Uno degli attributi dati a Cristo è quello del “pellicano”, impiegato anche nell’inno dell’Adoro te devote che si cantava durante l’esposizione del SS. Sacramento nelle cerimonie di “Adorazione”. Questo inno, attribuito a S. Tommaso D’Aquino, nella penultima strofa recita:
O Pio Pellicano, Signore Gesù
Purifica me, immondo col tuo sangue
Del quale una sola goccia può salvare
il mondo intero da ogni peccato.
Dante lo cita in riferimento all’episodio dell’Ultima Cena quando Giovanni reclinò il capo sul petto del Signore:
Questi è colui che giacque sopra ‘l petto
del nostro Pellicano e questi fue
di sulla croce al grande officio eletto
(NB chi poggiò il capo sul petto di Gesù è l’apostolo GIovanni; il Pellicano è Gesù; Egli mentre era inchiodato sulla croce consegnò Giovanni a Maria che divenne madre di tutti i credenti).
L’origine di questo simbolo è legato ad una antica leggenda che voleva questo grosso uccello acquatico nutrire i suoi pulcini con la propria carne e il proprio sangue. Facile allora l’attribuzione a Cristo dal cui fianco, colpito dalla lancia del soldato romano, uscì sangue e acqua, simboli dei sacramenti della Chiesa.
Il pellicano dunque nutre i suoi figli con il proprio corpo, Gesù nutri i suoi figli con il proprio corpo fatto pane il proprio sangue fatto vino: lo fa senza trionfalismi, nascosto in un tabernacolo, la struttura per lo più a forma id casetta (dal latino “taberna” cioè dimora), una casetta minuta e povera dove il re dell’universo attende di nutrire di sè l’umanità.
Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla croce. Dal suo cuore trafitto partono i raggi del suo amore, fonte di vita per gli uomini.
Il Pellicano è lì a ricordare proprio questa straordinaria storia di salvezza. Ecco perchè molte chiese e ancor più moltissimi tabernacoli hanno, disegnato o inciso, il ritratto del Pellicano, diventato il simbolo di compassione e di misericordia.
Nell’altare della Reposizione il Gesù resta nascosto nell’urna funeraria come pane. Ci assicura che egli è morto ma in realtà è cibo per l’anima, nutrimento per il passato, il presente e il futuro, pur rimanendo piccolo e invisibile.