Erano prossime le vacanze estive del 1878. Don Bosco una sera, nel silenzio di centinaia dei suoi ragazzi che lo stavano ad ascoltare, raccontò un sogno: « Mi trovavo vicino a un giardino con adiacente un vastis¬simo prato. Alcuni amici mi invitarono a entrarvi. Entro e vedo un enorme gregge di agnellini che saltella¬vano, ruzzolavano e scapriolavano. All’improvviso si apre una porta che dal giardino immette nel prato. Gli agnellini in massa corrono fuori per andare a pascolare. Che gioia per quegli agnellini vivere allo stato brado! D’un tratto il cielo incupisce; schioccano i lampi e rotolano i tuoni. Gettai un grido: «Arriva il temporale. Presto, in salvo, al riparo». E mi metto con i miei amici a sospingerli verso il giardino. Molto pochi ci ubbi¬dirono; la massima parte ci sgusciava via e voleva rimanere nel prato. Nel giardino c’era una fontana con la scritta «Fons Signatus» (Fontana Sigillata). Era una fontana coperta; improvvisamente gli zampilli d’acqua si sventagliarono a formare una specie di tendaggio, una tettoia di protezione, quasi uno scudo di riparo. Capii che la fontana significava la Madonna. Noi allora ci rin¬tanammo al sicuro sotto quella cupola di luce, mentre fuori scrosciava l’acqua del diluvio e martellava la gran¬dine. Preoccupato della sorte di tutti gli altri agnellini rimasti incustoditi nel prato mi avventurai fuori a vederli. La pioggia infittiva. Li trovai tutti straziati dai chicchi enormi della grandine. Intanto la tempesta era cessata. Al mio fianco uno sconosciuto mi avvertì: «Guarda la fronte di quegli agnelli feriti». Vi lessi su ciascuna il nome di uno dei miei ragazzi dell’Oratorio. Allibii. Nel frattempo mi venne offerto un vasetto d’oro con un coperchio di argento e mi fu detto: «Tocca con la mano, intinta di questo unguento, le ferite di quegli agnellini e subito guariranno». Cominciai a chiamarli; non mi ascoltavano. Mi avvicinavo per medicarli con l’unguento; ma mi sfuggivano. Quei pochi che mi lasciavano fare, guarivano immediatamente al tocco dell’unguento e con saltelli di gioia rientravano nel giardino. Ero sconsolato e mi domandavo come mai si rifiutavano di guarire: «Lascia fare, – mi suggerì uno degli amici – rientreranno e verranno». Come mai era accaduta quella tragedia? Mi volsi e vidi sventolare un vessillo con su scritta una parola: VACANZE. « Questo è l’effetto delle vacanze – mi spiegò un amico.
- I tuoi ragazzi si lasciano devastare dalla burrasca delle vacanze. Prepàrali».
• Le vacanze suscitano nei giovani la nostalgia del viaggiare. Il ragazzo si riconosce pellegrino sulla terra; rivive inconsciamente «l’esodo nel deserto». Di fronte a questo appello migratorio il giovane nei mesi che precedono elabora piani col suo gruppo e con gli amici. Terminate le vacanze, rievoca e discute le esperienze vissute.
• Di anno in anno le vacanze diventano per i ragazzi un avvenimento di grande importanza. Molti adulti accusano spesso i giovani di ignorare le bellezze del loro ambiente e di aspirare solo a terre lontane e a paesi stranieri, gli rimproverano di voler girare il mondo. Ma è proprio questa la caratteristica della giovinezza: il voler conoscere soprattutto le cose lontane. In paesi lontani i giovani si rifanno l’occhio nuovo per contemplare e amare meglio la propria patria. Solo chi è stato lontano da casa ha l’occhio stupefatto per riscoprire le bellezze del proprio paese.
• Occorre però anche preparare i ragazzi a programmare i rischi e le sorprese, soprattutto di carattere morale e spirituale, a cui vanno incontro se non sono ade¬guatamente premuniti. Occorre metterli all’erta perché sappiano difendersi dall’ebbrezza della libertà e della vita allo stato selvaggio, che li lascia indifesi di fronte alle seduzioni del peccato. E’ questo aspetto che preoccupava tanto Don Bosco e che gli faceva dire: « Le vacanze sono la vendemmia del diavolo».
• Tocca ai genitori opportunamente smorzare le punte di ribellione e le insofferenze dei giovani dì fronte agli imprevisti delle vacanze. Le vacanze talvolta mettono a dura prova la pazienza giovanile. Racconta una madre: «Eravamo andati tutti assieme a trascorrere una breve vacanza in una vecchia locanda arredata all’antica. Laura, la mia figlia di 14 anni, ne rimase terribilmente delusa: si aspettava un posto molto più confortevole. Quando ci accompagnarono nelle nostre stanze (senza radio e televisione), Laura disse che odiava quella vecchia stamberga e che non sarebbe scesa con noi a cena, per protesta. “Sei delusa – le dissi; vorresti che fossimo in un albergo più elegante”. “Si” mi rispose con amarezza. Le chiesi di venire a mangiare nonostante la sua luna. Le passai un braccio attorno alle spalle e le dissi: “Laura, ti troverai certo meglio venendo giù con noi a cena che restandotene in camera tutta sola”. In passato mi sarei messa a discutere. La avrei accusata di ingratitudine, l’avrei canzonata per i suoi gusti. Mi sforzai di capirla. Laura scese con noi a cena e rifiorì. Ci voleva così poco».