UMANITA E RETORICA – LUIGI COMOLLO
Compiuti i primi corsi di ginnasio (1), abbiamo avuto una visita del Magistrato della Riforma (2) nella persona dell’avvocato Prof. D. Giuseppe Gazzani (3), uomo di molto merito. Egli mi usò molta benevolenza, ed io ho conservato gratitudine e buona memoria di lui, a segno che fummo di poi sempre in istretta ed amichevole relazione. Quell’onesto sacerdote vive tuttora in Moltedo Superiore presso Oneglia (4) sua patria, e fra le molte opere di carità ha fondato un posto gratuito nel nostro collegio di Alassio per un giovinetto, che desideri studiare per lo stato ecclesiastico.
Quegli esami si diedero con molto rigore; tuttavia i miei condiscepoli in numero di quarantacinque furono tutti promossi alla classe superiore, che corrisponde alla nostra quarta ginnasiale. Io ho corso un gran pericolo di essere rimandato per avere dato copia del lavoro ad altri. Se fui promosso, ne sono debitore alla protezione del venerando mio professore P. Giusiana, domenicano, che mi ottenne un nuovo tema, il quale essendomi riuscito bene, fui con pieni voti (5) promosso.
Era allora lodevole consuetudine che, in ogni corso, almeno uno, a titolo di premio, venisse dal municipio dispensato dal minervale di f. 12. Per ottenere questo favore era mestieri riportare i pieni voti negli esami, e pieni voti nella morale condotta. Io sono sempre stato favorito dalla sorte, ed in ogni corso fui sempre dispensato da quel pagamento.
In quell’anno ho perduto uno de’ miei più cari compagni. Il giovane Braje Paolo, mio caro ed intimo amico, dopo lunga malattia, vero modello di pietà, di rassegnazione, di viva fede, moriva (6) il giorno anno andando così a raggiungere S. Luigi, di cui si mostrò seguace fedele in tutta la Vita. Tutto il collegio ne provò rincrescimento; i suoi compagni intervennero in corpo alla sua sepoltura. E non pochi per molto tempo solevano andare in giorno di vacanza a fare la S. comunione, recitare l’uffizio della Madonna, o la terza parte del Rosario per l’anima dell’amico defunto. Dio però si degnò di compensare questa perdita con un altro compagno egualmente virtuoso, ma assai più celebre per le opere sue. Fu questi Luigi Comollo, di cui fra breve dovrò parlare.
Terminava adunque l’anno di umanità e mi riuscì assai bene, a segno che i miei professori, specialmente il Dottor Pietro Banaudi, mi consigliarono (7) di chiedere l’esame per la filosofia (8), cui di fatto sono stato promosso; ma siccome amava lo studio di lettere, ho giudicato bene di continuare regolarmente (9) le classi e fare la retorica ossia quinta ginnasiale l’anno 1833-4 (10).
Appunto in quell’anno cominciarono le mie relazioni col Comollo. La vita di questo prezioso compagno (11) fu scritta a parte ed ognuno può leggerla a piacimento; qui noterò un fatto, che me lo ha fatto conoscere in mezzo agli umanisti (12).
Si diceva adunque tra retorici che in quell’anno ci doveva venire un allievo santo, e si accennava essere quello il nipote del Prevosto di Cinzano, sacerdote attempato, ma assai rinomato per santità di vita. Io desiderava di conoscerlo, ma ignorava il nome. Un fatto me lo fece conoscere. Da quel tempo era già in uso il pericoloso giuoco della cavallina, in tempo d’ingresso nella scuola. I più dissipati e meno amanti dello studio ne sono avidissimi e ordinariamente i più celebri.
Si mirava da alcuni giorni un modesto giovanetto sui quindici anni, che giunto in collegio, prendeva posto e senza badare agli schiamazzi altrui si metteva a leggere o a studiare. Un compagno insolente gli va vicino, lo prende per un braccio, pretende che egli pure vada a giuocare la cavallina (13).
- Non so, rispondeva l’altro tutto umile e mortificato. Non so, non ho mai fatto questi giuochi.
- Io voglio che tu venga assolutamente; altrimenti ti fo venire a forza di calci e schiaffi.
- Puoi battermi a tuo talento, ma io non so, non posso, non voglio. –
Il maleducato e cattivo condiscepolo il prese per un braccio, lo urtò e poi gli diede due schiaffi, che fecero eco in tutta la scuola. A quella vista io mi sentii bollire il sangue nelle vene e attendeva che l’offeso ne facesse la dovuta vendetta; tanto più che l’oltraggiato era di molto superiore all’altro in forze ed età.
Ma quale non fu la maraviglia, quando il buon giovanetto colla sua faccia rossa e quasi livida, dando un compassionevole sguardo al maligno compagno, dissegli soltanto: – Se questo basta per soddisfarti, vattene in pace, io ti ho già perdonato. – Quell’atto eroico ha destato in me il desiderio di saperne il nome, che era appunto Luigi Comollo, nipote del Prevosto di Cinzano, di cui si erano uditi tanti encomii. Da quel tempo l’ebbi sempre per intimo amico, e posso dire che da lui ho cominciato ad imparare a vivere da cristiano (14). Ho messa piena confidenza in lui, egli in me; l’uno aveva bisogno dell’altro. Io di aiuto spirituale, l’altro di aiuto corporale. Perciocché il Comollo, per la sua grande timidità, non osava nemmeno tentare la difesa contro agli insulti dei cattivi, mentre io da tutti i compagni, anche maggiori di età e di statura, era temuto pel mio coraggio e per la mia forza gagliarda (15). Ciò aveva un giorno fatto palese verso taluni che volevano disprezzare e percuotere il medesimo Comollo ed un altro di nome Candelo Antonio, modello di bonomia. Io volli intervenire in loro favore, ma non mi si voleva badare. Vedendo un giorno quegli innocenti maltrattati: – Guai a voi, dissi ad alta voce, guai a chi fa ancora oltraggio a costoro. –
Un numero notabile dei più alti e dei più sfacciati si misero in atteggiamento di comune difesa e di minaccia contro di me stesso, mentre due sonore ceffate cadono sulla faccia del Comollo. In quel momento io dimenticai me stesso (16) ed eccitando in me non la ragione, ma la mia forza brutale (17), non capitandomi tra mano ne’ sedia ne’ bastone, strinsi colle mani un condiscepolo alle spalle, e di lui mi valsi come di bastone a percuotere gli avversari. Quattro caddero stramazzoni a terra, gli altri fuggirono gridando e dimandando pietà. Ma che? In quel momento entrò il professore nella scuola, e mirando braccia e gambe sventolare in alto in mezzo ad uno schiamazzo dell’altro mondo, si pose a gridare, dando spalmate a destra e a sinistra. Il temporale stava per cadere sopra di me; ma, fattasi raccontare la cagione di quel disordine, volle fosse rinnovata quella scena, o meglio sperimento di forza. Rise il professore, risero tutti gli allievi, ed ognuno facendo maraviglia, non si badò più al castigo che mi era meritato.
Ben altre lezioni mi dava il Comollo. – Mio caro, dissemi appena potemmo parlare tra noi, la tua forza mi spaventa; ma credimi, Dio non te la diede per massacrare i compagni. Egli vuole che ci amiamo, ci perdoniamo, e che facciamo del bene a quelli che ci fanno del male. –
Io ammirai la carità del collega, e mettendomi affatto nelle sue mani, mi lasciava guidare dove, come egli voleva. D’accordo coll’amico Garigliano, andavamo insieme a confessarci, comunicarci, fare la meditazione, la lettura spirituale, la visita al SS. Sacramento, a servire la s. messa. Sapeva invitarci con tanta bontà, dolcezza e cortesia, che era impossibile rifiutarsi a’ suoi inviti.
Mi ricordo che un giorno, chiaccherando con un compagno, passai davanti ad una chiesa senza scoprirmi il capo. L’altro mi disse tosto in modo assai garbato: – Gioanni mio, tu sei così attento a discorrere cogli uomini, che dimentichi perfino la casa del Signore.
NOTE
(1) i primi corsi di ginnasio. Fino alla classe terza inclusa (1832-33).
(2) Magistrato della Riforma. Corpo di pubblici ufficiali incaricato di soprintendere agli studi (rei litterariae moderatores); era quello che oggi chiamiamo Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Il del che precede è una vera brachilogia per da parte del. Nel 1833 quel Magistrato mandò a presiedere agli esami nel collegio chierese, come commissario straordinario, il professore qui menzionato.
(3) Gazzani. Un’altra grafia di questo nome si trova in M. B., I, 277, dove leggiamo Gozzani. La vera, come ci fa avvertiti il pronipote del professore, è Gazzano. Da prima Don Bosco, dopo la frase «di molto merito», aveva continuato cosi: «e che negli anni consecutivi mi usò molto riguardo e costante benevolenza. In questo anno (1873) vive tuttora in Moltedo Superiore presso di Oneglia e fa molte opere di carità. Gli esami furono dati ecc.». Poi, nel rivedere lo scritto, ridusse tutto il passo alla forma che abbiamo qui sopra. Nella nostra riproduzione dopo «relazione» c’è un «In» rimasto sospeso. Don Bosco, ogni volta che termina un’aggiunta marginale, mette, come segno di ricongiungimento, la prima parola da cui bisogna riattaccare nel testo; è evidente quindi che, dimenticandosi d’aver cassato «In questo anno (1873)» e sostituito « Quell’onesto sacerdote», pensava che si dovesse ripigliare nella forma rifiutata. Il «posto gratuito» era stato costituito dal Gazzano il 1° marzo del 1872 (M. B., X, 317).
(4) presso Oneglia. L’esattezza topografica, vorrebbe: “presso Portomaurizio”
(5) Con pieni voti. Ce ne rimane l’attestato
(6) moriva ecc. Don Bosco lasciò in bianco la data. Ci vengono in soccorso le carte di famiglia, dove s’incontra questa nota del padre: « 1832 alli 10 di luglio è passato agli eterni riposi Paolo Vittorio Braia, d’anni 12, figlio di Filippo e della fu Caterina Cafasso, che senza dubbio posso con vero fondamento dire volò in Paradiso». Dunque «in quell’anno» va riferito non all’anno civile in cui Giovanni fu promosso dalla classe di grammatica all’umanità (1833), ma all’anno scolastico 1832-33.
(7) consigliarono. La copia ha consigliava; ma il copista copiò male.
(8) filosofia = liceo.
(9) ho giudicato bene di continuare regolarmente. E aveva la promozione al liceo, ed era entrato nell’anno ventesimo di età!
(10) 1833-4. Continua il solito scambio di date. Correggi i834-35.
(11) La vita di questo prezioso compagno ecc. L’aveva pubblicata nel 1844 coi tipi dello Speirani, anonima e intitolata: Cenni storici sulla vita di Luigi Comollo, morto nel Seminario di Chieri, ammirato da tutti per le sue singolari virtù, scritti da un suo collega. Dieci anni dopo la ristampò per le Letture Cattoliche (10 e 25 gennaio 1854) col nome dell’autore. Nel 1884 ne fece una terza edizione con varie aggiunte. Il compianto Don Caviglia, nello studiare a fondo questa biografia del Comollo per l’edizione completa delle Opere di Don Bosco, studio che purtroppo rimase in tronco, ebbe a fare una bella scoperta: diceva con aria di gran convinzione che vi trovava mirabilmente formulato ne’ suoi principi vitali tutto il programma educativo di Don Bosco; al qual proposito leggiamo ne’ suoi appunti: «Lo spirito che per mano di Don Bosco condusse alla santità i giovanetti da lui educati e celebrati ne’ suoi scritti, è il medesimo che vive nei due giovani Comollo e Bosco ». E poi aggiunge: « Né si può comprendere la giovinezza di Don Bosco e lo svolgimento del suo carattere e tanto meno comprendere la sua vita presacerdotale, se non vi si associa ed innesta la figura, l’opera e l’anima del Comollo: senza la conoscenza del Comollo».
(12) in mezzo agli umanisti. Umanisti e retorici erano uniti in una stessa aula sotto un unico professore.
(13) giuoco della cavallina. Piem. cavalina (il segno indica che il suono palatale dell’n si perde in bocca): it., cavalluccio. Giuoco fanciullesco, fare a cavalluccio; i ragazzi saltano l’un dopo l’altro sul dosso del compagno, che sta curvo a guisa di cavallo.
(14) da lui ho cominciato ad imparare a vivere da cristiano. L’espressione è attenuata da «posso dire che», equivalente a un «quasi». Apprese da lui pratiche di vita spirituale più perfetta, come sembra accennare due righe sotto e come si vede più chiaramente verso la fine del paragrafo.
(15) forza gagliarda. Ne diede prova in ogni età (M. B., IV, 705; VI, 215; VIII, 955; XVI, 636; XVII, 205; XVIII, 479, 490).
(16) dimenticai me stesso. Non si è tentati di dire che invece ritrovò tutto se stesso?
(17) la mia forza brutale. Botte sacrosante. Arrivato al sommo della mansuetudine, giudica severamente un atto di giovanile energia, che ci rivela il suo naturale ardente e generoso.