Un giorno era venuto a trovare Don Bosco un signore distinto, un certo Giacomo Cerutti – racconta don Francesia nel suo libro Don Bosco amico delle anime -; nell’accomiatarsi, gli baciò con affetto la mano. Fu allora che Don Bosco confidò al suo don Francesia la storia di quel signore.
Don Bosco cominciò a parlare così: «Quel signore si è sempre mostrato affezionato all’Oratorio; per me aveva un affetto tutto straordinario. Rimasto orfano di mamma fin da fanciullo, col babbo impegnato nel lavoro, trovò qui all’Oratorio pane e conforto. Cominciò a venire all’Oratorio di San Francesco d’Assisi e mi seguì poi a Valdocco. Ogni festa me lo vedevo com¬parire davanti e vi si fermava, dimenticandosi della casa, del babbo, del mangiare e di ogni altra cosa. Era il primo a venire e l’ultimo ad allontanarsi. Non parlava molto, ma ascoltava e rifletteva. Ogni domenica si accostava alla Comunione. La sua felicità era fermarsi con noi, ascoltare qualche mia parola e poi prendere parte a qualche gioco.
Un giorno me lo vidi davanti; più tardi mi disse di avermi anche salutato e che io non avevo risposto al suo saluto. Bastò questo per fargli girare la testa. Mi venne ancora vicino, ma già col cuore turbato. Dopo due o tre giri per il cortile, se ne andò. Un compagno, impressionato del suo turbamento, gli corse dietro:
- Cerutti dove vai?
- A te che importa?
- M’importa, sì, perché è ora che tu rientri al¬l’Oratorio.
- All’Oratorio? E’ inutile che io ci vada, perché Don Bosco… – e scoppiò a piangere.
- Ma che c’è? Don Bosco ti ha forse sgridato?
Il ragazzo rivelò che per disperazione andava a get¬tarsi nel fiume Po e soggiunse:
- Che cosa farei al mondo senza l’appoggio e la benevolenza di Don Bosco?
Il compagno prese per mano Cerutti, lo ricondusse all’Oratorio e lo presentò a Don Bosco. «Io – continuò Don Bosco – gli andai incontro e gli dissi:
- O caro Cerutti, stavo domandandomi come mai stamane non ti avevo ancora visto.
- Davvero?
- Devi sapere che tu sei la pupilla dei miei occhi».
Bastò questo complimento così spontaneo per rasserenarlo e farlo splendere di gioia.
«Quella sera – aggiunse ancora Don Bosco – ven¬ni a sapere tutta l’avventura dal compagno di Cerutti, che l’aveva salvato dal commettere un grosso spropo¬sito; e dovetti persuadermi che certi ragazzi han bisogno di molta sorveglianza e di molto interessamento».
• I ragazzi, oltre che della lode, han bisogno anche di complimenti. Il complimento non è adulazione e nem¬meno lode. La lode è una cosa desiderabile, che infonde calore; i ragazzi se ne cibano come del pane. Ma la lode bisogna guadagnarsela. E va meritata, come l’abbraccio di un bimbo. Il complimento invece è un dono spontaneo. Non è mai artificioso. Non deve sembrare premeditato o studiato.
• I ragazzi, se coltivati, hanno la dote dell’autenticità e della naturalezza nel fare un complimento. Non hanno ancora avuto il tempo di imparare l’adulazione; e in loro la lode non è istintiva. « Cara mammina -scrisse una bimba di sette anni un giorno che era andata col babbo a trovare i nonni in un’altra città -mi diverto molto, ma sono triste perché tu sei tanto lontana. Sento la tua mancanza con le braccia, con le gambe e con lo stomaco».
• Fate sapere ai ragazzi che chi inventa complimenti, spesso ne riceve. Una fanciulla che era solita complimentare la sua domestica con un vocabolario pittoresco, un giorno che le si presentò con un paio di scarpette di vernice, si ricevette il seguente complimento: «Guardate la mia piccina. Sembra la stella del mattino».
Don Bosco si catturò la riconoscenza per tutta la vita quando a quel desolato ragazzo che era Giacomo Cerutti lanciò un bouquet che aveva tutto il profumo dell’autentico complimento: «Devi sapere che tu sei la pupilla dei miei occhi».