Nel Bicentenario, riproponiamo qui la lettera che S. Giovanni Paolo II scrisse in occasione del centenario dalla morte di D. Bosco, nel 1988. Con questo scritto, il grande Papa ci aiuta a entrare nella figura del nostro Fondatore. L’abbiamo divisa in tre parti, in modo da renderla più facilmente fruibile via web.
LETTERA IUVENUM PATRIS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL CENTENARIO DELLA MORTE DI SAN GIOVANNI BOSCO
Al diletto figlio Egidio Viganò
Rettore Maggiore della Società Salesiana
nel primo centenario della morte
di san Giovanni Bosco.
Carissimo figlio,
salute e apostolica benedizione.
La diletta Società Salesiana si prepara a ricordare con opportune iniziative il I centenario della morte di san Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani, perciò mi è gradito cogliere l’occasione per riflettere ancora una volta sul problema dei giovani, meditando sulle responsabilità che la Chiesa ha nella loro preparazione al domani.
La Chiesa, infatti, ama intensamente i giovani: sempre, ma soprattutto in questo periodo ormai vicino all’anno Duemila, si sente invitata dal suo Signore a guardare ad essi con speciale amore e speranza, considerando la loro educazione come una delle sue primarie responsabilità pastorali.
Il Concilio Vaticano II ha affermato con chiara visione che “l’umanità vive oggi un periodo nuovo nella sua storia” (Gaudium et Spes, 4); ed ha riconosciuto che sono sorte “iniziative atte a promuovere sempre di più l’attività educativa” (Gravissimum Educationis, prooemium). In un’epoca di trapasso culturale la Chiesa nel settore educativo avverte con preoccupazione l’urgente necessità di superare il dramma di una profonda rottura tra Vangelo e cultura (cf. Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 20), che sottovaluta ed emargina il messaggio salvifico di Cristo.
Nell’allocuzione pronunciata dinanzi ai membri dell’UNESCO ebbi occasione di affermare: “Non c’è dubbio che il fatto culturale primo e fondamentale è l’uomo spiritualmente maturo, cioè l’uomo pienamente educato, l’uomo capace di educare se stesso e di educare gli altri” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1645); e notavo una certa tendenza a “uno spostamento unilaterale verso l’istruzione” con conseguenti manipolazioni che possono provocare “una vera alienazione dell’educazione” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1646). Ricordavo, quindi, che “il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura, è l’educazione. Questa consiste nel fatto che l’uomo diventi sempre più uomo, che possa «essere» di più, e non solamente che possa «avere» di più, e che di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli «ha», tutto ciò che egli «possiede», sappia sempre più pienamente «essere» uomo” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, die 2 iun, 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1644).
Nei numerosi incontri avuti con i giovani dei vari continenti, nei messaggi che ho loro rivolto e in particolare nella lettera, che nel 1985 indirizzai “Ai giovani e alle giovani del mondo”, ho espresso l’intima mia persuasione che è con loro che cammina e deve camminare la Chiesa (“Parati Semper”).
Desidero qui rifarmi a quelle medesime considerazioni in occasione delle celebrazioni centenarie del “dies natalis” di un grande figlio della Chiesa, il santo sacerdote Giovanni Bosco, che il mio predecessore Pio XI non esitò a definire “educator princeps” (Pii XI “Germinata Laetitia”, die 1 apr. 1934: AAS 27 [1935] 285).
Tale fausta ricorrenza mi offre l’occasione di un gradito colloquio non solo con lei, con i suoi confratelli e i membri tutti della Famiglia Salesiana, ma anche con i giovani, che sono i destinatari dell’azione educativa, con gli educatori cristiani e con i genitori, chiamati a esercitare un così nobile ministero umano ed ecclesiale.
Mi è anche gradito rilevare che questa “memoria” del santo ha luogo durante l’“Anno mariano”, che orienta la nostra riflessione su “colei che ha creduto”: nel sì generoso della sua fede scopriamo la sorgente feconda della sua opera educatrice (Redemptoris Mater, 12-19), come Madre di Gesù prima e poi come Madre della Chiesa ed Ausiliatrice di tutti i Cristiani.
I. San Giovani Bosco amico dei giovani
2. Giovanni Bosco morì a Torino il 31 gennaio 1888. Nei quasi 73 anni della sua vita egli fu testimone di profondi e complessi mutamenti politici, sociali e culturali: moti rivoluzionari, guerra ed esodo della popolazione dalle campagne verso le città, tutti fattori che incisero sulle condizioni di vita della gente, specialmente dei ceti più poveri. Addensati nelle periferie delle città, i poveri in genere ed i giovani in particolare diventano oggetto di sfruttamento o vittime della disoccupazione; durante la loro crescita umana, morale, religiosa, professionale sono seguiti in maniera insufficiente e spesso non sono affatto curati. Sensibili ad ogni mutamento, i giovani restano sovente insicuri e smarriti. Di fronte a questa massa sradicata l’educazione tradizionale rimane sconvolta: a vario titolo filantropi, educatori, ecclesiastici si sforzano di venire incontro ai nuovi bisogni. Emerge fra essi in Torino don Bosco per la sua chiara ispirazione cristiana, per l’iniziativa coraggiosa e per la diffusione rapida ad ampia della sua opera.
3. Egli sentiva di aver ricevuto una speciale vocazione e di essere assistito e quasi guidato per mano, nell’attuazione della sua missione, dal Signore e dall’intervento materno della Vergine Maria. La sua risposta fu tale che la Chiesa lo ha proposto ufficialmente ai fedeli quale modello di santità. Quando nella Pasqua del 1934, alla chiusura del Giubileo della redenzione, il mio predecessore di immortale memoria, Pio XI, lo iscriveva nell’albo dei santi, ne tessé un indimenticabile elogio.
Giovannino, orfano di padre in tenera età, educato con profondo intuito umano e cristiano dalla mamma, viene dotato dalla Provvidenza di doni, che lo fanno fin dai primi anni l’amico generoso e diligente dei suoi coetanei.
La sua giovinezza è l’anticipo di una straordinaria missione educativa. Sacerdote, in una Torino in pieno sviluppo, viene a diretto contatto con i giovani carcerati e con altre drammatiche situazioni umane.
Dotato di una felice intuizione del reale e attento conoscitore della storia della Chiesa, egli ricava dalla conoscenza di tali situazioni e dalle esperienze di altri apostoli, specialmente di san Filippo Neri e di san Carlo Borromeo, la formula dell’“Oratorio”. Gli è singolarmente caro questo nome; l’Oratorio caratterizzerà tutta la sua opera, ed egli lo modellerà secondo una sua originale prospettiva, adatta all’ambiente, ai suoi giovani e ai loro bisogni. Come principale protettore e modello dei suoi collaboratori sceglie san Francesco di Sales, il santo dallo zelo multiforme, dalla umanissima bontà che si manifestava soprattutto nella dolcezza del tratto.
4. L’“Opera degli Oratori” inizia nel 1841 con un “semplice catechismo” e si espande progressivamente per rispondere a situazioni ed esigenze pressanti; l’ospizio per accogliere gli sbandati, il laboratorio e la scuola di arti e mestieri per insegnar loro un lavoro e renderli capaci di guadagnarsi onestamente la vita, la scuola umanistica aperta all’ideale vocazionale, la buona stampa, le iniziative e i metodi ricreativi propri dell’epoca (teatro, banda, canto, passeggiate autunnali).
L’espressione felice: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai” (“Il Giovane provveduto”, 7), è la parola e, prima ancora, l’opzione educativa fondamentale del santo: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol. 18, 258). E, veramente, per essi egli svolge un’impressionante attività con le parole, gli scritti, le istituzioni, i viaggi, gli incontri con personalità civili e religiose; per essi, soprattutto, manifesta un’attenzione premurosa, rivolta alle loro persone, perché nel suo amore di padre i giovani possano cogliere il segno di un amore più alto.
Il dinamismo del suo amore si fa universale e lo spinge ad accogliere il richiamo di Nazioni lontane, fino alle missioni di oltre oceano, per una evangelizzazione che non è mai disgiunta da un’autentica opera di promozione umana.
Secondo gli stessi criteri e col medesimo spirito egli cerca di trovare una soluzione anche ai problemi della gioventù femminile. Il Signore suscita accanto a lui una confondatrice: santa Maria Domenica Mazzarello con un gruppo di giovani colleghe già dedicate, a livello parrocchiale, alla formazione cristiana delle ragazze. Il suo atteggiamento pedagogico suscita altri collaboratori – uomini e donne – “consacrati” con voti stabili, “cooperatori”, associati nella condivisione degli ideali pedagogici e apostolici, e coinvolge gli “ex-allievi”, spronandoli a testimoniare e a promuovere essi stessi l’educazione ricevuta.
5. Tanto spirito d’iniziativa è frutto di una profonda interiorità. La sua statura di santo lo colloca, con originalità, tra i grandi Fondatori di Istituti religiosi nella Chiesa. Egli eccelle per molti aspetti: è l’iniziatore di una vera scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica; è il promotore di una speciale devozione a Maria, Ausiliatrice dei cristiani e Madre della Chiesa, è il testimone di un leale e coraggioso senso ecclesiale, manifestato attraverso mediazioni delicate nelle allora difficili relazioni tra la Chiesa e lo Stato; è l’apostolo realistico e pratico, aperto agli apporti delle nuove scoperte; è l’organizzatore zelante delle missioni con sensibilità veramente cattolica; è, in modo eccelso, l’esemplare di un amore preferenziale per i giovani, specialmente per i più bisognosi, a bene della Chiesa e della società; è il maestro di un’efficace e geniale prassi pedagogica, lasciata come dono prezioso da custodire e sviluppare.
In questa lettera mi piace considerare di don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra “educazione” e “santità” è l’aspetto caratteristico della sua figura: egli è un “educatore santo”, si ispira a un “modello santo” – Francesco di Sales -, è un discepolo di un “maestro spirituale santo” – Giuseppe Cafasso -, e sa formare tra i suoi giovani un “educando santo”: Domenico Savio.