PRIMA DECADE: 1825-1835
PRIMI TRA TTENIMEN TI COI FANCIULLI – LE PREDICHE – IL SALTIMBANCO – LE NIDIATE
Voi mi avete più volte dimandato a quale età abbia cominciato ad occuparmi dei fanciulli. All’età di 10 anni io facevo quello che era compatibile alla mia età e che era una specie di Oratorio festivo. Ascoltate. Era ancora piccolino assai e studiava già il carattere dei compagni miei. E fissando taluno in faccia, per lo più ne scorgeva i progetti che quello aveva in cuore. Per questo in mezzo a’ miei coetanei era molto amato e molto temuto (1). Ognuno mi voleva per giudice o per amico. Dal mio canto faceva del bene a chi poteva, ma del male a nissuno. I compagni poi mi amavano assai, affinché in caso di rissa prendessi di loro difesa. Perciocché sebbene fossi più piccolo di statura, aveva forza e coraggio da incutere timore ai compagni di assai maggiore età; a segno che nascendo brighe, quistioni, risse di qualunque genere, io diveniva arbitro dei litiganti ed ognuno accettava di buon grado la sentenza che fossi per proferire.
Ma ciò che li raccoglieva intorno a me. E li allettava fino alla follia, erano i racconti che loro faceva. Gli esempi uditi nelle prediche o nei catechismi; la lettura dei Reali di Francia (2), del Guerino Meschino, di Bertoldo, Bertoldino, mi somministravano molta materia. Appena i miei compagni mi vedevano, correvano affollati per farsi esporre qualche cosa da colui, che a stento cominciava capire (3) quello che leggeva. A costoro si aggiunsero parecchi adulti, e talvolta nell’andare o venire da Castelnuovo, talora in un campo, in un prato io era circondato da centinaia di persone accorse per ascoltare un povero fanciullo, che fuori di un po’ di memoria, era digiuno nella scienza, ma che tra loro compariva un gran dottore. Monoculus rex in regno caecorum (4).
Nelle stagioni invernali poi tutti mi volevano nella stalla (5) per farsi raccontare qualche storiella. Colà raccoglievasi gente di ogni età e condizione, e tutti godevano di poter passare la serata di cinque ed anche sei ore ascoltando immobili il lettore dei Reali di Francia, che il povero oratore esponeva ritto sopra una panca, affinché fosse da tutti udito e veduto. Siccome però dicevasi che venivano ad ascoltare la predica, così prima e dopo i miei racconti facevamo tutti il segno della santa Croce colla recita dell’Ave Maria. 1826.
Nella bella stagione, specialmente ne’ giorni festivi, si radunavano quelli del vicinato e non pochi forestieri. Qui la cosa prendeva aspetto assai più serio. Io dava a tutti un trattenimento con alcuni giuocarelli, che io stesso aveva da altri imparato. Spesso sui mercati e sulle fiere vi erano ciarlatani e saltimbanchi, che io andava a vedere. Osservando attentamente ogni più piccola loro prodezza, me ne andava di poi a casa e mi esercitava fino a tanto che avessi imparato a fare altrettanto. Immaginatevi le scosse, gli urti, gli stramazzoni, i capitomboli, cui ad ogni momento andava soggetto. Pure lo credereste? Ad undici anni io faceva i giuochi dei bussolotti, il salto mortale, la rondinella (6), camminava sulle mani; camminava, saltava e danzava sulla corda, come un saltimbanco di professione.
Da quello che si faceva un giorno festivo comprenderete quanto si faceva negli altri.
Ai Becchi avvi un prato, dove allora esistevano diverse piante, di cui tuttora sussiste un pero martinello (7), che in quel tempo mi era di molto aiuto. A questo albero attaccava una fune, che andava a rannodarsi ad un altro, a qualche distanza; di poi un tavolino colla bisaccia; indi un tappeto a terra per farvi sopra i salti. Quando ogni cosa era preparata ed ognuno stava ansioso di ammirare novità, allora li invitava tutti a recitare la terza parte del Rosario, dopo cui si cantava una lode sacra. Finito questo, montava sopra la sedia, faceva la predica, o meglio ripeteva quanto mi ricordava della spiegazione del vangelo udita al mattino in chiesa; oppure raccontava fatti od esempi uditi o letti in qualche libro. Terminata la predica, si faceva breve preghiera, e tosto si dava principio ai trattenimenti. In quel momento voi avreste veduto, come vi dissi, l’oratore divenire ciarlatano di professione. Fare la rondinella il salto mortale, camminare sulle mani col corpo in alto; poi cingermi la bisaccia, mangiare gli scudi per andarli a ripigliare sulla punta del naso del1′uno o dell’altro; poi moltiplicare le palle, le uova, cangiare l’acqua in vino, uccidere e farein pezzi un pollo e poi farlo risuscitare e cantare meglio di prima, erano gli ordinari trattenimenti. Sulla corda poi camminava come per un sentiero; saltava, danzava, mi appendeva ora per un piede, ora per due; talora con ambe le mani, talora con una sola. Dopo alcune ore di questa ricreazione, quando io era ben stanco, cessava ogni trastullo, facevasi breve preghiera ed ognuno se ne andava pe’ fatti suoi. Da queste radunanze erano esclusi tutti quelli che avessero bestemmiato, fatto cattivi discorsi o avessero rifiutato di prendere parte alle pratiche religiose.
Qui voi mi farete una dimanda: – Per andare alla fiera, ai mercati ad assistere ai ciarlatani, provvedere quanto occorreva per quei divertimenti, erano necessarii danari, e questi dove si prendevano? – A questo io poteva provvedere in più modi. Tutti i soldi che mia madre od altri mi davano per minuti piaceri o per ghiottoneria, le piccole mancie, i regali, tutto era posto in serbo per questo bisogno. Di più io era peritissimo ad uccellare colla trappola, colla gabbia, col vischio, coi lacci; praticissimo delle nidiate. Fatta raccolta sufficiente di questi oggetti, io sapeva venderli assai bene. I funghi, l’erba tintoria (8), il treppio (9) erano eziandio per me una sorgente di danaro.
Voi qui mi domanderete: – E la madre mia era contenta che tenessi una vita cotanto dissipata e spendessi il tempo a fare il ciarlatano? – Vi dirò che mia madre mi voleva molto bene; ed io le aveva confidenza illimitata, e senza il suo consenso non avrei mosso un piede. Ella sapeva tutto, osservava tutto e mi lasciava fare. Anzi, occorrendomi qualche cosa, me la somministrava assai volentieri. Gli stessi miei compagni e in generale tutti gli spettatori mi davano con piacere quanto mi fosse stato necessario per procacciare loro quegli ambiti passatempi.
NOTE
(1) Temuto = rispettato: piemontesismo.
(2) Reali di Francia… Guerino Meschino… Bertoldo. Titoli i primi due di romanzi epico-carolingi, compilati in prosa volgare da Andrea da Barberino (sec. XIV-XV) e desunti da fonti toscane o franco-venete; tali compilazioni diedero origine a novelle di natura popolare assai diffuse; la medesima sorte toccò al Bertoldo del bolognese Giulio Cesare Croce (sec. XVI), il quale tracciò sotto quel titolo la figura di un contadino deforme, ma scaltro, entrato nelle grazie di re Alboino e ammesso alle sue confidenze. L’autore continuò le avventure di Bertoldo narrando quelle del figlio di lui Bertoldino. Più tardi il monaco di Bologna Adriano Banchieri vi aggiunse quelle di Cacasenno (sec. XVI-XVII).
(3) cominciava capire. Cominciare con l’infinito senza a è raro in italiano; ma in piemontese è frequente.
(4) Monoculus etc. Il motto, com’è ordinariamente costruito, suona: In regno caecorum monoculus rex nel regno dei ciechi chi ci vede da un occhio è re.
(5) nella stalla. Nelle campagne piemontesi i contadini sogliono d’inverno prolungare le veglie riuniti nelle stalle per ripararsi dai rigori della stagione.
(6) la rondinella. Esercizio ginnico difficile. Il ginnasta, piantata una pertica verticalmente al suolo, saldamente la impugna con la mano sinistra all’altezza del petto, mentre con la destra la afferra a un 30 centimetri più sotto, puntando il gomito sull’anca in modo da formare un punto d’appoggio alle gambe, che vengono protese all’infuori raccolte o divaricate (coda di rondine) e ad angolo retto con la pertica. Il corpo rimane rigidamente teso in perfetta linea orizzontale. Il ginnasta allora, staccando i piedi, imprime al corpo una spinta che gli consente di fare due o tre giri attorno all’asta.
(7) pero martinello. Traduce così il piemontese prùss martinsech, quello che dà le saporite pere tardive dette vernine. Cresce in albero alto e robusto.
(8) tintoria contenente elementi coloranti. Erba tintòria è singolare collettivo. Sono tante le erbe che possono fornire sostanze per tingere; ma oggi l’invasione dei colori sintetici le ha fatte abbandonare e dimenticare. Forse Giovanni trovava dalle sue parti la robbia (rubia tinctorum) per il rosso, la guaderella (reseda luteola) e il gaglio o erba zolfina (galium verum) per il giallo, il guado (isadis tinctoria) per l’azzurro, e altre erbe simili appartenenti alla flora spontanea del Monferrato.
(9) treppio. Voce irreperibile nei dizionari italiani. E’ molto probabile che corrisponda al piemontese trebi o terbi, erica, le barbicine del quale arbusto si adoperano per fare scopette e specialmente brusche o bassole per ripulire i cavalli dopo streggiati.