SCUOLE DI CHIERI - BONTA’ DEI PROFESSORI - LE PRIME QUATTRO CLASSI DI GRAMMATICA
Dopo la perdita di tanto tempo, finalmente fu presa la risoluzione di recarmi a Chieri, ove applicarmi seriamente allo studio. Era l’anno 1830 (1). Per chi è allevato tra boschi, e appena ha veduto qualche paesello di provincia, prova (2) grande impressione di ogni piccola novità. La mia pensione era in casa di una compatriotta, Lucia Matta (3), vedova con un solo figlio, che si recava in quella città per assisterlo e vegliarlo.
La prima persona che conobbi fu il sacerdote D. Eustachio Valimberti, di cara ed onorata memoria. Egli mi diede molti buoni avvisi sul modo di tenermi lontano dai pericoli; mi invitava a servirgli la messa, e ciò gli porgeva occasione di darmi sempre qualche buon suggerimento. Egli stesso mi condusse dal prefetto (4) delle scuole, mi pose in conoscenza cogli altri miei professori. Siccome gli studi fatti fino allora erano un po’ di tutto, che riuscivano quasi a niente, così fui consigliato a mettermi nella sesta classe (5), che oggidì corrisponderebbe alla classe preparatoria alla 1a ginnasiale.
Il maestro di allora, T. Pugnetti (6), anch’esso di cara memoria, mi usò molta carità. Mi accudiva nella scuola, mi invitava a casa sua e mosso a compassione dalla mia età e dalla buona volontà, nulla risparmiava di quanto poteva giovarmi.
Ma la mia età e la mia corporatura mi faceva comparire come un alto pilastro in mezzo ai piccoli compagni. Ansioso di togliermi da quella posizione, dopo due mesi di sesta classe, avendone raggiunto il primo posto, venni ammesso all’esame e promosso alla classe quinta. Entrai volentieri nella classe novella, perché i condiscepoli erano più grandicelli., e poi aveva a professore la cara persona di D. Valimberti. Passati altri due mesi, essendo eziandio più volte riuscito il primo della classe, fui per via eccezionale ammesso ad altro esame e quindi ammesso alla quarta, che corrisponde alla 2.a ginnasiale.
Per questa classe era professore Cima Giuseppe, uomo severo per la disciplina. Al vedersi un allievo alto e grosso al par di lui, comparire in sua scuola a metà dell’anno, scherzando disse in piena scuola: – Costui o che è una grossa talpa, o che è un gran talento. Che ne dite? – Tutto sbalordito da quella severa presenza: – Qualche cosa di mezzo, risposi; è un povero giovane, che ha buona volontà di fare il suo dovere e progredire negli studi. –
Piacquero quelle parole, e con insolita affabilità soggiunse: – Se avete buona volontà, voi siete in buone mani; io non vi lascierò inoperoso. Fatevi animo, e se incontrerete difficoltà, ditemele tosto, ed io ve le appianerò. Lo ringraziai di tutto cuore.
Era da due mesi in questa classe, quando un piccolo incidente fece parlare alquanto di me. Un giorno il professore spiegava la vita di Agesilao, scritta da Cornelio Nipote. In quel giorno non aveva meco il libro, e per celare al maestro la mia dimenticanza, tenevami davanti il Donato aperto. Se ne accorsero i compagni. Uno cominciò, l’altro continuò a ridere, a segno che la scuola era in disordine.
- Che c’è?, disse il precettore, che c’è? mi si dica sull’istante. – E siccome l’occhio di tutti stava rivolto verso me, egli mi comandò di fare la costruzione e ripetere la stessa sua spiegazione. Mi alzai allora in piedi, e tenendo tuttora il Donato tra mano, ripetei a memoria il testo, la costruzione e la spiegazione. I compagni quasi istintivamente, mandando voci di ammirazione, batterono le mani. Non è a dire a quale furia si lasciasse portare il professore; perché quella era la prima volta, che, secondo lui, non poteva tener la disciplina. Mi diede uno scappellotto, che scansai piegando il capo; poi tenendo la mano sul mio Donato, si fece dai vicini esporre la cagione di quel disordine. Dissero questi: – Bosco ebbe sempre davanti a sé il Donato, ed ha letto e spiegato, come se tra mano avesse avuto il libro di Cornelio. – Il professore prese di fatto il Donato, mi fece ancora continuare due periodi e poi mi disse: – Per la vostra felice memoria (7) vi perdono la dimenticanza che avete fatto. Siete fortunato; procurate soltanto di servirvene in bene. –
Sul finire di quell’anno scolastico (1830-1831) (8) fui con buoni voti promosso alla terza grammatica ossia terza ginnasiale.
NOTE
(1) Era l’anno 1830. Giovanni andò a Chieri il 3 novembre del 1831.
(2) Per chi è… prova. Anacoluto facilmente piegabile in chi scrive alla svelta.
(3) Lucia Matta. Non abitava a Chieri, ma vi soggiornava solo durante l’anno scolastico per assistere il figlio studente. Mamma Margherita collocò presso di lei il suo Giovanni, obbligandosi a pagarle lire 21 di pensione al mese. La somma era forte per le sue povere entrate; quindi Giovanni avrebbe supplito in parte prestando servizi in cose, che una donna non avrebbe potuto convenientemente fare, e al resto avrebbe pensato la madre o con danaro o con generi, massime con cereali. Presto però la padrona comprese qual tesoro di giovane avesse in casa e se ne valse per il bene del proprio figlio, rimanendone così contenta, che in compenso gli condonò l’intera pensione.
(4) prefetto delle scuole. Delegato governativo sopra gli studi nella città di Chieri. Era allora un Padre Sibilla, domenicano.
(5) sesta classe… classe preparatoria. La numerazione delle classi facevasi in ordine inverso: sesta era la preparatoria, quinta e quarta le nostre prima e seconda ginnasiale, terza la terza ginnasiale (queste tre s’indicavano anche con l’appellativo grammatica: prima grammatica, seconda grammatica, terza grammatica), umanità e retorica le ultime due classi, corrispondenti alle nostre quarta e quinta ginnasiale. La preparatoria equivaleva in sostanza alla nostra quinta elementare, scuola perciò di ragazzini, in mezzo ai quali il nuovo arrivato, ormai sedicenne, faceva davvero la figura di «un alto pilastro», come scrive dopo; pilastròn! gli avrà anche detto in piemontese qualche birichino.
(6) T. Questa iniziale, che ritroveremo più volte, sta per Teologo titolo spettante a sacerdote laureato in sacra teologia.
(7) felice memoria. Non felice, ma felicissima ebbe Don Bosco la memoria. Lo provò già con la predica recitata a Don Calosso. Diceva che leggere per lui era quanto ritenere. In età avanzata ricreava talvolta i segretari, dopo lunghe ore di udienza, recitando loro canti di Dante o del Tasso. Pochi mesi prima della morte, andando in vettura con Don Rua, caduto il discorso su d’un punto della storia sacra, al quale erasi ispirato il Metastasio, ridisse scene intere del poeta, che certo non aveva più lette dopo il ginnasio. Altre prove di memoria straordinaria sono riferite in M. B., I, 395, 423, 432-34 ecc.
(8) 1830-1831. Rettificare: 1831-1832.