I COMPAGNI - SOCIETÀ DELL’ALLEGRIA – DOVERI CRISTIANI
In queste prime quattro classi ho dovuto imparare a mio conto a trattare coi compagni. Io aveva fatto tre categorie di compagni: buoni, indifferenti, cattivi. Questi ultimi evitarli assolutamente e sempre, appena conosciuti; cogli indifferenti trattenermi per cortesia e per bisogno; coi buoni contrarre famigliarità, quando se ne incontrassero che fossero veramente tali. Siccome in questa città io non conosceva alcuno, così io mi sono fatto una legge di famigliarizzare con nissuno. Tuttavia ho dovuto lottare non poco con quelli, che io per bene non conosceva. Taluni volevano guidarmi ad un teatrino, altri a fare una partita al giuoco, quell’altro ad andare a nuoto. Taluno anche a rubacchiare frutta nei giardini o nella campagna.
Un cotale fu così sfacciato, che mi consigliò a rubare alla mia padrona di casa un oggetto di valore a fine di procacciarci dei confetti. Io mi sono liberato da questa caterva di tristi col fuggire rigorosamente la loro compagnia, di mano in mano [che] mi veniva dato di poterli scoprire. Generalmente poi diceva a tutti per buona risposta che mia madre avevami affidato alla mia padrona di casa, e che per l’amore che a quella (1) io portava, non voleva andare in nissun luogo, né fare cosa alcuna senza il consenso della medesima buona Lucia.
Questa mia ferma ubbidienza alla buona Lucia mi tornò anche utile temporalmente; perciocché con gran piacere mi affidò il suo unico figlio (Matta Gio. Batt.a di Castelnuovo d’Asti, già molti anni sindaco di sua patria, ora neg. in drogheria nel medesimo paese) di carattere molto vivace, amantissimo dei trastulli, pochissimo dello studio. Ella mi incaricò eziandio di fargli la ripetizione, sebbene fosse di classe superiore alla mia. Io me ne occupai come di un fratello. Colle buone, con piccoli regali, con trattenimenti domestici (2), e più conducendolo alle pratiche religiose, me lo resi assai docile, ubbidiente e studioso a segno che dopo sei mesi era divenuto abbastanza buono e diligente da contentare il suo professore ed ottenere posti d’onore nella sua classe. La madre ne fu lieta assai e per premio mi condonò intiera la mensile pensione.
Siccome poi i compagni, che volevano tirarmi ai disordini, erano i più trascurati nei doveri, così essi cominciarono a far ricorso a me, perché facessi la carità scolastica prestando o dettando loro il tema di scuola. Spiacque tal cosa al professore, perché quella falsa benevolenza fomentava la loro pigrizia, e ne fui severamente proibito. Allora mi appigliai ad una via meno rovinosa, vale a dire a spiegare le difficoltà, ed anche aiutare quelli cui fosse mestieri. Con questo mezzo faceva piacere a tutti, e mi preparava la benevolenza e l’affezione dei compagni. Cominciarono quelli a venire per ricreazione, poi per ascoltare racconti, e per fare il tema scolastico, e finalmente venivano senza nemmeno cercarne il motivo, come già quei di Murialdo e di Castelnuovo.
Per dare un nome a quelle riunioni solevamo chiamarle Società dell’Allegria (3): nome che assai bene si conveniva, perciocché era obbligo stretto a ciascuno di cercare que’ libri, introdurre que’ discorsi e trastulli che avessero potuto contribuire a stare allegri; pel contrario era proibito ogni cosa (4) che cagionasse malinconia, specialmente le cose contrarie alla legge del Signore. Chi pertanto avesse bestemmiato o nominato il nome di Dio invano, o fatto cattivi discorsi, era immediatamente allontanato dalla società.
Trovatomi così alla testa di una moltitudine di compagni, di comune accordo fu posto per base: I° Ogni membro della Società dell’Allegria deve evitare ogni discorso, ogni azione che disdica ad un buon cristiano; 2° Esattezza nell’adempimento dei doveri scolastici e dei doveri religiosi. Queste cose contribuirono a procacciarmi stima, e nel 1832 io era venerato da’ miei colleghi come capitano di un piccolo esercito (5). Da tutte parti io era cercato per dare trattenimenti, assistere allievi nelle case private ed anche per fare scuola o ripetizione a domicilio. Con questo mezzo la divina provvidenza mi metteva in grado di provvedermi quanto erami necessario per abiti, oggetti di scuola ed altro, senza cagionare alcun disturbo alla mia famiglia.
NOTE
(1) a quella = a mia madre. Così era nell’originale, sostituito con il pronome nella copia.
(2) trattenimenti domestici. Faceva giochi di prestigio, raccontava fatti ameni e più tardi dava anche saggi di improvvisazioni poetiche come dirà più avanti. Non è difficile ravvisare quanto del sistema educativo di Don Bosco si annunci già in queste righe.
(3) Società dell’Allegria. Dalla forma di questa Società, della quale egli era riconosciuto presidente senza che si fosse mai parlato di presidenza, traspaiono in lui tre sue qualità caratteristiche: vivace e sagace zelo di apostolato, genio di organizzazione, e specialmente lo spirito che ne informerà l’opera educativa: i germi insomma dell’uomo avvenire.
(4) Era proibito ogni cosa. Accorda il participio con « ogni cosa », come si suol fare con «qualcosa, qualche cosa».
(5) capitano di un piccolo esercito. Il Gheon (o. c., pag. 73), contemplando il giovane studente alla testa di quella schiera di condiscepoli, scrive: « Il a chaussé les souliers de l’apotre, il ne lui manque que la robe; rien plus dèsormais ne l’arrètera».