È morto a 91 anni nell’infermeria ispettoriale del Pio XI, a Roma, carico di virtù e di meriti, il 30 ottobre 2011 alle ore 18. Nel tempio di D. Bosco, dove aveva lavorato per quasi 30 anni, ha ricevuto l’estremo saluto.
Una vita intensa che solo la robustezza fisica e morale non ha fiaccato prima del tempo. Non era un agnellino… qualcuno dei suoi tanti exallievi preferiva piuttosto definirlo “un caprone… incapace di usare le corna”, perché era sì capace di inalberarsi di colpo, soprattutto quando vedeva che le cose andavano storte, ma venti secondi dopo aveva dimenticato tutto e il sorriso tornava a illuminargli il volto. “Attirava la gente come il fiore attira l’ape”, ricorda un parrocchiano. Un cuore missionario quello di don Italo: non riusciva a sopportare che ci potesse essere qualcuno che soffriva per indigenza. I senza/lavoro facevano la fila per chiedergli un aiuto e lui si metteva in moto, telefonava a destra e a manca, contattava politici e imprenditori, scriveva, riscriveva, implorava, insisteva opportune et importune e forse per questo, proprio come dice il Vangelo, qualche “pezzo grosso” pur di levarselo di torno gli concedeva ciò che implorava. Non pochi lo ricordano affermando: “Se ho trovato un lavoro lo devo a lui”.
Da buon salesiano, voleva bene ai ragazzi: erano la sua corona. Li andava a cercare, li organizzava, li curava come un papà, anzi come una mamma, e talvolta ci scappava qualche sculacciata. “Benedetta sculacciata!”, ha esclamato un exallievo dell’oratorio del Don Bosco. “Mi faceva vedere i sorci verdi – dice un affermato professionista con colorita espressione – ma se non ci fosse stato, se non mi avesse costretto a fare il buono, forse non sarei quello che sono”. “Era l’uomo del buon umore… Era di buon umore anche quando s’arrabbiava. Davvero!”. La corona di ricordi di quelli che hanno avuto la fortuna di averlo incontrato potrebbe continuare per pagine.
Al Don Bosco accudiva in totale a circa 2500 ragazzi che frequentavano i corsi di Iniziazione Cristiana: “Non si fermava mai”, nota un confratello. Si assicurava che tutto procedesse a puntino soprattutto per quelli che erano direttamente affidati alle sue cure, cioè i circa 1500 ragazzetti della prima Comunione. Da lunedì a venerdì e da ottobre a maggio, li radunava sotto il portico del cortile interno dell’opera a gruppi, secondo le indicazioni dei cartelli che affiggeva alle colonne, poi li accompagnava nelle aule per il catechismo. La domenica celebrava la messa nella grande cripta del tempio con l’assistenza attiva di oltre un centinaio di catechisti. Quando, alla fine della liturgia, i ragazzi sciamavano in cortile, erano una folla allegra e festante.
Fu al fianco del parroco don Savino Losappio nell’organizzare un folto gruppo di uomini che, coinvolti come collaboratori, presero a impegnarsi in parrocchia, animati proprio da don Italo e sostenuti dal suo carisma di lavoratore sempre disponibile e mai stanco, sempre sorridente e mai ingrugnito, sempre pronto a ogni servizio e mai riottoso. Il gruppo ha continuato per anni a fare servizio in parrocchia, promuovendo un’incredibile serie di attività che andavano dalla liturgia alla sistemazione della basilica, dalla accoglienza all’informazione, dalla manutenzione delle attrezzature alla organizzazione di pellegrinaggi, dalla raccolta degli olivi per la domenica delle Palme, quando migliaia di persone affollavano la suggestiva liturgia del trionfo del Signore, alla raccolta delle intenzioni di messa per i defunti. Don Italo non faceva il manager del gruppo, era semplicemente uno di loro che come loro si rimboccava le maniche e ci dava dentro per sistemare quanto c’era da sistemare. Qualcuno di questi uomini è tuttora impegnato in parrocchia.
Né si può dimenticare la sua attività con il TGS che contava oltre 700 iscritti. Gite e pellegrinaggi in Italia e all’estero formavano il pezzo forte del programma di gruppo che tuttavia operava anche organizzando soggiorni in montagna e al mare per il periodo estivo ed escursioni sulla neve durante il periodo invernale. Di costoro era l’assistente spirituale, intento a portare avanti con scrupolo e oculatezza un fecondo apostolato turistico.
Un’altra sua cattedra, tra le tante accennate, quella a cui teneva di più, era il confessionale. La lucetta rossa spessissimo accesa testimoniava la sua disponibilità anche in questo delicatissimo servizio sacramentale che svolgeva con cura encomiabile. “Se non era in confessionale, lo trovavi certamente in ufficio, a continuare la sua direzione spirituale con più libertà e più tempo da dedicare a chi chiedeva il suo consiglio”, è ancora uno dei suoi assistiti a ricordarlo con malcelata ammirazione. Gli abitanti del quartiere venivano a frotte, sicuri di trovarlo e soprattutto certi che sarebbe stato a loro disposizione. Spesso erano persone che richiedevano la sua presenza presso la loro abitazione, accanto a un ammalato che desiderava i sacramenti o a un portatore di handicap desideroso di una parola di consolazione o di incoraggiamento, o solo la sua benedizione. Manco a dirlo, terminato il lavoro che aveva tra le mani, si metteva subito in viaggio per arrivare all’appuntamento “con Gesù sofferente”. Ecco anche perché tanti, durante la sua malattia e dopo il trasferimento all’infermeria ispettoriale, non cessavano di chiedere notizie di lui. Era un uomo dai rapporti facili, rispettoso delle idee altrui, anche se difendeva con vivacità e una certa burbanza le proprie, quando era sicuro che fossero più giuste di quelle dei suoi interlocutori.
Donde veniva dunque quest’uomo poliedrico, questo prete convinto come pochi della bontà della missione affidatagli, questo salesiano “dal cuore grande come l’arena del mare” , quest’uomo che appariva a volte burbero ma bastava aspettare un minuto per scoprire che quel modo brusco di interloquire non apparteneva al suo DNA, era solo di facciata, un escamotage pastorale per far capire che si era creato qualche intoppo, qualche problema morale, qualche difficoltà spirituale che occorreva riparare al più presto.
Don Italo era nato ciociaro, a Vallecorsa nel frusinate, il 3 ottobre del 1920 da una famiglia che sui principi religiosi non transigeva. Crebbe con in testa sogni di terre lontane, tant’è che, entrato tra i salesiani, senza nemmeno aver terminato il Noviziato a Villa Moglia, partì come missionario per l’Ecuador, e a Cuenca, sua prima base, emise la prima professione. Nella capitale, Quito, nel 1951, fu ordinato sacerdote. Tornato in Italia per celebrare al paese natale come sacerdote novello la sua prima messa, non lascerà più la sua patria. Todi, Civitanova Marche, Ortona, Terni furono le tappe dei primi dieci anni del suo apostolato sacerdotale. Nel 1973 dall’ispettoria Adriatica passò alla sua ispettoria d’origine, la Romana, destinato alla grande parrocchia del quartiere Don Bosco di Roma, impreziosita dal magnifico Tempio dedicato al fondatore dei salesiani che qualche anno prima (il 20 novembre 1965) era stato eretto da Paolo VI a basilica minore. Furono quattordici anni di sorprendente attività che riprese, dopo quattro anni di lontananza per servire come vicario parrocchiale nella parrocchia/oratorio di Cassino. Tornato dunque a lavorare e officiare presso il tempio di Don Bosco, continuò il suo lavoro, come se non fosse mai partito, con grande vitalità, spirito di sacrificio e amore per la gente, perfezionando e affinando quanto aveva fatto in precedenza. Per altri quindici anni. Ormai fiaccato nel fisico, nel 2006 accettò di entrare nell’infermeria ispettoriale dove, cinque anni più tardi, il 30 ottobre di quest’anno, si è serenamente spento.
“La gente lo ha educato”, afferma un confratello che l’ha conosciuto bene. Sì, le tante persone che ha avvicinato, gli innumerevoli problemi che ha dovuto affrontare, le tragedie, gli ostacoli, le separazioni, i contrasti nelle famiglie, le difficoltà con i giovani dell’era del computer, cose tutte che ha sempre cercato di capire e appianare, l’hanno lentamente limato, l’hanno convinto alla pazienza, alla sopportazione, all’attenzione all’altro, alla solidarietà a tutto campo, all’aiuto materiale e soprattutto alla direzione spirituale, attraverso estenuanti colloqui e nel ministero della confessione. È importante lasciarsi plasmare dai propri fedeli, dai propri penitenti, dai membri di gruppi e movimenti che egli seguiva e curava con tenacia, spesso trascurando se stesso. Formare significa anche formarsi, è fuor di dubbio. Ecco perché quando la strada si avvicina al traguardo finale, si percorrono gli ultimi metri con dignità, consapevoli di aver “combattuto la buona battaglia e di aver terminato la corsa”.
Così è stato don Italo. Dio lo accolga nel suo abbraccio.
Pregate anche per questa comunità parrocchiale che, ospitando il bel tempio dedicato al nostro fondatore, attende con trepidazione la meta del bicentenario della sua nascita e si augura che all’ombra della grande cupola altri santi sacerdoti possano offrire il loro sacrificato servizio alla meravigliosa popolazione di questo quartiere.
Roma 11/11/’11
don Giancarlo Manieri
e comunità salesiana