25 ottobre 2013 – ore 21:00-24:00
“IN CAMMINO IN COMPAGNIA DEI SANTI”
Veglia di preghiera in occasione della presenza delle reliquie del
Beato Giovanni Paolo II e San Pio da Pietrelcina
Nella Basilica di S. Giovanni Bosco
Vogliamo stasera prendere esempio da come questi due santi hanno saputo tradurre il loro rapporto con Dio nell’esistenza, come hanno incarnato nella storia il Dio vivo e vero. La nostra fede si nutre di testimoni, e per testimonianza si trasmette. Facciamoci guidare da questi grandi testimoni, per diventarlo anche noi.
(Canto) Popoli tutti
Mio Dio, Signore, nulla è pari a Te.
Ora e per sempre, voglio lodare
il tuo grande amor per noi.
Mia roccia Tu sei, pace
e conforto mi dai,
con tutto il cuore e le mie forze,
sempre io ti adorerò.
POPOLI TUTTI ACCLAMATE
AL SIGNORE ,
GLORIA E POTENZA CANTIAMO AL RE,
MARI E MONTI SI PROSTRINO A TE,
AL TUO NOME , O SIGNORE .
CANTO DI GIOIA PER QUELLO CHE FAI,
PER SEMPRE SIGNORE
CON TE RESTERÒ ,
NON C’È PROMESSA NON C’È FEDELTÀ
CHE IN TE.
1. L’EUCARESTIA
Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
Quando penso all’Eucaristia, guardando alla mia vita di sacerdote, di Vescovo, di Successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi in cui mi è stato concesso di celebrarla. Ricordo la chiesa parrocchiale di Niegowić, dove svolsi il mio primo incarico pastorale, la collegiata di san Floriano a Cracovia, la cattedrale del Wawel, la basilica di san Pietro e le tante basiliche e chiese di Roma e del mondo intero. Ho potuto celebrare la Santa Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare; l’ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città… Questo scenario così variegato delle mie Celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla. E così Lui, il sommo ed eterno Sacerdote, entrando mediante il sangue della sua Croce nel santuario eterno, restituisce al Creatore e Padre tutta la creazione redenta. Lo fa mediante il ministero sacerdotale della Chiesa, a gloria della Trinità Santissima. Davvero è questo il mysterium fidei che si realizza nell’Eucaristia: il mondo uscito dalle mani di Dio creatore torna a Lui redento da Cristo. Ricevere l’Eucaristia è entrare in comunione profonda con Gesù. «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). Questo rapporto di intima e reciproca «permanenza» ci consente di anticipare, in qualche modo, il cielo sulla terra. Non è forse questo l’anelito più grande dell’uomo? Non è questo ciò che Dio si è proposto, realizzando nella storia il suo disegno di salvezza? Egli ha messo nel cuore dell’uomo la «fame» della sua Parola (cfr Am 8,11), una fame che si appagherà solo nell’unione piena con Lui. La comunione eucaristica ci è data per «saziarci» di Dio su questa terra, in attesa dell’appagamento pieno del cielo. L’Eucaristia: un rendimento di grazie. In Gesù, nel suo sacrificio, nel suo «sì» incondizionato alla volontà del Padre, c’è il «sì», il «grazie» e l’«amen» dell’umanità intera. La Chiesa è chiamata a ricordare agli uomini questa grande verità. È urgente che ciò venga fatto soprattutto nella nostra cultura secolarizzata, che respira l’oblio di Dio e coltiva la vana autosufficienza dell’uomo. Incarnare il progetto eucaristico nella vita quotidiana, là dove si lavora e si vive — in famiglia, a scuola, nella fabbrica, nelle più diverse condizioni di vita — significa, tra l’altro, testimoniare che la realtà umana non si giustifica senza il riferimento al Creatore: «La creatura, senza il Creatore, svanisce». Questo riferimento trascendente, che ci impegna ad un perenne «grazie» — ad un atteggiamento eucaristico appunto — per quanto abbiamo e siamo, non pregiudica la legittima autonomia delle realtà terrene, ma la fonda nel modo più vero collocandola, al tempo stesso, entro i suoi giusti confini. Non abbiamo paura di parlare di Dio e di portare a fronte alta i segni della fede. La «cultura dell’Eucaristia» promuove una cultura del dialogo, che trova in essa forza e alimento. Ci si sbaglia a ritenere che il riferimento pubblico alla fede possa intaccare la giusta autonomia dello Stato e delle istituzioni civili, o che addirittura possa incoraggiare atteggiamenti di intolleranza. Se storicamente non sono mancati errori in questa materia anche nei credenti, come ebbi a riconoscere in occasione del Giubileo, ciò va addebitato non alle «radici cristiane», ma all’incoerenza dei cristiani nei confronti delle loro radici. Chi impara a dire «grazie» alla maniera del Cristo crocifisso, potrà essere un martire, ma non sarà mai un aguzzino (Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine).
(Canto) Dall’aurora al tramonto
DALL’AURORA IO CERCO TE
FINO AL TRAMONTO TI CHIAMO
HA SETE SOLO DI TE
L’ANIMA MIA COME TERRA DESERTA
Non mi fermerò un solo istante
sempre canterò la tua lode
perché sei il mio Dio il mio riparo
mi proteggerai all’ombra delle tue ali.
Non mi fermerò un solo istante
io racconterò le tue opere
perché sei il mio Dio unico bene
nulla mai potrà la notte contro di me.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Padre Pio è stato definito il “sacerdote estatico dell’Eucaristia”. La sua vita, il suo pensiero, il suo cuore avevano un solo centro: il Prigioniero d’amore del Tabernacolo. E dall’Eucaristia egli ha attinto la forza per portare per un’intera vita il peso immane della sua missione di Cireneo, pronto a caricarsi della croce per salire il Calvario con Gesù. Per tutta la sua vita è vissuto ai piedi del Tabernacolo in continua adorazione: da fanciullo e da giovane, da studente e da sacerdote, a Pietrelcina, sotto lo sguardo della Madonna della Libera e a San Giovanni Rotondo, sotto lo sguardo dolce e materno della Madonna delle Grazie. Sappiamo che, ancora bambino, si faceva chiudere in chiesa per adorare Gesù Sacramentato e spesso alla presenza di Gesù nel Tabernacolo si faceva prendere da tale commozione che non riusciva a trattenere il pianto; anche i suoi compagni vedevano le lacrime che inondavano il banco e il pavimento mentre egli stava in adorazione. Da frate poi, come la gente di Pietrelcina testimonia, sostava ogni giorno per lunghissime ore, e a volte anche per intere notti, dinanzi a Gesù Sacramentato, e quando qualcuno si raccomandava alle sue preghiere era solito dire: «Lo dirò a Gesù Sacramentato quando sarò vicino al suo Tabernacolo». Non si stancava mai di stare ai piedi del Tabernacolo in adorazione, quasi a rendere amore e tenerezza in risposta alle tenerezze di Cristo che, per amore dell’uomo ingrato, si è fatto prigioniero nel Divin Sacramento. Basti pensare che a San Giovanni Rotondo trascorreva le ore notturne in coro; chi ha vissuto con lui lo riorda ancora proiettato verso il Tabernacolo, immancabilmente, ogni giorno dalle 9 alle 12 e al pomeriggio dopo le confessioni fino al tempo della Benedizione Eucaristica, in un continuo sgranare di Rosari. La vita di Padre Pio era una vita eucaristica, era una continua offerta e una continua immolazione con Cristo sul Calvario per aggredire il peccato degli uomini d’oggi con l’onnipotenza dell’amore del Crocifisso. Questa limpida e sicura verità di fede oggi si è affievolita nella fede di tanti cristiani: l’Eucaristia non è capita, non è vissuta, non è partecipata col cuore. In una delle sue estasi, Padre Pio dice al Signore: «Già ti sentivo nel cuore come i discepoli di Emmaus… ti sentivo… con la tua dolcezza… la sete non la sento più… Ah Gesù mio, dolcezza mia… e come posso vivere senza di te? Vieni sempre, Gesù mio, vieni, possiedi tu solo il mio cuore… Oh se avessi infiniti cuori, tutti i cuori del cielo e della terra, anche il cuore della Madre tua, tutti li offrirei a te… Gesù mio, dolcezza mia, amore che mi sostiene» (Cfr. Diario, p. 54). La vita di Padre Pio ruota intorno al tabernacolo: l’Eucarestia è il suo centro di gravitazione: l’Altare costituiva il punto di partenza e il punto di arrivo nella sua giornata. Gesú è necessario a Padre Pio. Egli non sa vivere senza Gesú sacramentato, specialmente quando turbamenti di coscienza e afflizioni di ogni genere lo fanno martirizzare. “Resta Gesù con me, perché in questa notte della vita e dei pericoli ho bisogno di Te. Fa’ che Ti conosca come i Tuoi discepoli allo spezzar del pane… cioè che l’Unione Eucaristica sia luce che dissipa le tenebre, la forza che mi sostiene e l’unica beatitudine del mio cuore. Resta con me Signore, perché quando arriva la morte, voglio stare unito a Te, se non realmente per la Santa Comunione, almeno per la grazia e per l’amore”. Credo che oggi Padre Pio direbbe a tutti che è necessario ritornare all’Eucaristia. Essa deve diventare il centro della vita. L’Eucaristia deve diventare il paradigma dei nostri rapporti con gli altri, il paradigma dei nostri rapporti con Dio. Quando si pensa ad una vita Eucaristica bisogna considerarla come un qualcosa di profondo che penetra nelle strutture più intime della nostra vita e del nostro rapportarci agli altri”.
(Canto) Resta qui con noi
Le ombre si distendono, scende ormai la sera e s’allontanano dietro i monti i riflessi
di un giorno che non finirà
di un giorno che ora correrà sempre
perché sappiamo che una nuova vita
da qui è partita e mai più si fermerà.
RESTA QUI CON NOI, IL SOLE SCENDE GIÀ RESTA QUI CON NOI, SIGNORE È SERA ORMAI RESTA QUI CON NOI, IL SOLE SCENDE GIÀ SE TU SEI FRA NOI LA NOTTE NON VERRÀ.
S’allarga verso il mare il Tuo cerchio d’onda che il vento spingerà fino a quando
Giungerà ai confini di ogni cuore, alle porte dell’amore vero Come una fiamma che dove passa brucia, così il tuo amore tutto il mondo invaderà.
2. MARIA
Dal vangelo secondo Luca (Lc 1,46-55): “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre”.
“Ogni pontificato è “mariano” perché ogni Papa fedelmente fa risuonare quanto il Vangelo afferma riguardo a Maria. Però, nel pontificato di Giovanni Paolo II, c’è stata una caratteristica, una totalità, una sensibilità tutta particolare in rapporto alla presenza e alla missione della Madonna. Il suo stemma episcopale e pontificale fu una vera carta di identità: la M che si staglia sullo sfondo azzurro, viene commentata dal grido del Figlio verso la Madre “TOTUS TUUS”! ,cioè “Sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio è tuo. [...] Ti accolgo in tutto me stesso, offrimi il cuore tuo, Maria. Ciò è bello umanamente e cristianamente. Scrutando i passi e i gesti, meditando i discorsi e i documenti di Giovanni Paolo II si avverte che l’affetto per Maria è stato una sorgente di ispirazione che ha caratterizzato il suo cammino alla sequela di Gesù. Agli inizi del suo servizio episcopale sulla cattedra di Pietro a Roma, disse: << Il Papa desidera affidare la Chiesa in modo particolare a Colei in cui si è compiuta la stupenda e totale vittoria del Bene sul male, dell’Amore sull’odio, della Grazia sul peccato; a Colei che è inizio del mondo migliore, all’Immacolata>>.” E ancore nella lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae” scriveva: “O Maria ! Fin dal primo istante dell’esistenza, Tu sei stata preservata dal peccato originale in forza dei meriti di Gesù, di cui dovevi diventare la Madre. Su di Te il peccato e la morte non hanno potere. Dal momento stesso in cui fosti concepita, hai goduto del singolare privilegio di essere ricolmata della grazia del Tuo Figlio benedetto, per essere Santa come Egli è Santo. Per questo il Celeste Messaggero, inviato ad annunciarti il Disegno Divino, a Te si rivolse salutandoTi: “Rallegrati, o piena di grazia”. Sì, o Maria, Tu sei la piena di grazia, Tu sei l’Immacolata Concezione. In Te si compie la promessa fatta ai progenitori, primordiale vangelo di speranza, nell’ora tragica della caduta: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe”. La Tua stirpe, o Maria, è il Figlio benedetto del Tuo seno, Gesù, Agnello immacolato, che ha preso su di sè il peccato del mondo, il nostro peccato. Tuo Figlio, o Madre, ha preservato Te, per offrire a tutti gli uomini il dono della salvezza. Per questo di generazione in generazione, i redenti non cessano di ripeterti le parole dell’Angelo: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con Te”. Tu sei tutta bella,o Maria. Sii Tu a guidarci verso il futuro, con tutta la speranza, perché Tu, o Maria, sei la Madre della speranza.” Le affidò se stesso, come servo dei servi, e tutti coloro che egli servì. A questo punto diventa chiaro e illuminante il gesto del Papa che, dopo il drammatico attentato del 13 Maggio, va a Fatima a ringraziare la Madre, consegnandoLe il proiettile mortale, che però non è riuscito ad uccidere perché così era stabilito in Cielo. Diventa chiaro il continuo pellegrinaggio del Papa verso i santuari mariani. Diventa chiaro e luminoso il gesto del Papa, che stringeva tra le mani la corona del Rosario per sentirsi aggrappato alla solidità e alla tenerezza della Madre,”a cui si rivolgeva in una delle sue preghiere con queste parole: “ Madre di Dio e Madre dell’umanità, Madre della Chiesa e Madre di ognuno di noi: nessuno a Te ricorre invano; nessuno è da Te deluso, dimenticato, abbandonato! Noi Ti invochiamo, perciò, con filiale e confidente trasporto. Resta accanto a noi! Tu sei nostra Madre! Amen”
(Canto) Ave Maria
Ave Maria, Ave. (2V)
Donna dell’attesa e madre di speranza
Ora pro nobis.
Donna del sorriso e madre del silenzio
Ora pro nobis.
Donna di frontiera e madre dell’ardore
Ora pro nobis.
Donna del riposo e madre del sentiero
Ora pro nobis. RIT.
Donna del deserto e madre del respiro
Ora pro nobis.
Donna della sera e madre del ricordo
Ora pro nobis.
Donna del presente e madre del ritorno
Ora pro nobis.
Donna della terra e madre dell’amore
Ora pro nobis. RIT.
San Pio da Pietrelcina una volta disse: “La devozione alla Madonna vale più di tutta la filosofia e la teo¬logia”. Mettersi dinanzi alla Madonna, amarla e contemplarla, è la cosa più efficace per amare Dio, più efficace di tutti libri di teologia. Sono tre i motivi per cui la devozione mariana è indispen¬sabile nella vita del cristiano. Il primo riguarda la natura stessa della Vergine. Ella, pur non essendo divina (la Chiesa da sempre ha parlato di ipervenerazione e non di adorazione), ha una natura che, come dice san Tommaso, “sfiora” la divinità, perché Ella è veramente “Madre di Dio”. Il Cristianesimo non dice che Dio è apparso uomo ma che è diventato veramente uomo, da qui il paradosso di una creatura che è veramente madre del Creatore, di una donna che è – come dice Dante – “figlia di suo Figlio”. Già questo basterebbe per capire quanto sia necessa¬ria la devozione mariana. Il secondo motivo riguarda la salvezza. L’Incarnazione, necessaria per la Redenzione, si è attuata grazie al “sì” di Maria all’Angelo. Ma cosa sarebbe accaduto se lei avesse detto “no”? Ci sarebbe stata un’altra strada? Chi può dirlo. Dunque, la possibilità della salvezza di tutti passa attraverso quel “sì” della Vergine pronunciato in completa libertà. Il terzo motivo riguarda la vita spirituale. Secondo il Cristianesimo, Dio non decide di essere buono ma è costituti¬vamente buono. I comandamenti altro non sono che la natura di Dio codificata per la vita dell’uomo. Dunque, il quarto comandamento (onora il padre e la madre) è prima di tutto nella natura di Dio. Può Dio dire di “no” a Sua madre? La Vergine Maria ci ha donato la possibilità della sal¬vezza dicendo di sì all’Angelo. La Vergine Maria è il “segno” per eccellenza della tenerezza di Dio. La Vergine, pur essendo un mezzo, è il segno per eccellenza dell’a¬more di Dio, è la creatura visibile di questo Amore. Contemplando le meraviglie della Vergine non occorre studiare: c’è tutto. C’è l’amore a Dio: chi più dell’Immacolata ha amato Gesù? C’è l’obbedienza a Dio: chi più di Lei si è fatta “ancella” di Dio? C’è l’amore alla Chiesa: chi più di Lei ha dato la propria carne e il proprio sangue alla Chiesa, anzi generandola, essen¬do già Gesù (il Capo) tutta la Chiesa? C’è l’obbedienza all’autorità della Chiesa: chi più di Lei, pur essendo Regina della Chiesa e degli Apostoli, si è sottomessa agli apostoli e in particolare a Giovanni, capo della comunità di Efeso, facendosi custodire da lui? Il Cattolicesimo non è un leggere, ma un guardare; non è un imparare dai libri, ma da una Madre … reclinando il pro¬prio capo sul suo seno, come un bimbo che trova solo in questo modo la sua pace e il suo riposo.
“La devozione alla Madonna vale più di tutta la filosofia e la teologia”. Un’affermazione di questo tipo potrebbe risultare strana. San Pio non dice che ad essere superiore a tutta la filosofia e la teologia sia l’amore a Gesù, ma che già lo sia la semplice devozione alla Madonna. Una simile affermazione si può capire per Dio Padre, per Gesù (il Dio fattosi uomo) … ma per una creatura umana? Eppure la frase del Santo Cappuccino è incontestabilmente vera. L’amore e la devozione di Padre Pio nei confronti della Beata Vergine Maria sono leggendari. Egli spese gran parte del suo ministero glorificando le Sue virtù e ricordando a tutti i Cattolici di appellarsi fiduciosi alla Sua misericordiosa intercessione. Egli raccomandava a tutti i Cattolici di “amare la Madonna e recitare il Rosario, perché il Rosario è l’arma contro i mali del mondo.” Quando gli venne chiesto del ruolo della Madonna nel progetto di Dio per la salvezza, Padre Pio rispose dicendo che “tutte le grazie concesse da Dio passano per la Beata Madre”. Era con tale consapevolezza che, negli ultimi dieci anni della sua vita terrena, egli celebrava quasi tutti i giorni la Messa dell’Immacolata Concezione. A proposito della Madonna, gli viene attribuita la frase “Ella mi accompagna all’altare e rimane al mio fianco mentre celebro la Santa Messa”. Sforziamoci, come tante anime elette, di seguire sempre questa Madre benedetta, di marciare sempre al suo lato, perché non vi è altro cammino che porti alla vita di colui che ci ha imprestato nostra Madre : non rifiutiamo di impegnarci, se vogliamo giungere al cammino di Gesù.
(Canto) Vergine Madre
VERGINE MADRE, FIGLIA DEL TUO FIGLIO,
UMILE ED ALTA PIÙ CHE CREATURA,
TERMINE FÌSSO D’ETERNO CONSIGLIO.
Tu sei colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che il suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
NEL VENTRE TUO SI RACCESE L’AMORE,
PER LO CUI CALDO NE L’ETERNA PACE
COSÌ È GERMINATO QUESTO FIORE.
Qui sei a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
sei di speranza fontana vivace.
DONNA, SEI TANTO GRANDE E TANTO VALI,
CHE QUAL VUOI GRAZIA E A TE NON RICORRE,
SUA DISIANZA VUOI VOLAR SANZ’ALI.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
IN TE MISERICORDIA, IN TE PIETATE,
IN TE MAGNIFICENZA, IN TE S’ADUNA
QUANTUNQUE IN CREATURA È DI BONTADE
Amen.
3. LA CROCE
[...] Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. (Lettera ai Galati 6, 14)
La giustizia divina rivelata nella croce di Cristo è «su misura» di Dio, perché nasce dall’amore e nell’amore si compie, generando frutti di salvezza. [...] La croce di Cristo, sulla quale il Figlio consostanziale al Padre rende piena giustizia a Dio, è anche una rivelazione radicale della misericordia, ossia dell’amore che va contro a ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia dell’uomo: contro al peccato e alla morte. La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo -specialmente nei momenti difficili e dolorosi- chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo. La redenzione del mondo – questo tremendo mistero dell’amore, in cui la creazione viene rinnovata – è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall’eternità, predestinati a divenire figli di Dio e chiamati alla grazia, chiamati all’amore. La croce sul Calvario, per mezzo della quale Gesù Cristo – uomo, figlio di Maria Vergine, figlio putativo di Giuseppe di Nazaret – «lascia» questo mondo, è al tempo stesso una nuova manifestazione dell’eterna paternità di Dio, il quale in Lui si avvicina di nuovo all’umanità, ad ogni uomo, donandogli il tre volte santo «Spirito di verità». L’elevazione di Cristo sulla croce costituisce l’inizio dell’elevazione dell’umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo dell’elevazione è la vita eterna. Perché la croce e il Cristo crocifisso sono la porta alla vita eterna? Perché in lui – nel Cristo crocifisso – è manifestato nella sua pienezza l’amore di Dio per il mondo, per l’uomo. La salvezza del Figlio di Dio attraverso l’elevazione sulla croce ha la sua sorgente eterna nell’amore. È l’amore del Padre che manda il Figlio; egli offre suo Figlio per la salvezza del mondo. Nello stesso tempo è l’amore del Figlio il quale non “giudica” il mondo, ma sacrifica se stesso per l’amore verso il Padre e per la salvezza del mondo. Dando se stesso al Padre per mezzo del sacrificio della croce egli offre al contempo se stesso al mondo: ad ogni singola persona e all’umanità intera. La croce contiene in sé il mistero della salvezza, perché nella croce l’amore viene innalzato. Questo significa l’elevazione dell’amore al punto supremo nella storia del mondo: nella croce l’amore è sublimato e la croce è allo stesso tempo sublimata attraverso l’amore. E dall’altezza della croce l’amore discende a noi. Sì: “La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull’uomo. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo”. La croce cessa di essere il segno di una morte infamante e diventa il segno della risurrezione, cioè della vita. Attraverso il segno della croce, non è il servo o lo schiavo che parla, ma il Signore di tutta la creazione. La croce è gloriosa perché su di essa il Cristo si è innalzato. Attraverso di essa, il Cristo ha innalzato l’uomo. Sulla croce ogni uomo è veramente elevato alla sua piena dignità, alla dignità del suo fine ultimo in Dio.
(Canto) Nostra gloria è la croce di Cristo
NOSTRA GLORIA È LA CROCE DI CRISTO,
IN LEI LA VITTORIA;
IL SIGNORE È LA NOSTRA SALVEZZA,
LA VITA, LA RISURREZIONE.
Non c’è amore più grande
di chi dona la sua vita.
O Croce tu doni la vita
e splendi di gloria immortale.
O Albero della vita
che ti innalzi come vessillo,
tu guidaci verso la meta,
o segno potente di grazia.
Ti insegni ogni sapienza
e confondi ogni stoltezza;
in te contempliamo l’amore,
da te riceviamo la vita.
“In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e,messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.” (Mt 5, 1 – 16)
Non è giammai accaduto che un’anima che sperimenta in se stessa la debolezza e che ha ricorso a Dio per aiuto, sia caduta. (San Pio – Ep.III)
Voi soffrite, ma coraggio, poiché questa è la porzione toccata alle anime che hanno eletta la parte migliore del divin servizio, la croce. (San Pio – Ep.II)
Padre Pio considerava il dolore come un «dono di Dio». Questa era per lui la spiegazione di quale do¬vesse essere per il cristiano l’itinerario della soffe¬renza: «Anzitutto si accetta il dolore da Dio per ri¬parare il passato, purificare l’anima e vincere ogni ripugnanza; poi si abbracciano i patimenti con ar¬dore e risolutezza, con la gioia di percorrere con Cristo la via dolorosa, dal Presepio al Calvario. Si ammira, si loda, si ama ogni stato doloroso di Ge¬sù: della povertà e dell’esilio, degli oscuri lavori della vita nascosta, dei faticosi travagli della vita pubblica e dei patimenti fisici e morali della lunga e dolorosa Passione. Allora l’anima si sente più coraggiosa di fronte al dolore e alla tristezza, si stende amorosamente sulla nuda croce accanto a Gesù, posa compassionevolmente lo sguardo su di lui e ode dal suo labbro: “Beati quelli che soffrono per amore della giustizia”. La speranza di parteci¬pare sempre di più alla gloria con Cristo rende me¬glio sopportabile la crocifissione con lui, fino a ral¬legrarsi delle miserie e delle tribolazioni. Soffrire con Cristo è amarlo e consolarlo perfettamente. Di¬ventano sempre più grandi il desiderio e l’amore alla sofferenza, quanto maggiori sono l’amore a Gesù e alle anime». “Tutti vengo¬no qua per farsi togliere la croce, nessuno per im¬parare a portarla”: con queste parole padre Pio esprimeva la sua tristezza ogni volta che i pellegrini giungevano a lui invocando aiuto, guarigione, conforto per le loro afflizioni. La sofferenza per lui era una condizione indispensabile all’adempimento della propria mis¬sione: «Padre, come fate voi a soffrire tanto e ad avere il volto sempre sereno e gioioso, mentre io soffro pochissi¬mo e non so nascondere la pena sul mio volto?» «Figlio mio, comincia ad accogliere con dolce rassegnazione le contrarietà e le afflizioni, e il Signore non mancherà di metterti nel cuore la se¬renità, la pace, la gioia e, quindi, la beatitudine nel patire. Così ho fatto io, così fa’ anche tu».
(Canto) Umiliò se stesso
UMILIÒ SE STESSO, COME SERVO APPARVE,
OBBEDIENTE FINO ALLA MORTE PER NOI, FINO ALLA MORTE DI CROCE.
Per questo Dio l’ha esaltato,
e gli ha dato un nome
più grande di ogni nome.
4. L’AFFIDAMENTO ALLA PROVVIDENZA APRE STRADE SEMPRE NUOVE
E Gesù, voltatosi, e osservando che lo seguivano, domandò loro: Che cercate? Ed essi gli dissero: Rabbì (che, interpretato, vuol dire: Maestro), ove dimori? [Gv 1,38]
La Chiesa, durante la sua millenaria esistenza, ha più volte sentito la necessità di rinnovare il proprio linguaggio affinché il messaggio potesse essere sempre compreso dalle nuove generazioni. Uno degli eventi che hanno significativamente dato percezione di questa continua innovazione è la GMG, la Giornata Mondiale della Gioventù, istituita nel 1985 per intuizione di Giovanni Paolo II, il quale tuttavia non si considerò mail il fondatore, piuttosto affermava: << i giovani l’hanno creata>>. Egli desiderava promuovere le aspirazioni delle nuove generazioni ad avere un proprio spazio nella chiesa e nel mondo, ma la sua finalità da un punto di vista più prettamente spirituale è la ricerca e l’incontro con Cristo, che culmina con l’annuncio della salvezza realizzata in Dio. La tradizione spirituale del cristianesimo non soltanto sottolinea l’importanza della nostra ricerca di Dio. Mette in evidenza qualcosa di ancor più importante: è Dio che cerca noi. Egli ci viene incontro. Il nostro cammino significa voler dare una risposta alle nostre necessità ai nostri interrogativi, alla nostra “ricerca” e anche andare incontro a Dio che ci cerca con un amore così grande che difficilmente riusciamo a comprendere. Ma cosa spinge un giovane con tutte le sue insicurezze, le sue indecisioni e le sue paure ad andare alla ricerca di Dio?
A tal proposito, Giovanni Paolo II, invita noi giovani ad aprire il Vangelo e a scoprire che Gesù Cristo vuole essere nostro «amico». Vuole essere nostro «compagno» in ogni tappa sulla via della vita. Vuole essere la «via», il nostro sentiero attraverso le ansietà, i dubbi, le speranze e i sogni di felicità. È Lui la «verità» che dà significato ai nostri sforzi e alle nostre lotte. Vuole darci la «vita», come ha dato nuova vita al giovane di Nain, e ha dato un futuro completamente nuovo a Zaccaria, che era morto nello spirito per l’ambizione e l’avidità. Lui è la nostra «risurrezione», la nostra vittoria sul peccato e la morte, la realizzazione del nostro desiderio di vivere per sempre. Per questo Lui sarà la nostra «gioia», la «roccia» su cui la nostra debolezza verrà trasformata in forza e ottimismo. È la nostra salvezza, la nostra speranza, la nostra felicità e la nostra pace. Cristo, è dunque l’unico interlocutore competente, al quale possiamo porre le domande essenziali sul valore e sul senso della vita: non solo della vita sana e felice, ma anche di quella gravata dalla sofferenza, quando sia segnata da qualche handicap fisico o da situazioni di disagio familiare e sociale. È il nostro interlocutore anche per le domande drammatiche, che è possibile formulare più con i gèmiti che con le parole. Tuttavia questa ricerca è tutt’altro che semplice, al contrario: lo “spirito del mondo” offre molte illusioni, molte parodie della felicità. Non vi è forse tenebra più fitta di quella che si insinua nell’animo dei giovani quando falsi profeti estinguono in essi la luce della fede, della speranza, dell’amore. Il raggiro più grande, la maggiore fonte di infelicità è l’illusione di trovare la vita facendo a meno di Dio, di raggiungere la libertà escludendo le verità morali e la responsabilità personale. Il Signore ci invita a scegliere tra queste due voci, che fanno a gara per accaparrarsi la nostra anima. La GMG ha rappresentato, e tutt’ora rappresenta un modo attraverso il quale instaurare un dialogo diretto tra il papa e i giovani di tutto il mondo accomunati dalla fede in Cristo. Un canale preferenziale attraverso cui il papa esorta i giovani a seguire il modello di vita proposto da Gesù. Ora più che mai, in un mondo che spesso è senza luce e senza coraggio di nobili ideali, la gente ha bisogno della spiritualità fresca e vitale del Vangelo. Non è tempo di vergognarsi del Vangelo. È tempo di predicarlo dai tetti. Non abbiate paura di rompere con i comodi e abituali modi di vivere, al fine di raccogliere la sfida di far conoscere Cristo nella moderna “metropoli”. Dovete essere voi ad andare “ai crocicchi delle strade” e a invitare tutti quelli che incontrate al banchetto che Dio ha apparecchiato per il suo popolo. Il Vangelo non deve essere tenuto nascosto per paura o per indifferenza. Non è stato concepito per essere custodito in privato. Deve essere messo sopra un podio cosicché il popolo possa vedere la sua luce e rendere lode al nostro Padre celeste. Gesù è venuto a cercare gli uomini e le donne di questo tempo. Li ha impegnati in un dialogo aperto e sincero, quale che fosse la loro condizione. Egli ci mostra il nostro posto davanti a Dio, come creature e peccatori, come redenti attraverso la sua Morte e Risurrezione, come in pellegrinaggio verso la casa del Padre. Ci insegna il comandamento fondamentale dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Insiste sul fatto che non può esservi giustizia, fratellanza, pace e solidarietà senza i Dieci Comandamenti dell’Alleanza, rivelati a Mosè sul Monte Sinai e confermati dal Signore sulla Montagna delle Beatitudini. La verità sull’uomo è che noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio stesso, e proprio in questo fatto, a parte ogni altra considerazione, sta l’inalienabile dignità di ogni essere umano, senza eccezione, dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Ma ciò che è ancora più difficile da comprendere per la cultura contemporanea, è che la dignità, già forgiata nell’atto creativo di Dio, è sollevata incommensurabilmente più in alto nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Questo è il messaggio che dovete proclamare al mondo moderno: soprattutto ai meno fortunati, ai senzatetto e agli emarginati, agli ammalati, ai reietti, a quanti soffrono per mano di altri. A ciascuno dovete dire: guardate a Gesù Cristo per vedere ciò che realmente siete agli occhi di Dio!
(Canto) Aprite le porte a Cristo
APRITE LE PORTE A CRISTO!
NON ABBIATE PAURA:
SPALANCATE IL VOSTRO CUORE
ALL’AMORE DI DIO.
Testimone di speranza
per chi attende la salvezza,
pellegrino per amore
sulle strade del mondo. RIT.
Vero padre per i giovani
che inviasti per il mondo,
sentinelle del mattino,
segno vivo di speranza. RIT.
Portatore della pace
ed araldo di giustizia,
ti sei fatto tra le genti
nunzio di misericordia. RIT.
«Signori e fratelli in Cristo, la Casa Sollievo della Sofferenza è al completo. Ringrazio i benefattori d’ogni parte del mondo che hanno cooperato. Questa è la creatura che la Provvidenza, aiutata da voi, ha creato; ve la presento. Ammiratela e benedite insieme a me il Signore Iddio. È stato deposto nella terra un seme che Egli riscalderà coi suoi raggi d’amore. Una nuova milizia fatta di rinunzie e d’amore sta per sorgere a gloria di Dio, e a conforto delle anime e dei corpi infermi. Non ci private del vostro aiuto, collaborate a questo apostolato di sollievo della sofferenza umana, e la Carità Divina che non conosce limite e che è luce stessa di Dio e della Vita Eterna, accumulerà per ciascuno di voi un tesoro di grazie di cui Gesù ci ha fatti eredi sulla Croce. Quest’Opera che voi oggi vedete è all’inizio della sua vita, ma per poter crescere e diventare adulta questa creatura ha bisogno di alimentarsi e perciò essa si raccomanda ancora alla vostra generosità affinché non perisca d’inedia e divenga la città ospedaliera tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche e insieme ordine ascetico del francescanesimo militante. Luogo di preghiera e di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un solo pastore». «L’uomo che, superato se stesso, si china sulle piaghe del fratello sventurato eleva al Signore la più bella, la più nobile preghiera, fatta di sacrificio, di amore vissuto e realizzato, di dedizione in corpo e in spirito(…)In ogni uomo ammalato vi è Gesù che soffre! In ogni povero vi è Gesù che langue! In ogni ammalato povero vi è due volte Gesù che soffre e che langue. »
La Casa Sollievo della Sofferenza, un ospedale che fosse di tutti e si occupasse con uguale amore e cura del corpo e dell’anima, nasce nella mente di Padre Pio come un sogno. Un sogno grande, la sua “grande opera terrena”. E come tutte le opere terrene, come tutte le scelte, le strade, i progetti che siamo o ci sentiamo chiamati a portare a termine, comportava delle difficoltà. Queste difficoltà erano di natura principalmente economica ed organizzativa, ed in un contesto povero e martoriato quale poteva essere l’Italia, in particolare il Sud, del secondo dopoguerra, parevano ai più insormontabili. Insormontabili per tutti ma non per Padre Pio. La Casa della Sofferenza per alcuni era solo una necessità irrealizzabile, una sconfitta annunciata. Nonostante questo, con un capitale di soli quattro milioni di lire e una previsione di spesa di un miliardo, i lavori cominciarono, sotto la spinta caparbia e tenace di Padre Pio. Cominciarono con lo sbancare solo la terra sulla quale sarebbe sorto l’ospedale e l’aprire una strada; fatto ciò i soldi erano quasi finiti. Ma per questa strada, aperta in mezzo ad un terreno brullo e infecondo, passò una giornalista americana, la quale riuscì a far interessare al problema della Casa Sollievo un’organizzazione sovranazionale con sede negli Stati Uniti, innescando così una catena di solidarietà e di stanziamento di fondi che permise, anno dopo anno, la realizzazione graduale del progetto originario del frate. Forse era più forte, più presuntuoso, meno realista Padre Pio? Perché lui non vedeva le difficoltà che vedevano gli altri, perché si ostinava nel credere di poter costruire un ospedale in mezzo al nulla col solo ausilio di pochi milioni di lire e una manciata di contadini affamati di lavoro? La forza, la follia, la pienezza di sé, non hanno a che vedere con questa storia. Semmai il sentirsi piccoli, l’umiltà, hanno tutto a che vedere con questa storia.E la fede. La fede non ha fatto intravedere la strada, ma ha dato a Padre Pio la serenità di percorrerla. Non la forza, ma la serenità. La coscienza di avere un progetto e non volerlo solo per se stessi, non tenerselo stretto con le unghie dell’autosufficienza, e desiderare di non farcela da soli. Desiderarlo, perché si è consapevoli che essendo piccoli, da soli si faranno solo cose piccole. Una volta accettata questa cosa, guardatala in faccia, il progetto non può rimanere nostro. E’ un torto che gli facciamo, negandogli la grandezza. Rimesso a Dio, il progetto ha una forza vera, un respiro grande e profondo, un volo.
(Canto) Al ritmo di Dio
Quando l’Amore vi chiama seguitelo sempre Quando vi parla credete alle sue parole E quando Egli vi abbraccia lasciate entrare col suo Amor… Allegria o dolor
Quando l’Amore vi chiama sappiate: il cammino sarà sconosciuto, Quando vi parla credetegli anche se cambia tutti i vostri sogni E quando Egli vi abbraccia lasciate entrare col suo Amor… Allegria o dolor
NON TEMERE MAI… EGLI È FORTE NELLA DEBOLEZZA
NON FERMARTI MAI…CI SARÀ PER SEMPRE ACCANTO LA SUA CHIAREZZA
NON LASCIARLO MAI…LO SI TROVA NELLA LUCE E NELL’OSCURITÀ,
NON TEMERE MAI DI CAMMINAR…AL RITMO DI DIO
L’amore condiviso fra voi sia presenza,
La vostra vita donata, Sacramento
Ogni mattina, pregare al Respiro e all’alba tornerà La speranza certa. L’amor condiviso fra voi sia presenza dell’Amor fatto carne La vostra vita donata, Sacramento dell’Amore versato,
Ogni mattina, pregare al Respiro…
E all’alba tornerà …la speranza certa
Lui sarà per sempre con voi…
5. L’IMPORTANZA DELLA DONNA
“Maria era rimasta a piangere vicino alla tomba. A un tratto, chinandosi verso il sepolcro, vide due angeli vestiti di bianco. Stavano seduti dove prima c’era il corpo di Gesù, uno dalla parte della testa e uno dalla parte dei piedi. Gli angeli le dissero: Donna, perché piangi? Maria rispose: Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno messo. Mentre parlava si voltò e vide Gesù in piedi, ma non sapeva che era lui. Gesù le disse: Perché piangi? Chi cerchi? Maria pensò che fosse il giardiniere e gli disse: Signore, se tu l’hai portato via dimmi dove l’hai messo, e io andrò a prenderlo. Gesù le disse: Maria! Lei subito si voltò e gli disse: Rabbunì! (che in ebraico vuol dire: Maestro!). Gesù le disse: Lasciami, perché io non sono ancora tornato al Padre. Va’ e di’ ai miei fratelli che io torno al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. Allora Maria di Màgdala andò dai discepoli e disse: ‘Ho visto il Signore!’. Poi riferì tutto quel che Gesù le aveva detto”.
Nella Mulieris Dignitatem, il sommo Pontefice afferma che: “Sin dall’inizio della missione di Cristo la donna mostra verso di Lui e verso il suo mistero una speciale sensibilità che corrisponde ad una caratteristica della sua femminilità. Occorre dire, inoltre, che ciò trova particolare conferma in relazione al mistero pasquale, non solo al momento della croce, ma anche all’alba della risurrezione. Le donne sono le prime presso la tomba. Sono le prime a trovarla vuota. Sono le prime ad udire: «Non è qui. E risorto, come aveva detto» (Mt 28, 6). Sono le prime a stringergli i piedi (cf. Mt 28, 9). Sono anche chiamate per prime ad annunciare questa verità agli apostoli (cf. Mt 28, 1-10; Lc 24, 8-11). Il Vangelo di Giovanni (cf. anche Mc 16,9) mette in rilievo il ruolo particolare di Maria di Magdala. E’ la prima ad incontrare il Cristo risorto. All’inizio crede che sia il custode del giardino: lo riconosce solo quando egli la chiama per nome. «Gesù le disse: “Maria”. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbuní!”, che significa: “Maestro”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò subito ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto» (Gv 20, 16-18).” Per questo essa venne anche chiamata «la apostola degli apostoli», Maria di Magdala fu la testimone oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, fu anche la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli. Questo evento, in un certo senso, corona tutto ciò che è stato detto in precedenza sull’affidamento delle verità divine da parte di Cristo alle donne, al pari degli uomini. Si può dire che in questo modo si sono compiute le parole del Profeta: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo, e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3, 1).
(Canto) Credo in te Signore
CREDO IN TE, SIGNORE, CREDO NEL TUO AMORE, NELLA TUA FORZA, CHE SOSTIENE IL MONDO. CREDO NEL TUO SORRISO, CHE FA SPLENDERE IL CIELO E NEL TUO CANTO, CHE MI DÀ GIOIA.
CREDO IN TE SIGNORE, CREDO NELLA TUA PACE, NELLA TUA VITA, CHE FA BELLA LA TERRA. NELLA TUA LUCE CHE RISCHIARA LA NOTTE, SICURA GUIDA NEL MIO CAMMINO.
CREDO IN TE, SIGNORE, CREDO CHE TU MI AMI, CHE MI SOSTIENI, CHE MI DONI IL PERDONO, CHE TU MI GUIDI PER LE STRADE DEL MONDO, CHE MI DARAI LA VITA ETERNA.
“(…) Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». (…) In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. “
Durante il suo sacerdozio, Padre Pio non si stanca di annunciare Cristo alle sue figlie spirituali nonostante le tante persecuzioni subite per il rapporto, da molti frainteso in modo malizioso, instaurato con le donne che accorrevano a lui per abbeverarsi “dell’acqua viva”, come la Samaritana con Cristo. E così come con Cristo la gente “si meravigliava che stesse a discorrere con le donne”. Ma annunciare il Vangelo per Padre Pio non doveva trovare alcun limite, anche a costo dello scandalo. Per lui la salvezza spirituale di ogni anima, quella maschile come quella femminile, era di fondamentale importanza, soprattutto per quelle che avevano peccato perché come lui stesso diceva: ”Alla vostra anima non manchi l’àncora della speranza in mezzo ai flutti delle tribolazioni”. Perciò, il Santo, soprattutto attraverso le sue ammonizioni, faceva in modo che le donne capissero che trovarsi vicine a Cristo voleva dire riscoprire se stesse nella verità che egli «insegna» e che egli «fa», anche quando questa è la verità sulla loro «peccaminosità». Da questa verità esse si sentiranno «liberate», restituite a se stesse: si sentiranno amate di «amore eterno», di un amore che trova diretta espressione in Cristo stesso.
(Canto) La vera vite
IO SON LA VITE, VOI SIETE I TRALCI: RESTATE IN ME, PORTERETE FRUTTO.
Voi come tralci innestati in me
vivete tutti nell’unità:
unica in voi è la vita,
unico in voi è l’amore. RIT.
Il tralcio buono che porterà
frutti d’amore vivendo in me
il Padre mio lo poterà
perché migliore sia il frutto. RIT.
6. IL PASTORE CHE PORTA SULLE SPALLE LE PECORE A LUI AFFIDATE
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».Egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
In realtà Giovanni Paolo II non è stato il primo Papa a lasciare il Vaticano, a varcare le sue storiche mura e ad andare lontano “a far pascolare i suoi agnelli”, “cercando le pecore smarrite” e curando quelle “che si sono disperse”. Anche altri Papi hanno viaggiato, Paolo VI per esempio.Tuttavia, per quanto riguarda il numero di viaggi, paesi percorsi e popoli visitati, nessuno di loro supera il “Papa che è venuto da lontano”. I suoi viaggi, nella maggior parte delle volte, sono trascorsi senza grandi incidenti o problemi. Ma i problemi sono esistiti. Quando non erano problemi erano gli imbarazzi, come quello che è avvenuto a Dili (Timor Est) nel 1989.Ogni volta in cui scendeva dall’aereo che lo trasportava fino ad un determinato paese, Giovanni Paolo II baciava il suolo della nazione che lo accoglieva. Come fare a Dili, una colonia portoghese occupata dall’Indonesia? Se avesse baciato la terra avrebbe riconosciuto l’indipendenza, se non l’avesse baciata avrebbe ammesso l’invasione…I suoi accompagnatori non sapevano cosa fare, ma lui lo ha saputo: ha baciato un crocifisso esteso per terra. Era come avrebbe dovuto fare “colui che viene in nome del Signore!”Forse le sue stesse parole, dette quando visitava una parrocchia di Roma, possono spiegare un po’ del perché di tanti viaggi:In un mattino di gennaio, ancora nel 1980, un bambino di 11 anni ha chiesto a Giovanni Paolo II:- “Santo Padre, perché Lei è sempre in viaggio per il mondo?” – Con grande sollecitudine paterna, il Sommo Pontefice ha risposto al suo piccolo e rispettoso indagatore:”Il Papa viaggia tanto perché non tutto il mondo si trova a Roma.”Si troverebbe in questa risposta tutta la verità? O questa non sarebbe soltanto un’affermazione che il bambino sarebbe stato capace di capire nella sua semplicità? O ancora un’altra domanda possibile:La spinta che muove il Successore di Pietro nella sua inesauribile capacità di viaggiare, cercare anime e svolgere il suo lavoro apostolico sarà un atto di ubbidienza al mandato di Nostro Signor Gesù Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura!” (Mc 16,15-18).Non c’è una risposta del Papa a queste domande, che non gli sono state fatte da nessun adulto. Ma tramite la conoscenza che si ha del modo di essere, della personalità e della vita di Karol Wojtyla, chiunque può ipotizzare come sarebbe stata la sua risposta…Su questi pellegrinaggi, sulle camminate o sui percorsi apostolici che faceva fuori dal Vaticano, la certezza che possiamo avere è che, con la beatificazione di Giovanni Paolo II, la Chiesa riconosce che egli cercava di praticare le virtù cristiane in grado eroico, e che seguiva i consigli evangelici in ogni cosa, compreso in questi viaggi. E quindi, dopo tanti viaggi, tanti pellegrinaggi e camminate, adattando ciò che disse Isaia (Is 52,7), potremmo applicare a Giovanni Paolo II il verso: “come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza”. Al riguardo Giovanni Paolo II a conclusione del suo viaggio apostolico in Turchia egli dichiara: “Col cuore ancor pervaso da intense emozioni e portando nell’animo immagini indimenticabili di luoghi resi cari da venerande tradizioni, metto nuovamente il piede sul suolo d’Italia. Sono grato al Signore per l’assistenza che mi ha concesso anche in questo pellegrinaggio, che si è svolto all’insegna di due peculiari “note” della Chiesa, quella dell’apostolicità e quella dell’unità. Sono stato, infatti, a far visita a Sua Santità il Patriarca Dimitrios I, per rendere omaggio, insieme con lui, al fratello dell’apostolo Pietro e per confermare così che l’ascendenza apostolica rimane indelebilmente iscritta sul volto della Chiesa come uno dei tratti salienti. Con questo viaggio ho inteso, altresì, testimoniare la mia ferma volontà di andare avanti sulla strada che conduce alla piena unità di tutti i cristiani e recare, al tempo stesso, un contributo all’avvicinamento degli uomini fra loro, nel rispetto di ciò che è essenzialmente e profondamente umano.”
(Canto) Il Signore è il mio pastore
IL SIGNORE È IL MIO PASTORE,
NON MANCO DI NULLA (2V)
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce. RIT.
Mi guida e rinfranca nel giusto cammino,
per amore del Suo santo nome. RIT.
Se dovessi andare in valle oscura,
non potrò temere alcun male. RIT.
«Un uomo aveva due figli.Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. Ed egli divise fra loro i beni.Di lì a poco, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano, e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente.Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali.Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava.
Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te:non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi”.Egli dunque si alzò e tornò da suo padre; ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione: corse, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò.E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella, e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi;
portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato”. E si misero a fare gran festa.Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze.Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse.Quello gli disse: “É tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo”.Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare.Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici;ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”.Il padre gli disse: “Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”».
La Confessione impegnava Padre Pio per molte ore della sua giornata. Egli la esercitava con visione introspettiva e non lasciava al penitente adito ad ambiguità. Non era possibile mentire a chi vedeva nell’anima. Spesso, di fronte ai penitenti più emozionati, era lo stesso padre Pio che elencava i peccati commessi dal penitente. Padre Pio invitava alla Confessione, chiedendo di farvi ricorso, al più tardi, una volta alla settimana. Egli diceva: “Una stanza, per quanto possa essere rimasta chiusa, necessita di una spolverata, almeno una volta alla settimana”. In questo Padre Pio era molto esigente, egli esigeva una conversione vera e propria e non transigeva coloro i quali si recavano al confessionale per la sola curiosità di vedere il frate “Santo”. Un confratello raccontava: “Un giorno padre Pio negò l’assoluzione ad un penitente e poi gli disse: “Se vai a confessarti da un altro, vai all’inferno tu e quell’altro che ti da l’assoluzione”, come a dire, senza proposito di cambiare vita si profana il sacramento e chi lo fa si rende colpevole davanti a Dio. Spesso infatti Padre Pio trattava i fedeli con “apparente durezza” ma è altrettanto vero che lo stravolgimento spirituale che quel “rimprovero” procurava alle anime dei penitenti, si trasformava in una forza interiore a ritornare da Padre Pio, contriti, per riceverne la definitiva assoluzione. Ad aprile del 1948, durante le vacanze di Pasqua, Wojtyła partì per il Gargano con un seminarista suo connazionale e si trattenne qualche giorno nel paese in cui viveva Padre Pio. Le cronache registrano che ebbe vari incontri con il frate e che andò a confessarsi da lui. Nel novembre 1962 quando Wojtyła, già vescovo, era di nuovo a Roma per il Concilio, inviò una lettera a Padre Pio chiedendogli l’intercessione per la salute di una sua amica affetta da una grave neoplasia. La signora guarì, a detta dei medici stessi, in modo prodigioso. Il carteggio epistolare di tale evento è conservato come testimonianza.Wojtyła dimostrò sempre grande considerazione per il frate di Pietrelcina; fu proprio durante il suo pontificato che il frate fu prima beatificato (2 maggio 1999) e poi canonizzato (16 giugno 2002). Martire della confessione. Così venne chiamato Padre Pio per le tante ore dedicate ad amministrare questo sacramento.
(Canto) Se avessi mai commesso
Se avessi mai commesso
il peggiore dei crimini,
per sempre manterrei la stessa fiducia,
poiché io so che questa moltitudine di offese,
non è che goccia d’acqua
in un braciere ardente (x2)
Oh se potessi avere
un cuore ardente d’amore,
che resti il mio sostegno
non m’abbandoni mai,
che ami tutto in me,
persino la mia debolezza,
e non mi lasci mai,
né il giorno né la notte (x2)
Non ho trovato mai, creatura capace,
d’amarmi a tal punto e senza morire,
di un Dio ho bisogno,
che assunta la mia natura,
si faccia mio fratello,
capace di soffrir (x2)
Io so fin troppo bene che le nostre giustizie,
non hanno ai tuoi occhi il minimo valore,
ed io per dare un prezzo
ad ogni mio sacrificio,
gettare lo vorrei nel
tuo divino cuore (x2)
7. LA RINASCITA IN CRISTO
1.“Il dono più grande che potete fare alla Chiesa e al mondo è la santità”. (Incontro Nazionale dell’Azione Cattolica, Loreto il 5 settembre 2004) 2. “La vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri Sacramenti, principalmente dall’Eucaristia: rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare. La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cf. Rom 6, 22; Gal 5, 22), suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l’imitazione di Gesù Cristo, nell’accoglienza delle sue Beatitudini, nell’ascolto e nella meditazione della Parola di Dio, nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell’amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti “. ( Enciclica Christifideles laici, 30.121988) 3. “Carissimi amici, anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino..…A voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere nelle situazioni di ogni giorno”. (GMG 2000 Roma) 4.“La nostra salvezza non sta in una formula, ma in una persona. E’ il nostro rapporto con Cristo, è vivere della Sua vita che ci è donata attraverso la Parola di Dio e i sacramenti. Se Lui è il Figlio di Dio fatto uomo, il nostro atteggiamento non può che essere l’unione, l’assimilazione a Cristo”. ( Enciclica Novo Millennium Ineunte)
Il 1 maggio 2011 Papa Giovanni Paolo II è stato beatificato e verrà proclamato Santo il prossimo aprile. Il suo pontificato è durato 26 anni e già il giorno della sua morte risuonava da ogni parte del mondo l’affermazione “ Santo subito”. Al di là dell’affetto e della stima profonda che sta dietro a questa frase, la Chiesa ha accolto la richiesta del mondo intero di iniziare il processo di beatificazione di Giovanni Paolo 2 che porta alla proclamazione della sua santità, per la volontà di far circolare i valori che questo Papa ha incarnato e l’insegnamento che ha lasciato e, soprattutto, per donare agli uomini un altro esempio di vita santa su cui riflettere e dalla quale farsi ispirare.
Le reliquie che i fedeli da tutto il mondo hanno iniziato a richiedere e che oggi sono qui in questa Chiesa rappresentano questa volontà. Esse sono il segno storico e concreto della presenza del Santo in mezzo agli uomini e non deve essergli riconosciuta nessuna sorta di potere magico: sono piuttosto un richiamo a meditare continuamente su quello che Giovanni Paolo II ha predicato ed incarnato. Due atteggiamenti di Papa Giovanni Paolo II in particolare sono stati riconosciuti dalla Chiesa quale testimonianza della sua santità : LA FEDE NELLA PRESENZA DI DIO NELLA STORIA e LO SPIRITO MISSIONARIO. Egli infatti ha manifestato con la sua vita quello che non si è mai stancato di affermare nelle sue omelie e nei suo scritti a proposito della sanità. Per il Papa essere santi significa prima di tutto appartenere a Dio ed è con il battesimo, ci dice Giovanni Paolo II, che Dio entra dentro di noi, ci rigenera e ci dona la grazia per realizzare questa santità. Tutti, secondo il Papa, dovremmo aspirare con gioia alla vita santa, perché è lo stesso Gesù che è l’amore vivo ad invitarci. È Lui che dice ai noi: «chi rimane in me ed io in lui, porta molto frutto perché senza di me non potete far nulla». Ci invita a “rimanere” nel suo amore, noi che siamo poveri, fragili, insignificanti, veniamo attraversati dalla vita divina che ci fa uomini forti, discepoli docili, testimoni santi, capaci di ogni bene, ripieni di gioia che consola, portatori della speranza che conquista. La cosa più importante che Giovanni Paolo II ci insegna, quindi è che tutti possono essere santi, perché tutti quelli attraversati da Dio possono esserlo. Per questo è nostro compito realizzare la santità, che non significa fare qualcosa di straordinario, ma significa manifestare e testimoniare Cristo nella vita di tutti i giorni. Questo impegno riguarda tutti i cristiani, laici e non, perché in quanto figli, tutti, indifferentemente, siamo chiamati ad assomigliare al Padre. Ed è questo che Giovanni Paolo II ha più volte sostenuto: di seguire, conoscere ed imitare Gesù . Il Papa ha esortato soprattutto i giovani con queste parole: “ E’ Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”.
(Canto) Ditemi è vero
ditemi e’ vero? veramente e’ accaduto
ditemi e’ vero? voi lo avete veduto
ditemi e’ vero? cio’ che avete annunciato
ditemi e’ vero? voi che avete creduto
ditemi e’ vero? che l’uomo non e’ perduto
che le sue mani il cielo hanno toccato
ditemi e’ vero? che dio tra noi e’ venuto
e l’uomo dall’alto e’ rinato
DITEMI E’ VERO? CHE GESU’ E’ RISORTO
CHI CON LUI MUORE NASCE A
NUOVA VITA
CHI CON LUI VIVE AMA CANTA E CAMMINA
SULLA SUA STRADA NIENTE PIU’ E’ COME PRIMA
ditemi e’ vero? che il cieco ci vede
ditemi e’ vero? che il sordo ora sente
ditemi e’ vero? che lo zoppo e’ guarito
ditemi è vero che il muto urla di gioia
ditemi e’ vero? che l’uomo non e’ perduto
che le sue mani il cielo hanno toccato
ditemi e’ vero? che dio tra noi e’ venuto
e l’uomo dall’alto e’ rinato
“Santità vuol dire essere superiori a noi istessi, vuol dire vittoria perfetta di tutte le nostre passioni: vuol dire disprezzare veramente e costantemente noi stessi e le cose del mondo fino a preferire la povertà alle ricchezze, l’umiliazione alla gloria, il dolore al piacere.” “La santità è amare il prossimo come noi istessi e per amore di Dio. La santità, su questo punto, è amare fino a chi maledice, ci odia, ci perseguita, anzi persino a fargli del bene. La santità è vivere umili, disinteressati, prudenti, giusti, pazienti, caritatevoli, casti, mansueti, laboriosi, osservatori dei propri doveri non per altro fine se non di piacere a Dio, e per riceverne da lui solo la meritata ricompensa. La santità ha in sé la virtù di trasformare, secondo il linguaggio dei sacri libri, l’uomo in Dio.” Le angustie cui deve andar soggetta dovranno sorpassare di gran lunga le presenti e le passate, ma si tenga fortunata di questa grazia, cui Gesù è per elevarla. Questa è la via, per cui Gesù conduce le anime forti. Qui imparerà meglio a conoscere qual è la vera nostra patria ed a riguardare questa vita come breve pellegrinaggio. Qui ella imparerà ad elevarsi su tutte le cose create ed a mettersi il mondo sotto i piedi. Vi attingerà una forza ammirabile per portare una croce che è assai grave per un’anima tutta di Dio, cioè la noia ed il supremo fastidio che tutto ispira quaggiù. Lode e benedizioni a questo Dio di bontà!. ( Ep.II, 542-545)
“Voi siete gli eredi di Padre Pio e l’eredità che vi ha lasciato è la santità.” Con queste parole Papa Benedetto XVI si è rivolto ai frati durante un’omelia, tenutasi in occasione di una visita pastorale a San Giovanni Rotondo. Ed effettivamente, non c’è nulla di più vero, l’eredità di Padre Pio non ha nulla di materiale. L’eredità di Padre Pio, la più vera, la più evidente, è la santità. La sua testimonianza costituisce uno straordinario modello di vita santa, di straordinaria santità; egli ha ripresentato l’amore crocifisso, vivendolo in prima persona, attraverso una partecipazione vera, intima e profonda alla passione . “È il rappresentante stampato delle stigmate di nostro Signore Gesù Cristo”. Anche Giovanni Paolo II a questo riguardo affermò che in Padre Pio il desiderio di imitare Cristo crocifisso fu particolarmente vivo. Egli era epifania dell’amore crocifisso, una grande manifestazione di quella croce che è il centro e il senso della vita di ogni cristiano. Ed è proprio questa comunione indissolubile e profonda con Dio ad essere alla base della cosiddetta straordinaria santità dell’umile frate del Gargano. Egli infatti a differenza degli altri santi operava segni e prodigi non in nome di Gesù ma perché Gesù stesso personalmente li realizzava. Infatti, se Padre Pio fosse stato investito del potere di fare i miracoli, avrebbe tante volte ringraziato Dio per questo dono. Egli invece rimaneva indifferente, come se fossero cose che non riguardavano lui. Era talmente unito con Dio che non si accorgeva di operare insieme con lui. “non sono io che vivo, ma Cristo vive in me”, diceva San Paolo. A questo proposito risulta emblematico ciò che scrive padre Pio al suo Padre spirituale, egli asserisce che la sua anima tende a Dio solo, è tutta raccolta e concentrata in Dio, per cui tutte le facoltà si portano spontaneamente a Dio, senza avvedersene che opera per lui. E quello che più lo stupisce è che la sua anima non avverte questo moto verso Dio. La vita di San Pio aveva come perni fondanti la preghiera e la carità, unica via per la santità. Essi sono strumenti importantissimi perché consentono di ascoltare Cristo e compiere la volontà di Dio. San Pio definisce la preghiera come un incontro raccolto e prolungato con Dio; raccolto perché libero dalle preoccupazioni e delle contingenze delle nostre realtà quotidiane e prolungato in quanto ha bisogno del suo tempo, essendo un atto d’amore la preghiera non può essere confinata entro limiti temporali angusti. La preghiera è indissolubilmente legata alla carità intesa nella sua originaria accezione come amore disinteressato ovvero indipendente dal valore della persona. Prega chi ama Dio e non chi dice delle parole a Dio. Per chi ama Dio tutto diventa preghiera, perché in ogni momento il pensiero va all’Amato, a Colui che cerca e desidera: tutte le occasioni sono buone per vivere questo amore. Quindi la preghiera e la carità intrecciati l’uno all’altro come due aspetti della stessa questione, non possono che trasformare l’individuo renderlo altro da colui che era prima dell’incontro con Dio. Questo è il senso ultimo delle parole di san Pio tratte dai suoi scritti “La santità ha in sé la virtù di trasformare [...] l’uomo in Dio”. Il santo di Pietralcina, durante tutta la sua vita, aveva particolarmente a cuore la conversione della gente, il ritorno a Dio. La santità infatti non è solo per alcuni pochi prescelti, la santità è di ogni battezzato, è ciò a cui tutti i cristiani sono chiamati.
(Canto) Sono risorto
Sono risorto e sono sempre con te. ALLELUIA.
Hai posto la tua mano su di me. ALLELUIA
grande e mirabile è la tua sapienza.
ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA.
Ti rendo grazie, m’hai esaudito, ALLELUIA
perché sei stato la mia salvezza; ALLELUIA
hai provato il tuo servo, ma lo hai liberato.
ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA.
Camminerò davanti al Signore, ALLELUIA m’ha liberato dalla morte. ALLELUIA Il Signore ha spezzato tutte le mie catene.
ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA (2v)