Quando aveva 58 anni, per ordine di Pio IX, Don Bosco dovette scrivere la storia dei primi quarant’anni della sua vita. Oggi questo prezioso testo è riproposto integralmente. É solo stata ritoccata la lingua: l’italiano popolare del del 1800 viene trascritto nell’italiano popolare di oggi. [San Giovanni Bosco, Memorie. Trascrizione in lingua corrente di Teresio Bosco, Elledici, Leumann 1985].
I tre grossi quaderni manoscritti, per volontà espressa di don Bosco, non furono pubblicati. Rimasero per 73 anni nell’archivio dei Salesiani. Solo nel 1946, a cura di Eugenio Ceria, uno degli storici di don Bosco, ne uscì un’edizione che rimase riservata agli ambienti salesiani. Oggi questo prezioso testo viene messo a disposizione di tutti nella sua assoluta integrità.
Il titolo che don Bosco ha posto all’inizio di queste 180 pagine autobiografiche è duplice. Sul frontespizio del primo quaderno ha scritto: «memorie dell’Oratorio dal 1815 al 1855». Nel margine alto di pagina uno, invece, ha scritto: «Memorie per l’Oratorio e per la Congregazione Salesiana».
GLI ANNI FAVOLOSI (1825 – 1835)
1. Giovanissimo saltimbanco
Quello che specialmente li attirava intorno a me e li divertiva moltissimo erano i miei racconti. Raccontavo i fatti che avevo ascoltato nelle prediche e al catechismo, le avventure che avevo letto…
Di statura ero piccolo piccolo
A quale età cominciai a occuparmi dei fanciulli? Me l’hanno domandato tante volte. Posso rispondere che a dieci anni facevo già ciò che mi era possibile, cioè una specie di oratorio festivo.
Ero piccolo piccolo, ma cercavo di capire le inclinazioni dei miei compagni. Fissavo qualcuno in faccia e riuscivo a leggere i progetti che aveva nella mente. Per questa caratteristica, i ragazzi della mia età mi volevano molto bene, e nello stesso tempo mi temevano.
Ognuno mi voleva come suo amico o come giudice nelle contese. Facevo del bene a chi potevo, del male a nessuno. Cercavano di avermi amico perché, nel caso di bisticci nel gioco, li difendessi. Infatti di statura ero piccolo, ma avevo una forza e un coraggio che mettevano timore anche ai più grandi. Cosi, quando nascevano risse, liti, discussioni, io ero scelto come arbitro, e tutti accettavano le mie decisioni.
Racconti nei prati e nelle stalle
Quello che specialmente li attirava intorno a me e li divertiva moltissimo erano i miei racconti. Raccontavo i fatti che avevo ascoltato nelle prediche e al catechismo, le avventure che avevo letto nei Reali di Francia, il Guerin Meschino, Bertoldo e Bertoldino.
Appena gli amici mi vedevano, mi correvano vicino. Volevano che raccontassi qualcosa, anche se ero così piccolo che a stento capivo ciò che leggevo.
Ai ragazzi si aggiungevano sovente parecchi adulti. E così, mentre andavo e tornavo da Castelnuovo, attraverso campi e prati, qualche volta ero circondato da centinaia di persone. Volevano ascoltare un povero ragazzo che aveva solo un po’ di memoria. Non avevo nessuna cultura, ma tra loro apparivo come un grande sapiente. Dice un vecchio proverbio: « Nel regno dei ciechi, chi ci vede anche solo da un occhio è proclamatore ».
Nell’inverno, molte famiglie contadine passavano le serate nella stalla (l’ambiente più caldo della casa). Mi invitavano tutti, perché raccontassi le mie storie. Erano tutti contenti di passare una serata di cinque e anche di sei ore ascoltando immobili la lettura dei Reali di Francia. Il piccolo e povero lettore stava ritto sopra una panca, perché tutti potessero vederlo. Curioso il fatto che in giro si diceva: « Andiamo ad ascoltare la predica », perché prima e dopo i miei racconti facevamo tutti il segno della Croce e recitavamo un’Ave Maria.