Don Bosco era appena rientrato da un lungo viaggio: si era nel 1885, tre anni prima che morisse. In infermeria giaceva malato grave un adolescente irlandese, Francesco O’Donnellan. Il 19 ottobre Don Bosco lo andò a trovare; l’adolescente era tranquillo; il volto rivelava una calma interiore e una soavità celestiale. Don Bosco rimase colpito dalla bellezza di quell’anima. Gli chiese: « Non hai nessuna commissione da lasciarmi per questa terra?… Ne vorresti ricevere qualcuna per il Paradiso? ». Il ragazzo sorrise e rispose: « Sono tranquillo. Per questa terra non ho commissioni. In quanto al Paradiso, mi dica lei ». « Noi pregheremo per te perché tu possa essere presto in Paradiso e lassù dirai alla Madonna che noi l’amiamo tanto tanto ». Il ragazzo morì la sera del giorno seguente. Il 22 fu sepolto; nella bara il suo volto era diventato estremamente bello. La notte della sepoltura Don Bosco ebbe un sogno e lo raccontò così: « Ero andato a dormire con la mente piena del pensiero di Francesco, della sua tranquilla bellezza, della speranza che fosse già in Paradiso, del desiderio di sapere qualcosa sul conto suo. A un tratto sognai: mi pareva di camminare, ed ecco che al mio fianco apparve Francesco, così bello che sembrava un angelo; sorrideva con un sorriso che estasiava e tutta la sua persona irradiava luce, folgorava di bagliori. Io non potevo saziarmi di guardarlo. La sua anima traluceva nel volto. Era così bello… ». Don Bosco s’interruppe perché non riusciva a trovare una qualche immagine o parola che esprimesse la gioia di quella bellezza paradisiaca e il fascino che se ne sprigionava.
Ecco: nella pubertà psichica il corpo del ragazzo diviene espressione e rivelazione della sua anima; il corpo (soprattutto il volto) diventa in senso pieno « manifestazione dello spirito »; o meglio: epifania di quell’io verso il quale il giovane cerca di aprirsi la strada. Il volto tende ad accollarsi il compito di rappresentare visibilmente l’io invisibile. L’io cioè si sceglie il corpo come sua espressione esteriore, si identifica quasi con esso. Si desta allora e si acuisce nel ragazzo il desiderio di essere bello e di diventare bello.
Nell’adolescenza i ragazzi soffrono veri tormenti quando scoprono qualche loro difetto fisico, soprattutto se si tratta di difetti non eliminabili. « lo ho un grosso dispiacere – scrive una ragazza di 16 anni – perché non ho raggiunto finora che la sconsolante statura di metri 1,49. Talora mi arrabbio col Signore e mi auguro di morire. Non riesco ad accettare la mia situazione né lo voglio ».
Occorre insegnare ai ragazzi che devono distinguere tra la bellezza esteriore (misurabile in centimetri) e la bellezza interiore (che riluce dagli occhi e dal volto). Un’armoniosa corrispondenza tra la bellezza esteriore e interiore è una delle cose più rare al mondo. Ma tra le due bellezze è sempre preferibile quella interiore, che nasce dall’anima. In ogni età è possibile essere belli, ma di una bellezza che è, di volta in volta, varia e diversa. E’ necessario curare la propria bellezza nel modo migliore e per tutta la vita, non soltanto in vista dei figli (i ragazzi vogliono avere dei genitori, o degli educatori, belli e interiormente giovani), ma anche in vista di se stessi, poiché l’anima desidera sempre trasparire attraverso il corpo. Essere belli, nel modo migliore e più confacente alle diverse età della vita, è un dovere morale.
I ragazzi sentono il bisogno di diventare belli: limano e si tagliuzzano le unghie per dei quarti d’ora. Soprattutto nei capelli i ragazzi concentrano tutta la loro attenzione. Un attacco alla loro pettinatura vien da loro sentito come una minaccia alla propria esistenza. Hanno ai riguardo delle reazioni feroci. « Un ragazzo – racconta un educatore – si lasciava cadere un ricciolo sulla fronte. Il babbo lo canzonò e lo rimproverò. Il ragazzo punì suo padre proprio nel punto più sensibile: trascurava gli studi».
I ragazzi (e soprattutto le ragazze che iniziano a farsi belle con l’uso dei cosmetici) devono sentire che: il loro desiderio di diventare belli è pure condiviso dagli educatori e dai genitori. Già da piccole le ragazze devono poter dire: ecco, la mamma non mi mette addosso un vestito qualunque ma quello che più mi si adatta. E’ questa l’educazione al buon gusto. Se la si trascura si finisce con lo scoprire troppo tardi che «le figlie più pazze appartengono alle madri più all’antica».