Venerdi 9 agosto 2013 ha chiuso la sua operosa giornata nel tempio di Don Bosco, dove aveva lavorato per circa 10 anni e ha ricevuto l’ultimo saluto.
Una vita movimentata quella di don Italo. Nato il 16 marzo del 1932 ad Arborea, diocesi e provincia di Oristano, cresce in una famiglia di cristiani convinti e praticanti, il che ha permesso che si sviluppasse subito in lui il germe della vocazione, tant’è che lo troviamo, ancora giovanissimo, nel seminario minore della diocesi di Ales, a Villacidro (OR). Non vi rimane molto, perché l’anno dopo viene accolto come aspirante nell’istituto salesiano di Cagliari “Don Bosco”. La sua naturale bontà, unita a una vivace intelligenza e a una caparbia voglia di fare il bene, soprattutto tra i giovani, lo spingono a chiedere di entrare in noviziato.
SALESIANO
Così il 16 agosto del 1953 emette la sua prima professione religiosa e inizia il tipico “vagabondare” salesiano. Lo troviamo, infatti, in un primo tempo a Roma “San Callisto” per gli studi filosofici, poi torna nella sua Sardegna, precisamente a Santu Lussurgiu, dove svolge il tirocinio pratico, come vuole la regola: in tirocinio infatti si mettono in pratica gli insegnamenti ricevuti al noviziato, ci si ritrova ad essere “salesiani sul campo”; costituisce dunque un periodo fondamentale, una formidabile autoformazione. Terminato il tirocinio, don Giovanni Italo torna “in continente”, come usavano e usano dire i sardi che si spostano dall’isola alla penisola, e precisamente a Castellammare di Stabia per gli studi teologici. Dopo l’ordinazione sacerdotale, il 19 marzo 1964 (i salesiani avevano scelto una bella data per le ordinazioni: la festa del giusto Giuseppe, lavoratore e capo della S. Famiglia, come a dire che i salesiani non devono mai dimenticare sia “il posto di lavoro, sia il lavoro del posto”), eccolo sbarcare a Cagliari. Quindi di nuovo a Santu Lussurgiu, poi Roma – Sacro Cuore, da lì a Roma Gerini, successivamente a Roma Testaccio, infine a Roma Don Bosco.
Durante il lavoro pastorale non dimentica quello intellettuale e completa il suo curricolo di studi con l’abilitazione in lingue e la licenza in teologia presso l’Antonianum.
Mette così nella sua gerla salesiana non pochi meriti come educatore, insegnante, amico dei giovani, e fa quello che sempre ha raccomandato don Bosco: ama quello che giovani amano per stare loro vicino e aiutarli nelle difficoltà della vita. Don Italo viene considerato “educatore e amico”, l’inscindibile binomio salesiano che ha conquistato il cuore di migliaia di ragazzi in ogni parte del mondo e che tanti hanno tentato di imitare. Sembrava ormai avviato a una promettente “carriera” tutta salesiana, piena degli ingredienti che da sempre accompagnano i figli di don Bosco nello svolgimento della loro missione apostolica ed educativa che il Sistema Preventivo pone loro in mano; gli ex-allievi del nostro “don” lo ricordano tutti con grande affetto e riconoscenza. E invece…
LA PROVA
A partire dall’estate del 1971 si apre per lui un periodo di particolare sofferenza. La salute dei genitori precipita, né stanno meglio i fratelli. Suo malgrado don Italo è costretto a chiedere un periodo di “absentia a domo” che egli in cuor suo pensava di concludere nel giro di qualche anno e che, al contrario, supererà tutti i limiti, prolungandosi fino all’anno 2001. Circa trent’anni in cui don Italo ha fatto il buon samaritano ai suoi parenti ammalati. Ma non ha dimenticato di impegnarsi pastoralmente sia nella Chiesa locale, sia come cappellano solerte e premuroso presso l’Ospedale Spallanzani, sia nell’opera salesiana come insegnante a Roma/Gerini prima e al Prenestino poi. Anche in quest’ultimo periodo di insegnamento, durato fino al 1997 don Italo si fa apprezzare dai confratelli salesiani presso le due opere in cui presta il suo servizio, ma anche dagli allievi che continuano a ricordarne la competenza professionale e la bontà sacerdotale. Alcuni lo descrivono ancora come un insegnante “fuori dell’ordinario”, un educatore attento e sensibile soprattutto verso i più sprovveduti e un sacerdote dotato di quella sapienza divina che ne faceva un direttore di spirito ricercato e apprezzato. Tuttavia la sua principale occupazione resterà per un trentennio l’assistenza ai genitori e fratelli infermi, ricoverati allo Spallanzani. Viene incontro a tutte le loro necessità materiali e spirituali con l’affetto del figlio e del fratello e con lo zelo dell’apostolo. Don Italo ha sempre avuto un grande cuore sacerdotale e l’ha dispiegato soprattutto attraverso il suo apostolato sacerdotale oltre che attraverso la sua carità concreta profusa nel servizio di consigliere, infermiere, soccorritore, amico…
DI NUOVO A CASA
Quando, dopo il grande Giubileo del 2000, si è ritrovato libero, la nostalgia di casa, quella di elezione, quella salesiana, ha subito ripreso il sopravvento ed egli ha chiesto di rientrare in congregazione con tutti i diritti e i conseguenti doveri. Ma si può ben dire che in realtà don Italo dalla congregazione non era mai uscito. Eccolo, dunque, inserito finalmente in una comunità a tempo e titolo pieno. La fortuna toccò al Don Bosco, dove egli fece il suo ingresso nel settembre dell’anno giubilare, accolto con gioia dai confratelli di quella casa. Con la sua solita mitezza e obbedienza, si mise subito umilmente a disposizione. Già quasi settantenne, si fece carico del fardello di pene e di colpe di cui è abbondantemente fornito il cuore di ognuno dell’uomo. I fedeli della grande parrocchia salesiana ne poterono in breve tempo ammirare la dedizione totale e la competenza “professionale”. Divenne il confessore fisso, sempre a disposizione, sempre pronto ad ascoltare, consigliare, correggere, incoraggiare… “Sapeva dire una parola buona a tutti e in ogni circostanza, perché anche lui aveva sofferto non poco e aveva visto soffrire i suoi”, dice una sua penitente. E un’altra: “Una volta che non lo trovai, l’ho aspettato. Non più di cinque minuti. Arrivò un po’ affannato, si mise in confessionale e la prima cosa che fece, appena aprì la grata, fu quella di scusarsi per il ritardo, come se avesse commesso chissà quale colpa. Mi ha commossa. Si è scusato, ha capito? Roba da non crederci!”. Non esistevano certo argomenti per non crederci: don Italo era fatto così. Per quasi 10 anni ha esercitato questo splendido ministero, fondamentale per scoprire la ricchezza del perdono di Dio a fronte della assoluta povertà del perdono dell’uomo. Al perdono di Dio aggiungeva con semplicità una sua personale parola di conforto, anche perché molti andavano a esternargli le proprie pene invece che i propri peccati. Lui con pazienza certosina ascoltava, ascoltava, ascoltava… infine da esperto in materia interveniva con alcuni consigli che sempre facevano effetto sui penitenti che tornavano volentieri al suo confessionale.
L’ULTIMA TAPPA
L’età e gli acciacchi cominciavano ormai a lasciare vistose tracce sia sul suo fisico, sia anche sul suo umore. Don Italo non fu mai un colosso di salute e la lunga sofferenza dei suoi aveva lasciato tracce evidenti sul suo volto: lo sguardo, il sorriso appena accennato, l’atteggiamento spesso incerto e tentennante, la voce flebile e spesso in affanno. Né don Italo riusciva a sopportare bene i continui attacchi che inesorabilmente minavano con sempre maggior frequenza la sua malferma salute. Se ne lamentava, ricorreva spesso ai medici, faceva indagini diagnostiche, prendeva pillole, stava attento nel mangiare e nel bere. Tutto ciò né ha migliorato parametri e valori né è riuscito a rinfrancare il suo animo. E tuttavia il confessionale continuava a essere la sua cattedra, lasciata ormai da tempo e senza rimpianti quella di insegnante di inglese. La gente se ne andava rasserenata dopo il colloquio sacramentale con il proprio confessore. Questa è stata la sua forza e la sua soddisfazione degli ultimi tempi in cui ha vissuto al Don Bosco, quando la situazione della salute continuava a precipitare senza rimedio ed egli venne, suo malgrado, trasferito nella infermeria ispettoriale. Non vi si recò volentieri, ma accettò l’obbedienza e si adattò in qualche modo ai nuovi orari e alla nuova occupazione: fare da ammalato.
Il Signore misericordioso accolgo il suo servo buono nell’abbraccio della sua gloria.
Don Giancarlo Manieri
e la comunità del Don Bosco
Dati per il necrologio: nato ad Arborea il 16 marzo 1932; morto a Roma, comunità Artemide Zatti, l’8 agosto 2013