Caro Parroco,
[…] ho letto su un annuncio che un tale era DIPARTITO, proprio così era scritto, e grande. Lì per lì non ho capito bene di chi si trattasse, io sono molto anziano e non ho fatto tanti studi, però mica me ne preoccupo, la vita mi ha insegnato più del po’ di scuola che ho frequentato fino al primo superiore poi mi sono stancato e ho trovato lavoro […]. Torniamo a noi: solo dopo un po’ ho capito non era qualcuno che era partito non so per dove, e ho pure pensato che ci fosse qualche errore e si parlasse di un certo partito che non era nominato. Invece era un morto. Beh, non potevano scriverlo usando la parola giusta?
Lettera firmata
Bella domanda, caro signore,
Oggi siamo arrivati a rottamare anche le antiche parole che tutti comprendevamo. Abbiamo infarcito il nostro parlare di stranierismi, di vocaboli tecnici, di parole difficili, ecc. Ma quel che è peggio, abbiamo eliminato alcune parole che indicano certi eventi sgraditi o fastidiosi o incresciosi. Una tra tutte, la parola “morte”.
Non si trova più un avviso mortuario in cui si dica che il tizio “è morto”; si scrive “ci ha lasciati”, “è tornato alla casa del padre”, “non c’è più”, “se n’è andato”, “non è più tra noi”, “ha terminato di soffrire”, si è addormentato per sempre”, ecc. Dicono i glottologi che così raffreddiamo le parole, le svuotiamo, gli togliamo la pregnanza, le addolciamo magari per non far paura ai bambini, gli togliamo la carica emotiva ed empatica. Ci sono mamme che non fanno vedere ai bambini i morti, neanche i familiari, ad esempio i nonni. Il rischio è che crescano con la paura. Li allontaniamo dalla realtà, e quando la vita li metterà di fronte alle difficoltà rischiano di sentirsi smarriti, insicuri, timorosi…
Il parroco