E così siamo giunti alla tredicesima mossa fondamentale dell’arte di educare: “lasciare un buon ricordo”.
Un buon ricordo, portato con noi fin dall’infanzia, può fare la nostra salvezza. Ecco perché anche questa mossa non può essere affatto sottovalutata. L’arte di essere indimenticabili!
“Il valore dei ricordi dell’infanzia” è il titolo di un libro nel quale l’autore, Norman B. Lobsens, riporta le risposte date alla domanda: “Qual è il più bel ricordo che hai dei tuoi primi anni?”. La prima risposta riportata è quella del figlio stesso dell’autore. Dunque, alla domanda del padre, il figlio risponde: “Mi ricordo quando una sera eravamo soli in macchina e tu ti sei fermato a prendermi le lucciole”. Il bambino aveva cinque anni. “Perché ti ricordi di questo?”, gli domanda il padre. “Perché non credevo che ti saresti fermato a prendermi le lucciole, invece ti sei fermato!”.
Per un altro intervistato il più bel ricordo è “il giorno della scampagnata scolastica, quando mio padre – di solito freddo, dignitoso, impeccabile – si presentò in maniche di camicia, si sedette sull’erba, mangiò con noi e partecipò ai nostri giochi lanciando la palla più lontano di tutti. Più tardi scoprii che aveva rimandato un importante viaggio di affari per stare con me quel giorno”.
Lasciare un buon ricordo! Anche questo è educare!
D’altronde, un ricordo lo si lascia sempre: in ognuno di noi vi sono tracce dei nostri genitori. Basta sfogliare una qualsiasi biografia di uomini noti o meno noti per trovare riferimenti alla propria madre, al proprio padre.
Il poeta spagnolo Federico Garcia Lorca (1898-1936), ad esempio, ricorda: “La mattina quando suonavano le nove, mia madre entrava nella stanza dove già lavoravo e, aprendo la finestra sul balcone, diceva sempre: ‘Che entri la grazia di Dio!’”.
Julien Green (1900-1998), scrittore francese, ricorda: “Nella mia vita la persona che ha contato di più è stata mia madre. Mi ha dato l’amore alla vita, il desiderio di capire, la tolleranza, soprattutto la tolleranza. Infine mi ha chiuso nel Vangelo, come si chiuderebbe un bambino nel cielo”.
Simpatico è il ricordo di Luciano De Crescenzo, anche lui scrittore vivente: “Mia mamma praticava il ‘nulla si compra e nulla si getta’. Conservava qualsiasi cosa fosse entrata in casa e riempiva i cassetti di oggetti completamente inutili. Su una delle scatole di spaghi aveva scritto: ‘Spaghi troppo corti per essere usati’”.
Meno noto è Roberto D’Agostino, lookologo, ma non meno bello il suo ricordo: “Chiara era il nome di mia madre. Tagliava e cuciva reggiseni, corazze di lastex, pieni di ganci, per donne panciute. Era una donna abbastanza allegra. Il più bel ricordo di mamma Chiara? La sua tenacia. Ad essere così ostinato l’ho imparato da lei!”.
Insomma, basta essere figli per ricordarci della mamma. Lo stesso vale per il papà. Dolce è il ricordo del padre dello psicologo Giuseppe Colombero: “Quando ero bambino mio padre si alzava molto presto per andare a lavorare. Mi ricordo che prima di uscire di casa, si affacciava alla camera dove dormivamo noi piccoli e, stando sulla porta, diceva piano a nostra madre: ‘Non preoccuparti di alzarti prima dei bambini per accendere e scaldare la cucina. L’ho già fatto io’. Quando ci alzavamo nostro padre non c’era più, ma quel fuoco, quel tepore parlavano di lui: ci diceva che c’era stato e aveva pensato a noi”.
Forse ci stiamo rendendo conto che un buon ricordo è l’eredità più preziosa che possiamo lasciare ai nostri figli. Un buon ricordo può decidere di un’esistenza. Lo aveva capito bene lo straordinario scrittore russo Feodor Dostoevskij (1821-1881), il quale diceva: “Sappiate che non vi è nulla di più alto, e forte, e sano, e utile per la nostra vita a venire di qualche buon ricordo, specialmente se recato con voi fin dai primi anni dalla casa dei genitori. Uno di questi buoni e santi ricordi è forse la migliore delle educazioni. E quand’anche un solo buon ricordo rimanesse con noi, nel nostro cuore, potrebbe un giorno fare la nostra salvezza”.
A questo punto viene spontanea la domanda: “Quale sarà il ricordo che i lettori lasceranno ai loro figli?”. La risposta vien dopo una considerazione: un tempo i poeti dicevano che Dio ci ha dato la memoria per poter avere le rose anche a Dicembre! Fiorivano ad Aprile e a Maggio, però, grazie alla memoria, le rose non sparivano dalla nostra mente. Ebbene, chi ha scritto, è sicuro che se tanti genitori hanno avuto la buona volontà e l’impegno di leggere fin qui, i loro figli, domani, cresciuti, diranno: “Dio ci ha dato la memoria per poter ricordarci d’aver avuto un bravo papà ed una brava mamma!”.
GLI OCCHI DEI FIGLI
Gli occhi dei figli non smontano mai di guardia e memorizzano per la vita intera.
Ecco la confessione di una figlia, ormai adulta, che ricorda alla madre ciò che lei compiva e che sempre le mandava un messaggio così forte, da costruirle l’impianto di fondo della sua educazione. È una confessione che ci fa riflettere e porta a concludere che in ogni figlio vi è l’imprinting dei genitori. Nel bene e nel male. ”Mamma, quando pensavi che non ti stessi guardando, hai appeso il mio primo disegno sul frigorifero e ho avuto voglia di stare a casa per dipingere. Quando pensavi che non ti stessi guardando, hai dato da mangiare ad un gatto randagio ed allora ho capito che è bene prendersi cura degli animali. Quando pensavi che non ti stessi guardando, hai cucinato apposta per me la torta del compleanno, ed ho compreso che le piccole cose possono essere molto speciali. Quando pensavi che non ti stessi guardando hai recitato una preghiera ed ho incominciato a credere nell’esistenza di Dio con cui si può sempre parlare. Quando pensavi che non ti stessi guardando, mi hai dato il bacio della buona notte e ho capito che mi volevi bene. Quando pensavi che non ti stessi guardando, mi hai sorriso e ho avuto voglia d’essere gentile con te. Quando pensavi che io non ti stessi guardando, io guardavo ed ora ho voluto dire grazie per tutte le cose che hai fatto quando pensavi che non ti stessi guardando!”.
UN SEME
La cosa sa di incredibile. Eppure è vera. Alla fine del gennaio 2005 un insegnante d’agraria ha piantato un seme di palma risalente al tempo di Gesù Cristo (la datazione al carbonio 14 ha evidenziato che il seme risale a 1990 anni fa, con un margine di errore di 50 anni). Il seme è stato rinvenuto a Masada, fortezza nel deserto che sovrasta il Mar Morto. Nessuno credeva che da esso potesse germinare qualcosa. Invece, ecco il miracolo che ha sbalordito tutti: “Sei settimane dopo – dice l’insegnante – ho visto spuntare qualcosa dalla terra del vaso nel quale avevo piantato il seme”. Attualmente, la palma da datteri è alta circa cinquanta centimetri ed ha una ventina di foglioline. Getta un buon seme ed i miracoli seguiranno!
(Tratto da IL BOLLETTINO SALESIANO – Autore PINO PELLEGRINO)