M’incontrai un giorno – racconta don Cassano nel suo libro Lezioni di un Santo – con un vecchietto che da fanciullo aveva conosciuto Don Bosco e gli aveva parlato. Me ne fece questo ritratto: «Don Bosco aveva la faccia bruna, la bocca grande, i capelli un po’ ricciuti, il capo chino come sotto un carico di pensieri. Parlava piano: guardava fisso. Diceva bonariamente, cercando di liberarsi dalle strette di noi ragazzi: «Lasciatem, figlioli. Non stracciatemi questa povera veste». Aveva le mani morbide, le maniche larghe e le palme una nell’altra. Chi l’ha visto, chi ha parlato con lui, l’ha sempre vivo davanti agli occhi e in fondo al cuore».E il vecchietto, rispolverando i suoi ricordi, riferiva che la cosa che più l’aveva colpito in Don Bosco era il suo modo di agganciare conversazione con i ragazzi, la sua maniera tipica di conversare «Ero allora un ragazzo di tredici anni e lavoravo con mio padre nell’orto del colle¬gio di Borgo San Martino, che Don Bosco visitava al¬meno un paio di volte all’anno. Entrando in casa egli non mancava di fare una capatina nell’orto.
- Ebbene, Cecchino, sono mature le pesche?
Era proprio lui che mi faceva questa domanda. Io mi avvicinavo un po’ confuso.
- Come va, Cecchino?… Sono venuto a trovarti. Sei contento?… E dimmi un po’: sei bravo?
- Così, così…
Allora lui mi sorrideva e mi guardava. Una volta mi mise persino una mano sul capo: mi pare di sen¬tirla ancora quella mano… Se gli offrivo un fiore o un frutto mi diceva: «Lo terrò per tuo ricordo». Ma il più im portante è quando mi disse in confidenza: «Ti piace¬rebbe, Cecchino, venire con me a Torino?». E Don Bosco alla fine se ne andava toccandomi la mano co¬me un amico, tirandomi dietro sul sentiero con il suo sguardo che pareva avesse la calamita. Caro Don Bosco! Da vent’anni porto il suo ritratto nel portafoglio».
Don Bosco aveva l’arte di saper conversare. La buo¬na conversazione nasce evidentemente da una buona educazione, cioè da una educazione integrale ai rapporti sociali. Ecco alcune norme che vanno insegnate ai ragazzi.
• Interessarsi agli altri. Ciò esige che non ci si dilun¬ghi sui propri guai, sui fatti personali e su quelli che s’imperniano sul proprio io.
• Insegnate ai ragazzi a non monopolizzare la conversazione. La conversazione dev’essere tranquilla e riposante, con un frequente scambio di opinioni. Un amico del saggista e storico inglese Macaulay diceva di lui: «Di tanto in tanto ha dei momenti di silenzio che rendono piacevolissima la sua conversazione».
• Insegnate ai ragazzi a dimostrare anche esternamente sincero interessamento per quanto gli vien detto. Questo induce chi parla a dare il meglio di sé. Il ragazzo costaterà che chi parla, se nota attenzione da parte di chi l’ascolta, si apre come un fiore al sole.
• Insegnategli a evitare le mormorazioni e i discorsi demolitori. Il ragazzo deve imparare a non fare le critiche non necessarie, a evitare il desiderio di suscitare l’ilarità mettendo in ridicolo qualcuno o qualcosa, a sfuggire la tendenza a rilevare il lato sgradevole della vita. Il sarcasmo può apparire intelligente, ma spesso mette gli altri a disagio.
• Insegnategli a non contraddire. Potrà sempre dire: « Non sono completamente d’accordo su questo», ma la contraddizione secca e decisa mette fine a qualsiasi dialogo. Bisogna cercare di trovare punti d’intesa. E’ un arricchimento vicendevole e lo si ottiene quando non c’è competizione, ma un tranquillo e pacato scambio di idee.
• Insegnategli a non trinciare giudizi, con tono sussiegoso e di ostentata sufficienza. Chi sa veramente, di solito parla «con umiltà e saggezza» (dice l’apostolo San Giacomo), mentre l’ignorante è sempre pronto a sparare giudizi… In definitiva il segreto è semplice. Diceva Don Bosco: «Per parlare bene, bisogna pensare bene». Lo storico Nicolson disse un giorno al figlio adolescente, a proposito di interessamento nella conversazione: «Soltanto una persona su mille è noiosa… e anch’essa è interessante perché è una persona su mille».