica, tanto ci è indispensabile.
Pochi mesi prima di morire, la scrittrice Natalia Ginzburg (1916-1991) confidava: “Il mio mestiere è quello di scrivere”, ma, subito dopo, abbracciando il piccolo pronipote aggiungeva: “Questa è la vita! Non i libri!”.
Non c’è dubbio che basta essere uomini per aver bisogno della tenerezza di qualcuno.
Giacomo Leopardi (1798-1837) in una lettera del novembre 1822 gridava al fratello Carlo: “Amami, per Dio! Ho bisogno di amore, amore, amore!”. Ancora nel luglio 1828 ripeteva vanamente: “Io non ho bisogno di gloria, né di stima, né di altre cose simili, ma ho bisogno di amore!”.
Bisogno di abbracci
Oggi i sociologi ci fanno notare che “non è bastato liberare il sesso e rimuovere il concetto di morte per avere un popolo felice” (Sabino Acquaviva 1927-2015).
Che cosa manca, dunque? Manca la tenerezza, manca l’abbraccio. Scavando alle pendici dei vulcani, l’archeologo sovente ritrova scheletri abbracciati: uniti dal terrore della lava. Abbracciati è più leggero vivere e fa meno paura morire! A proposito di abbracci, in America è stata pensata un’iniziativa forse discutibile, certo originale. Si tratta della “Festa delle coccole” (il ‘Cuddle Party’). In un appartamento privato, si è liberi di coccolare, di abbracciare chi si vuole per tre ore e mezza (costo: venti euro). Le regole sono molto chiare: ci si distende sul pavimento, indossando il pigiama. Sono ammessi cuscini e peluche. Il sesso è vietato. Prima di baciarsi è necessario chiedere il permesso. Se qualcuno allunga le mani, appositi buttafuori riportano immediatamente l’ordine. Secondo gli ideatori i ‘Cuddle Party’ sono un modo per guarire dall’alienazione metropolitana. Sono validissimi per ritrovare l’umanità, dopo tanti incontri con sole macchine, con soli oggetti. Perché questo è il punto: l’uomo ha bisogno dell’uomo, del profumo dell’uomo, del contatto dell’uomo. Le cose, da sole, non bastano mai: possono riempire il cuore, ma non soddisfarlo.
A costo di ripeterci, riportiamo ancora una volta la testimonianza di un medico. “La maggioranza degli alcolizzati si sono abbandonati al vizio del bere per superare un turbamento infantile, per cancellare una ferita che si è aperta e non si è più rinchiusa. Si attaccano al collo della bottiglia perché non hanno potuto attaccarsi al collo della mamma”. Dunque, perché non riportare, senza se e senza ma, l’abbraccio nell’arte di educare? Siamo convinti che sarebbe la più intelligente e benefica rivoluzione della misericordia intesa per quello che è: non compassione, non commiserazione, ma capacità di sintonizzarsi con i bisogni profondi del cuore umano.
IL SEGRETO
Da piccolo, Mordecai era una vera peste. Così i suoi genitori lo portarono da un sant’uomo a cui tutti ricorrevano per chiedere consigli nei casi più difficili. «Lasciatemelo qui un quarto d’ora» disse il sant’uomo. Quando i genitori furono usciti, l’anziano chiuse la porta. Mordecai sentì un po’ di timore. Il sant’uomo si avvicinò al bambino e, in silenzio, lo abbracciò. Lo abbracciò in modo intenso. Quel giorno, Mordecai imparò come si convertono gli uomini.
A LORO LA PAROLA
“Il mio papà non mi abbraccia più come una volta. Non so se lui pensi che io non ne abbia più bisogno. Però i suoi abbracci mi mancano” (Marianna, 15 anni).
“So che a volte è difficile vivere con me. I miei genitori devono adattarsi ai miei vari stati d’animo…, ma quando mi abbracciano o mi mettono anche solo una mano su un braccio, mi sembra che tutto vada bene” (Lorena, 13 anni).
(Tratto da IL BOLLETTINO SALESIANO – Autore PINO PELLEGRINO)