II. Il messaggio profetico di san Giovanni Bosco educatore
6. La situazione giovanile nel mondo d’oggi – a un secolo dalla morte del santo – è molto cambiata e presenta condizioni e aspetti multiformi, come ben sanno gli educatori e i pastori. Eppure, anche oggi permangono quelle stesse domande, che il sacerdote Giovanni Bosco meditava sin dall’inizio del suo ministero, desideroso di capire e determinato ad operare. Chi sono i giovani? Che cosa vogliono? A che cosa tendono? Di che cosa hanno bisogno? Questi, allora come oggi, sono gli interrogativi difficili, ma ineludibili che ogni educatore deve affrontare.
Non mancano oggi tra i giovani di tutto il mondo gruppi genuinamente sensibili ai valori dello spirito, desiderosi di aiuto e sostegno nella maturazione della loro personalità.
D’altra parte è evidente che la gioventù è sottoposta a spinte e condizionamenti negativi, frutto di visioni ideologiche diverse. L’educatore attento saprà rendersi conto della concreta condizione giovanile ed intervenire con sicura competenza e lungimirante saggezza.
7. In ciò egli sa di essere sollecitato, illuminato e sostenuto dalla incomparabile tradizione educativa della Chiesa.
Consapevole di essere il popolo di cui Dio è padre ed educatore, secondo l’esplicito insegnamento della Sacra Scrittura (cf. Dt 1, 31; 8, 5; 32, 10-12; Os 11, 1-4; Is 1, 3; Ger 3, 14-15; Pr 3, 11-12; Eb 12, 5-11; Ap 3, 19), la Chiesa, “esperta in umanità”, a buon diritto può anche dirsi “esperta in educazione”. Lo testimonia la lunga e gloriosa storia bimillenaria scritta da genitori e famiglie, sacerdoti, laici, uomini e donne, istituzioni religiose e movimenti ecclesiali, che nel servizio educativo hanno dato espressione al carisma loro proprio di prolungare l’educazione divina che ha il suo culmine in Cristo. Grazie all’opera di tanti educatori e pastori e di numerosi Ordini e Istituti religiosi, promotori di istituzioni di inestimabile valore umano e culturale, la storia della Chiesa si identifica, in non piccola parte, con la storia dell’educazione dei popoli. Davvero per la Chiesa – come ha affermato il Concilio Vaticano II – interessarsi dell’educazione è obbedienza al “mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo” (Gravissimum Educationis, prooemium).
8. Parlando dell’opera dei religiosi e sottolineandone l’intraprendenza, Papa Paolo VI, di venerata memoria, affermava che il loro apostolato “è spesso contrassegnato da una originalità e genialità che costringono all’ammirazione” (Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 69). Per san Giovanni Bosco, fondatore di una grande Famiglia spirituale, si può dire che il tratto peculiare della sua “genialità” è legato a quella prassi educativa che egli stesso chiamò “sistema preventivo”. Questo rappresenta, in un certo modo, il condensato della sua saggezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa, ricevendo attenzione e riconoscimento da parte di numerosi educatori e studiosi di pedagogia.
Il termine “preventivo”, che egli usa, va preso più che nella sua stretta accezione linguistica, nella ricchezza delle caratteristiche tipiche dell’arte educativa del santo. Va innanzitutto ricordata la volontà di prevenire il sorgere di esperienze negative, che potrebbero compromettere le energie del giovane oppure obbligarlo a lunghi e penosi sforzi di ricupero. Ma nel termine ci sono anche, vissute con peculiare intensità, profonde intuizioni, precise opzioni e criteri metodologici, quali l’arte di educare in positivo, proponendo il bene in esperienze adeguate e coinvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza; l’arte di far crescere i giovani “dall’interno”, facendo leva sulla libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi esteriori; l’arte di conquistare il cuore dei giovani per invogliarli con gioia e con soddisfazione verso il bene, correggendo le deviazioni e preparandoli al domani attraverso una solida formazione del carattere.
Ovviamente, questo messaggio pedagogico suppone nell’educatore la convinzione che in ogni giovane, per quanto emarginato o deviato, ci sono energie di bene che, opportunamente stimolate, possono determinare la scelta della fede e dell’onestà.
Conviene, perciò, soffermarsi a riflettere brevemente su quello che, per provvidenziale risonanza della Parola di Dio, costituisce uno degli aspetti più caratteristici della pedagogia del santo.
9. Uomo dalla multiforme e instancabile attività, don Bosco ha offerto con la sua vita l’insegnamento più efficace, tanto che già dai suoi contemporanei fu considerato educatore eminente. Le poche pagine, che dedicò a presentare la sua esperienza pedagogica (cf. “Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 192 ss), acquistano pieno significato, solo se confrontate con l’insieme della lunga e ricca esperienza acquisita vivendo in mezzo ai giovani.
Per lui educare comporta uno speciale atteggiamento dell’educatore e un complesso di procedimenti, fondati su convinzioni di ragione e di fede, che guidano l’azione pedagogica. Al centro della sua visione sta la “carità pastorale”, che egli così descrive: “La pratica del sistema preventivo è tutta poggiata sopra le parole di san Paolo che dice: «La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo»” (“Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 194-195). Essa inclina ad amare il giovane, qualunque sia lo stato in cui si trova, per portarlo alla pienezza di umanità che si è rivelata in Cristo, per dargli la coscienza e la possibilità di vivere da onesto cittadino come figlio di Dio. Essa fa intuire e alimenta le energie che il santo riassume nel trinomio ormai celebre della formula: “Ragione, religione, amorevolezza” (cf. “Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 166).
10. Il termine “ragione” sottolinea, secondo l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell’uomo nella sua vita familiare, civile e politica. Nell’enciclica Redemptor Hominis ho ricordato che “Gesù Cristo è la via principale della Chiesa; questa via conduce da Cristo all’uomo” (Redemptor Hominis, 13. 14).
È significativo rilevare che già più di cento anni fa don Bosco attribuiva molta importanza agli aspetti umani e alla condizione storica del soggetto; alla sua libertà, alla sua preparazione alla vita e ad una professione, all’assunzione delle responsabilità civili, in un clima di gioia e di generoso impegno verso il prossimo. Egli esprimeva questi obiettivi con parole incisive e semplici, quali “allegria”, “studio”, “pietà”, “saggezza”, “lavoro”, “umanità”. Il suo ideale educativo è caratterizzato da moderazione e realismo. Nella sua proposta pedagogica c’è un’unione ben riuscita tra la permanenza dell’essenziale e la contingenza dello storico, tra il tradizionale e il nuovo.
Il santo presenta ai giovani un programma semplice e allo stesso tempo impegnativo, sintetizzato in una formula felice e suggestiva: onesto cittadino, perché buon cristiano.
In sintesi la “ragione”, a cui don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell’educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi e i modi da usare. La “ragione” invita i giovani ad un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche “ragionevolezza” per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità.
Tutto questo, certo, suppone oggi la visione di un’antropologia aggiornata e integrale, libera da riduzionismi ideologici. L’educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche.
11. Il secondo termine, “religione”, indica che la pedagogia di don Bosco è costitutivamente trascendente, in quanto l’obiettivo educativo ultimo che egli si propone è la formazione del credente. Per lui l’uomo formato e maturo è il cittadino che ha fede, che mette al centro della sua vita l’ideale dell’uomo nuovo proclamato da Gesù Cristo e che è coraggioso testimone delle proprie convinzioni religiose.
Non si tratta – come si vede – di una religione speculativa e astratta, ma di una fede viva, radicata nella realtà, fatta di presenza e di comunione, di ascolto e di docilità alla grazia. Come egli amava dire, “colonne dell’edificio educativo” (cf. Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 168) sono l’Eucaristia, la Penitenza, la devozione alla Madonna, l’amore alla Chiesa e ai suoi pastori. La sua educazione è un “itinerario” di preghiera, di liturgia, di vita sacramentale, di direzione spirituale; per alcuni, risposta alla vocazione di speciale consacrazione (quanti sacerdoti e religiosi si formarono nelle case del santo!); per tutti, la prospettiva e il conseguimento della santità.
Don Bosco è il prete zelante che riferisce sempre al fondamento rivelato tutto ciò che riceve, vive e dona.
Questo aspetto della trascendenza religiosa, caposaldo del metodo pedagogico di don Bosco, non solo è applicabile a tutte le culture, ma è adattabile con frutto anche alle religioni non cristiane.
12. Infine, dal punto di vista metodologico, l’“amorevolezza”. Si tratta di un atteggiamento quotidiano, che non è semplice amore umano né sola carità soprannaturale. Essa esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, sani criteri e comportamenti adeguati.
L’amorevolezza si traduce nell’impegno dell’educatore quale persona totalmente dedita al bene degli educandi, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell’adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda e capacità di dialogo. È tipica e quanto mai illuminante l’espressione: “Qui con voi mi trovo bene: è proprio la mia vita stare con voi” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol 4, 654). Con felice intuizione esplicita: quello che importa è che “i giovani non siano solo amati, ma che essi conoscano di essere amati” (“Lettera da Roma”, 1884, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 294).
Il vero educatore, dunque, partecipa alla vita dei giovani, si interessa ai loro problemi, cerca di rendersi conto di come essi vedono le cose, prende parte alle loro attività sportive e culturali, alle loro conversazioni; come amico maturo e responsabile, prospetta itinerari e mete di bene, è pronto a intervenire per chiarire problemi, per indicare criteri, per correggere con prudenza e amorevole fermezza valutazioni e comportamenti biasimevoli. In questo clima di “presenza pedagogica” l’educatore non è considerato un “superiore”, ma un “padre, fratello e amico” (“Lettera da Roma”, 1884, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 296).
In tale prospettiva vengono privilegiate anzitutto le relazioni personali. Don Bosco ama usare il termine “familiarità” per definire il rapporto corretto tra educatori e giovani. La lunga esperienza lo ha convinto che senza familiarità non si può dimostrare l’amore, e senza tale dimostrazione non può nascere quella confidenza, che è condizione indispensabile per la riuscita dell’azione educativa. Il quadro delle finalità da raggiungere, il programma, gli orientamenti metodologici acquistano concretezza ed efficacia, se improntati a schietto “spirito di famiglia”, cioè se vissuti in ambienti sereni, gioiosi, stimolanti.
A questo proposito va almeno ricordato l’ampio spazio e dignità dati dal santo al momento ricreativo, allo sport, alla musica, al teatro o – come egli amava dire – al cortile. È lì, nella spontaneità ed allegria dei rapporti, che l’educatore sagace coglie modi di intervento, tanto lievi nelle espressioni, quanto efficaci per la continuità e il clima di amicizia in cui si realizzano (Circa il rapporto tra divertimento ed educazione secondo il pensiero e la prassi di Giovanni Bosco, è noto che gli Oratori salesiani si distinguano per il grande spazio di tempo dato allo sport, teatro, musica, e ad ogni iniziativa di sana e formativa ricreazione). L’incontro, per essere educativo, richiede un continuo ed approfondito interesse che porti a conoscere i singoli personalmente ed insieme le componenti di quella condizione culturale che è loro comune. Si tratta di un’attenzione intelligente e amorosa alle aspirazioni, ai giudizi di valore, ai condizionamenti, alle situazioni di vita, ai modelli ambientali, alle tensioni, rivendicazioni, proposte collettive. Si tratta di percepire l’urgenza della formazione della coscienza, del senso familiare, sociale e politico, della maturazione nell’amore e nella visione cristiana della sessualità, della capacità critica e della giusta duttilità nell’evolversi dell’età e della mentalità, avendo sempre ben chiaro che la giovinezza non è solo un momento di transito, ma un tempo reale di grazia per la costruzione della personalità.
Anche oggi, pur in un mutato contesto culturale e con giovani di religione anche non cristiana, questa caratteristica costituisce una fra le tante istanze valide e originali della pedagogia di don Bosco.
13. Desidero rilevare, infatti, che questi criteri pedagogici non sono solo relegati al passato; la figura di questo santo, amico dei giovani, attrae ancora col suo fascino la gioventù delle culture più diverse sotto tutti i cieli. Certamente il suo messaggio pedagogico richiede di essere ancora approfondito, adattato, rinnovato con intelligenza e coraggio, proprio in ragione dei mutati contesti socio-culturali, ecclesiali e pastorali. Sarà opportuno tener presenti le aperture e le conquiste avvenute in molti campi, i segni dei tempi e le indicazioni del Concilio Vaticano II. Tuttavia la sostanza del suo insegnamento rimane, le peculiarità del suo spirito, le sue intuizioni, il suo stile, il suo carisma non vengono meno, perché ispirati alla trascendente pedagogia di Dio.
San Giovanni Bosco è attuale anche per un altro motivo: egli insegna a integrare i valori permanenti della Tradizione con le “nuove soluzioni”, per affrontare creativamente le istanze e i problemi emergenti: in questi nostri tempi difficili egli continua ad esser maestro, proponendo una “nuova educazione” che è insieme creativa e fedele.
“Don Bosco ritorna” è un canto tradizionale della Famiglia Salesiana: esprime l’auspicio di “un ritorno di don Bosco” e “un ritorno a don Bosco”, per essere educatori capaci di una fedeltà antica ed insieme attenti, come lui, alle mille necessità dei giovani di oggi, per ritrovare nella sua eredità le premesse per rispondere anche oggi alle loro difficoltà e alle loro attese.
(continua…)